Intervista all’artista Viola Morini. “Le mie opere sono una bulimia d’esperienze”
Corpo, tessuto, materia e ambiente. La giovane artista italiana che vive la pratica creativa come un processo di cura ci racconta cosa le piace e cosa meno del mondo dell’arte
Viola Morini (Milano, 1997) è un’artista emergente italiana che si è diplomata in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera. Nonostante la giovane età ha lavorato a diverse mostre, tra cui la prima collettiva dal titolo Baitball 01. Nel 2021 ha lavorato con la galleria Dimora Artica di Milano per una bi-personale in cui ha creato un ambiente colorato ma denso di significato. Viola ama la letteratura soprattutto quella femminista, studia e fa ricerca in maniera costante e ha una predilezione per gli interventi sugli spazi espositivi.
Quando nasce Viola come artista?
Ho scoperto l’arte quando ero molto giovane e ha avuto su di me subito una forte presa. Così nel tempo è cresciuto il desiderio di diventare un’artista. È stato come seguire un flusso naturale.
Raccontaci la tua pratica artistica. Dove nascono i lavori? Sono frutto di esperienze del passato o di un immaginario futuro?
Le mie opere sono un po’ tutto questo, sono principalmente delle esigenze espresse in forma materica. Elaboro esperienze personali come espressioni politiche che si legano a un immaginario collettivo. In questo modo tento di smontare le narrative comuni per creare sia in maniera contenutistica che estetica un nuovo modo consapevole di vivere un’esperienza, che non si ferma al mio vissuto ma tocca quello di tutti.
E usi materiali poveri…
Si, per lavorare amo usare materiali facilmente reperibili, la pratica do it yourself riesce a darmi potere e le persone che guardano possono entrare in contatto con un materiale autentico, e incastrarci dentro un pezzo della loro storia.
Come lavori? Velocemente, senza sosta o con tempi prestabiliti?
Lavoro lentamente, con delle pause. Quando creo un lavoro mi prende molto tempo; io ci lavorerei all’infinito ma devo impormi delle scadenze per andare avanti. Quando il lavoro è completo ho bisogno di un momento di distacco, per fare ricerca e analizzare ciò che ho fatto. Mi rispecchia molto il grafico che ha creato Riccardo Benassi per spiegare la sua pratica.
Qual è stata la tua prima mostra?
Baitball 01, una collettiva curata da Stefania Delorenzo in collaborazione con Like Little disaster, nel 2020.
E poi?
Tante collaborazioni, alcune molto felici e altre meno. La mostra che ho più a cuore è No Child Left Behind, la bi-personale fatta con Giacomo Giannantonio (1998, Roma) a Dimora Artica a Milano. Quest’esposizione è il tentativo riuscito di creare non solo un’opera, ma un ambiente: vorrei fare più esperienze così, anche da un punto di vista umano.
Dove lavori? Hai uno studio, o ti ritrovi a lavorare ovunque tu sia?
Ho sempre lavorato in studio, ho provato a farne a meno, ma sono una persona caotica e la mia pratica impatta troppo sulla mia vita quotidiana. Trovare un equilibrio non è facile, ultimamente vorrei dedicarmi a progetti site-specific e lavorare nello spazio espositivo per viverlo quasi come uno studio. Questo aspetto per me sta diventando sempre più necessario.
Sei molto giovane e il mondo dell’arte a volte spaventa.
Ammetto che più entro nel mondo dell’arte e più mi spavento, mi chiedo, a volte, dove finisca la mia vita privata e dove inizi quella lavorativa. Sto ponendo alcuni limiti per preservare la mia salute mentale e il mio lavoro, perché vedo su me stessa e sulle persone che mi circondano gli effetti di alcune dinamiche tossiche portate avanti da un sistema prevalentemente economico.
I tuoi lavori hanno un che di elegante, ma primitivo; cosa nascondono?
La mia pratica è un processo di cura, per questo non può sopravvivere se si applicano dei ragionamenti di tipo commerciale. Ogni lavoro tira fuori delle esigenze inconsce molto diverse: per questo spesso sembrano opere primitive, in fondo sono esigenze materializzate.
Cosa desta la tua curiosità?
Ci sono elementi del mio vissuto e c’è sicuramente tanta ricerca tra lavori di altri artisti, film, romanzi, poesia e letteratura femminista. Sono molto interessata ai processi materici e a tutto quello che si portano dietro, sono in generale affascinata dalle illusioni. Il mio processo creativo è un tira e molla tra materia, ricerca e il mio stato emotivo e politico. Le mie opere sono una bulimia di esperienze tenute insieme da ricerca e intuizione.
Collabori con una galleria in maniera “fissa”?
Collaboro ultimamente con Pianeta Fresco, una realtà indipendente emergente. Non ho collaborazioni fisse con gallerie, mi piacerebbe instaurare un dialogo duraturo con qualcuno capace di capire e accogliere il mio piccolo mondo. Lavorare con molte persone diverse è comunque molto bello e voglio ringraziarle per tutte le possibilità che finora mi hanno dato.
Progetti per il futuro?
Probabilmente cercherò di andare fuori dall’Italia per un periodo. Sono arrivata alla fine del mio ciclo di studio, è il momento di tirare le somme. Sto pensando a una nuova serie di sculture che costituirà una installazione più ampia. Per il resto cerco di stare proiettata sul presente.
Qualche anticipazione sulle tue prossime collaborazioni?
Adesso sto realizzando con Giacomo Giannantonio una scultura che sarà il gazebo del progetto Pianeta Fresco, curato da Giorgia Ori.
Domanda di rito: il tuo sogno nel cassetto.
Vorrei poter vivere del lavoro d’artista e realizzare uno spazio sperimentale tra forme multidisciplinari di arte e sperimentazioni utopiche, cercando di creare un rapporto non gerarchico di conoscenze.
Gloria Vergani
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