A Milano la mostra di Dara Birnbaum, l’artista che mette in discussione i media
La critica mediatica e le rivendicazioni femministe di Dara Birnbaum invadono gli spazi dell’Osservatorio Fondazione Prada, sui tetti della Galleria Vittorio Emanuele II
La videoartista Dara Birnbaum (New York, 1946) mette a fuoco immagini e dialoghi tratti dai canali televisivi e dai media, stigmatizzando il controllo mass mediatico del flusso di informazioni. Il suo lavoro inquadra, focalizza, classifica e distrugge le forme di narrazione dei programmi televisivi e usa lo stesso idioma via cavo. Sin dagli Anni Settanta, l’artista maneggia il video analogico e, nel tempo, rimasterizza il supporto originale con le tecnologie frenetiche della modernizzazione digitale, per compensare eventuali squilibri tecnologici che possano trascurare l’essenza del significato primario, animandolo con maggiore nitidezza.
LA MOSTRA ALL’OSSERVATORIO FONDAZIONE PRADA
L’esposizione all’Osservatorio inquadra, in un allestimento scarno e rigoroso, la molteplicità di linguaggi impiegati dall’artista nella storia dell’evoluzione del video (negli Stati Uniti fino al 2022 erano disponibili più di 300 canali via cavo, poi sorpassati dalla TV in streaming), ed esplora temi ricorrenti quali i pregiudizi di genere nella cultura popolare, il trattamento riservato dai media alle figure femminili, il controllo capitalistico del flusso di informazioni anche sui resoconti della guerra in Iraq e in Vietnam, combinati a video autobiografici che non trascurano la passione di Birnbaum per la musica e gli anni della sua infanzia in paesaggi suburbani.
DARA BIRNBAUM E I DIRITTI DELLE DONNE
L’interesse di Birnbaum per i diritti delle donne si palesa sin dal video Technology/Transformation: Wonder Woman (1978-79), posto con ostentato disinteresse all’ingresso, di fianco all’ascensore: la protagonista è una segretaria in abiti succinti, la quale durante una sparatoria difende un uomo che si nasconde, diventando l’eroina del video. Presentato sui canali televisivi via cavo in contrapposizione al telefilm Wonder Woman, e durante la Guerrilla Girls Night al Palladium di New York (Palladium Will Apologize To Women Artists, 17 ottobre 1985), il video sostiene il gruppo di artiste femministe noto come Guerrilla Girls, che combatte il sessismo, il monopolio maschile e il razzismo nel mondo dell’arte.
LE OPERE DI DARA BIRNBAUM IN MOSTRA A MILANO
Unica concessione pittorica nell’austero allestimento dell’Osservatorio di Fondazione Prada sono i tre dischi colorati in plexiglas (Quiet Disaster, 1999), in cui appaiono altrettanti volti terrorizzati disegnati nello stile giapponese anime. Una volta rimossi dal contesto originale, ne emerge, enfatizzata, l’idea di vittimismo, con l’intento di mostrare come semplici screenshot possano creare la collisione perseguita dai media.
I primi video dell’artista (Six Movements: Chaired Anxieties: Abandoned, 1975) sono esercitazioni silenziose, ispirate ai video di Vito Acconci, nelle quali Birnbaum induce a riflettere sui pregiudizi che gravano sulla donna e sulla necessità di lottare per raggiungere la libertà di genere e di pensiero.
INFANZIA E AUTOBIOGRAFIA NEI VIDEO DI DARA BIRNBAUM
All’ultimo piano, tra le fredde pareti di cemento che si riflettono nelle grandi vetrate, un’installazione video a sei canali (Journey: Shadow of the American Dreams, 2022) sposta l’indagine, usando la formazione di Birnbaum in architettura per una riflessione urbanistica critica rispetto alla cultura americana del secondo dopoguerra: mostra cosa significava crescere nell’ombra del “grande sogno americano” dopo che gli Stati Uniti erano usciti vittoriosi dal conflitto. Fiorivano le opportunità edilizie che trasformavano i sobborghi in conglomerati di villette prefabbricate e grattacieli. Dentro quei reticolati, le famiglie si annichilivano dinanzi alla TV, ove i palinsesti erano pieni di talk show, cartoon, film western, comici e di fantascienza. La segregazione denunciata da Birnbaum nel video è mescolata a spezzoni di riprese (realizzate dal padre dell’artista) dei suoi primi passi, dei compleanni e delle feste in famiglia, schiudendo le porte delle case delle famiglie americane borghesi e sollecitando lo spettatore a riconsiderare l’influenza dei ricordi che strutturano la memoria e che possono condurre, sulla spinta della comunicazione manipolatrice dei media, a inesatte prefigurazioni del presente.
Cristina Zappa
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati