L’arte contemporanea italiana dovrebbe prendere esempio dal calcio?
In Italia tutti conoscono le formazioni calcistiche nazionali, che per funzionare puntano su giocatori di serie A. E allora perché la classe dirigente della cultura e le istituzioni non fanno lo stesso con gli artisti?
Nelle conversazioni con persone di altre nazionalità, ogni italiano si vanta del fatto che il nostro Paese conservi una quota enorme dei beni culturali mondiali, custoditi in maniera rigorosa e attenta da solerti funzionari di amministrazioni pubbliche nazionali, regionali, comunali ed ecclesiastiche. Ma assai di rado chi si vanta di tali primati si è mai interrogato sulle modalità e sulle strategie adottate dalle classi dirigenti che si sono succedute per secoli sul territorio della penisola, capaci di commissionare ai migliori artisti del proprio tempo i capolavori che permettono all’Italia di attirare nelle città d’arte milioni di turisti da tutto il pianeta.
Chi sarebbe Michelangelo senza Lorenzo il Magnifico o Giulio II? Sarebbe stato capace Caravaggio di dipingere le sue drammatiche tele senza Scipione Borghese? Gian Lorenzo Bernini avrebbe potuto trasformare Roma in un mirabolante teatro barocco senza il sostegno di pontefici illuminati come Urbano VIII o Alessandro VII? Probabilmente no. È interessante riflettere sulla capacità di questi committenti, visionari e lungimiranti, di scegliere sempre personalità artistiche di eccezionale qualità, con le quali molto spesso intrattenevano relazioni di frequentazione intellettuale, che si trasformavano a volte in rapporti di autentica amicizia. Secoli di committenze che hanno contribuito in maniera determinante alla fama del Bel Paese, che già dal Settecento attirava i migliori intellettuali europei impegnati nel Grand Tour, il viaggio di formazione culturale per affinare gusto e sensibilità a contatto con paesaggi, atmosfere e opere architettoniche e artistiche senza pari nel mondo.
LO STATO DELL’ARTE CONTEMPORANEA IN ITALIA
Le attuali classi dirigenti di politici e funzionari pubblici, che hanno abbinato al concetto di tutela quello della valorizzazione, molto spesso interpretano in maniera eccessivamente personalistica questo concetto, sostituendo con gusti e relazioni personali le buone pratiche di selezione basate su criteri di merito perseguiti per secoli dai loro predecessori. Proprio in un’epoca di confusione, dove l’arte e l’architettura contemporanea possono fornire interessanti e originali chiavi di lettura del nostro tempo, in piena controtendenza internazionale l’Italia si ostina a considerare la cultura come mero intrattenimento estetico, abbinando ai venerati ‒ ma solo a parole ‒ maestri del passato artisti di qualità e livello troppo spesso scadente.
Curioso notare, a questo proposito, come in un Paese che ha fatto del calcio una sorta di religione di stato non vengano applicati per l’arte contemporanea gli stessi criteri che regolano questo sport, ben noti a sessanta milioni di italiani. Se i nomi e le qualità dei calciatori di serie A vengono imparati a memoria dagli adolescenti, non altrettanto succede per l’arte, dove la squadra italiana sarebbe composta da Leonardo, Michelangelo, Caravaggio e Bernini, tutti scomparsi da secoli. Nel campionato dell’arte del Terzo Millennio giocano centinaia di artisti, sponsorizzati da politici e funzionari, senza un minimo sguardo ai loro effettivi talenti e capacità. Così nelle Champions League, che si tengono ogni due anni a Venezia in occasione delle Biennali, quando tutti i Paesi mettono in campo i loro migliori artisti sperando di portare a casa la Coppa agognata, cioè il Leone d’Oro, per decenni l’Italia si è presentata con decine ‒ a volte centinaia ‒ di artisti di serie A, B, C o D, senza alcuna attenzione al campionato stesso. Se continuiamo così non avremo mai il Totti o il Maradona dell’arte, che dovrebbe essere educato nei migliori stadi della nazione: ci riferiamo ai nostri musei di arte contemporanea, che negli ultimi anni si sono ostinati a ospitare e celebrare decine di artisti di altri Paesi, ignorando i talenti nazionali senza permettere loro di crescere, per prepararli al campionato più prestigioso del mondo ‒ la Biennale di Venezia ‒ organizzato e finanziato proprio dall’Italia. Nel mondo del calcio sarebbe un inaccettabile paradosso, ma in quello dell’arte nessuno si scandalizza se i contribuenti italiani pagano ogni due anni una dozzina di milioni di euro per un campionato internazionale dove i propri calciatori non hanno alcuna probabilità di vincere!
“Se i nomi e le qualità dei calciatori di serie A vengono imparati a memoria dagli adolescenti, non altrettanto succede per l’arte”
PUNTARE SUI GOLEADOR DELL’ARTE
Per concludere con il parallelo calcistico: se i Medici, i Gonzaga, gli Estensi, i Papi, hanno sempre sostenuto e promosso i migliori campioni, perché oggi apriamo i nostri monumenti più belli e prestigiosi del mondo ‒ regge barocche, palazzi rinascimentali, siti archeologici ‒ ad atleti di serie B, senza minimamente preoccuparci di far crescere i migliori goleador della nazione? Forse per lo Stato e i Comuni è arrivato il momento di cambiare passo, in modo che i nostri figli e nipoti si possano vantare della squadra artistica nazionale della prima metà del Ventunesimo secolo, senza se e senza ma. Solo artisti di serie A, formati per vincere la Biennial League!
Ludovico Pratesi
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