A Milano la mostra che si interroga sulla pittura

Da Plain Gallery una riflessione sulla pittura contemporanea attraverso la voce di giovani artisti e di un mostro sacro come Giulio Paolini

La mostra Do / Don’t paint offre una riflessione sui territori della pittura e dei suoi strumenti, attraverso una selezione di lavori di artisti di generazioni diverse che spaziano dalle pratiche di superficie alle escursioni nella tridimensionalità.
Il curatore Lorenzo Madaro ha chiamato a raccolta le opere di Francesco Fossati, Daniela Gomez Paz, Giulio Paolini, Liliane Tomasko e Denise Werth, che abitano gli spazi della galleria non senza attriti. È un dialogo ruvido quello tra gli artisti, sintomatico di linee di ricerca individuali accomunate però da una profonda consapevolezza dei mezzi e dei limiti della pittura.

Do/Don't paint. Installation view at Plain Gallery, Milano, 2023. Courtesy Plain Gallery

Do/Don’t paint. Installation view at Plain Gallery, Milano, 2023. Courtesy Plain Gallery

LA MOSTRA SULLA PITTURA NEGLI SPAZI DI PLAIN GALLERY

La mostra si apre con un prologo affidato a Giulio Paolini (Genova, 1940), artista che con instancabile impegno ha messo al centro della sua decennale ricerca l’analisi dell’oggetto “quadro” nei suoi elementi costitutivi, a partire da quel Disegno geometrico del 1960, opera d’esordio e riferimento ciclico nella sua produzione. Il collage Il quadro nel quadro (2022) è una riflessione sulla genesi e sul destino della pittura: sulla sinistra il romantico Caspar David Friedrich contempla il cavalletto nell’intimità dello studio – dipinto da Georg Friedrich Kersting nel 1812 –, sulla destra la vista immaginaria della Galleria del Louvre in rovine concepita da Hubert Robert nel 1796, in mezzo quattro segni a matita tratteggiano il profilo di una tela, un perimetro aperto che coniuga differenti temporalità e geografie in uno sguardo reciproco. Davanti al quadro si osserva e si viene osservati.
Di diversa natura le sensuali tele di Liliane Tomasko (Zurigo, 1967), solcate da energiche pennellate dai colori vivaci. I titoli delle opere – Portrait of the self (flowing softly as the weirding grows), Portrait of the self (in turmoil), entrambe del 2022 – rivelano un’indagine introspettiva e corporea espressa in irrequieti autoritratti. I bordi del quadro rifilano un flusso gestuale che si espande in terreni inesplorati, atmosferiche evocazioni dei movimenti magmatici della psiche.
Francesco Fossati (Carate Brianza, 1985) propone una pittura per contatto. La tela è indagata nella sua essenza di superficie sensibile che registra le tracce di foglie, frutti e radici per mezzo della tecnica dell’ecoprint. La sua è una pratica silenziosa, di matrice ecologica, scandita dai ritmi della natura e attenta ai materiali. In Replica (Castagno) (2021) e Xx (different kind of black berries) (2019) a essere campionate sono rispettivamente foglie di castagno e more selvatiche che l’artista compone in sequenze ordinate, una geometria non rigida ma riscaldata dalle vibrazioni impreviste dei soggetti vegetali.

Do/Don't paint. Installation view at Plain Gallery, Milano, 2023. Courtesy Plain Gallery

Do/Don’t paint. Installation view at Plain Gallery, Milano, 2023. Courtesy Plain Gallery

GLI ARTISTI E LA PITTURA

Il lavoro dell’artista colombiana Daniela Gomez Paz (Cali, 1992) è onnivoro di tecniche e segni. Monotipo, pastelli, colori acrilici e glitter si sommano all’insegna di una pittura stratificata che si innesta nelle fibre di un collage di stoffe naturali e artificiali. La sua ricerca fonde con leggerezza la tessitura, il disegno, il collage e la scultura. Ecco che i suoi densi tessuti sono liberati dalla rigidità del telaio e della cornice, al punto che Lucero del ave (Birdstar) (2023) rinuncia alla bidimensionalità della parete per librarsi nello spazio espositivo sospesa a un supporto metallico che sembra assorbire l’energia irradiata dalla tela.
La tensione verso lo spazio fisico è rappresentata in mostra dalle due sculture di Denise Werth (Hagen, 1988). In Board 3-4 (2023) la pittura si trasforma in oggetto dai colori marcatamente artificiali. Le due sagome di legno dipinto ricordano la struttura affusolata delle vetrate gotiche, quasi un omaggio a un’idea immersiva di pittura che grazie alla luce si apriva e contaminava lo spazio architettonico delle cattedrali. Da questa possibile suggestione Werth opera una netta sottrazione del dato formale fino a raggiungere una chiarezza geometrica tanto astratta quanto simbolica. Scribble (2023) invece materializza nello spazio espositivo uno scarabocchio azzurro di grandi dimensioni. Il pennello che Werth sceglie qui di utilizzare non è quello della tradizione accademica ma un brush artificiale dei programmi di fotoritocco, a rappresentanza di una pluralità eclettica degli strumenti del dipingere.
La mostra riflette sui traguardi e sulle possibilità conquistati dagli artisti delle generazioni passate nel corso di decenni di costante impegno nella riformulazione del campo della pittura. Alle opere d’arte che raccolgono questa eredità è concessa una libertà di azione che non vede confini in categorie e tecniche: per citare il titolo di un lavoro di Paolini presente in mostra, l’artista ringrazia.

Simone Salvatore Melis

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