La rivoluzione astratta di Carla Accardi in mostra a Venezia
La figurazione era qualcosa da ignorare per Carla Accardi, che intendeva il colore in maniera giocosa e che amava Matisse. Ora al Museo Correr vanno in mostra alcune sue opere raramente esposte insieme
Nell’ambito dell’arte italiana del dopoguerra Carla Accardi (Trapani, 1924 – Roma, 2014) è stata una figura fondamentale. Con altri autori della sua generazione ‒ Afro, Scialoja, Dorazio ‒ ha contribuito a mettere in relazione l’arte italiana con i cambiamenti in atto sulla scena internazionale, quella americana in particolare.
Ora il Museo Correr di Venezia, avvicinandosi il centenario della nascita dell’artista, le dedica un omaggio, Carla Accardi. Gli anni Settanta: i lenzuoli. Il progetto, a cura di Pier Paolo Pancotto in collaborazione con l’Archivio Accardi Sanfilippo di Roma, presenta, impostandoli come installazioni, alcuni lavori che dialogano con l’habitat storico del museo. Sono i Lenzuoli, appunto, raramente esposti insieme, che riassumono il percorso creativo dell’artista. Queste opere evocano la Sicilia di Accardi, la luce tagliente che fa risplendere i colori del Mediterraneo, il periodo in cui guarda all’arte di de Chirico, Savinio, Morandi, Carrà e Matisse soprattutto, verso il quale prova un’istintiva passione, complici i balconi spalancati sul mare e cromie gioiose e vivaci.
Nel 1947 Accardi è a Roma, frequenta Via Margutta, dove incontra Consagra, Attardi, Dorazio, Perilli, Turcato. Insieme danno vita al Gruppo Forma 1: “I figurativi semplicemente li ignoravamo, non ci interessavano”, dirà in seguito. L’arte per loro è solo astrazione, quell’astrazione che Togliatti, con lo pseudonimo di Roderigo di Castiglia, su Rinascita dileggia giudicandola “l’espressione degli sciocchi, raccolta di cose mostruose”, facendo propria la definizione di Guttuso: Scarabocchi.
PITTURA E COLORE SECONDO CARLA ACCARDI
A partire dagli Anni Cinquanta, Accardi si allontana dal gruppo e dal procedere troppo vincolante di Capogrossi, consolidando una sua poiesis che mette insieme fantasie e figurazioni impreviste, alogiche. Componenti che rigettano la narrazione fenomenica del reale e si impongono sulla superficie come un aggregato di “elementi-segni”. Sviluppa così la poetica del segno imponendosi tra gli interpreti dell’Art autre di Michel Tapie.
I suoi inizi sono legati ai Negativi, che fanno registrare l’intenso incontro tra il bianco e il nero. per abbandonare poi la dialettica del monocromo e optare per i cromatismi, il verde e il rosso squillante. Fino ad attestarsi sulla delicatezza controllata e sulla fluidità segnica, molto distante dallo sgocciolare muscoloso di Jackson Pollock e dalla rigidità degli altri astrattisti italiani. Accardi è sempre rimasta fedele a un’interpretazione giocosa del colore influenzata dall’arte arabo bizantina e dai toni di Matisse.
Nei primi Anni Sessanta inizia il ciclo delle Integrazioni e delle grandi opere spesso intitolate con i timbri cromatici adottati, bianco argento o viola rosso, come a sottolineare la fonte dell’ispirazione. Fino a quando i segni, con ciò che ne segue, iniziano a vagare liberi nell’ambiente. Accardi li trasferisce sui coni di sicofil, fogli di plastica trasparente che adotta proprio nel momento in cui cerca di uscire dalla superficie della tela, concretizzando le cromie nello spazio.
LA MOSTRA SU CARLA ACCARDI A VENEZIA
A partire dagli Anni Settanta l’artista produce una nuova serie di opere, i Lenzuoli, teli di cotone di varia grandezza dipinti con pittura per stoffa. Sono lavori che assecondano il senso ruvido o liscio del muro nel rispetto di un unico schema: la genuinità. Sono creazioni che mettono in risalto “una sintassi primaria, fatta di pochi segni geometrici alternati ad ampie campiture monocrome”, scrive nel catalogo della mostra il curatore Pier Paolo Pancotto, che per la rassegna veneziana ne ha scelte una decina. Opere tecnicamente interessanti dipinte da Accardi stendendole a terra. A volte predomina un impianto segnico ondulato, in altre occasioni prevale invece un andamento verticale. L’insieme è declinato in numerose varianti e in diversi accostamenti di colore: il grigio trasfigurato e il blu intenso che si inerpicano a formare le braccia di una sorta di candelabro. Fatti estetici, li definisce l’artista, che bisogna guardare con leggerezza e semplicità. Si tratta di un progetto espositivo tradotto in un’ampia installazione che copre l’enorme Sala delle Quattro Porte, uno dei pochi spazi della Procuratie Nuove ad aver mantenuto la configurazione cinquecentesca, posta in dialogo con i lavori di Accardi, inclusi quelli plastici. Nella Scultura trasparente in perspex e metallo del 2002, realizzando quasi degli aculei che si propagano nello spazio, l’artista raggiunge una totale autonomia espressiva scegliendo una grammatica astratta. Nell’Oggetto trasparente del 2001, con la materialità smussata dalla delicatezza del materiale usato, sembra suggerire all’osservatore un approccio intuitivo all’opera che privilegi, almeno inizialmente, i sensi rispetto alla ragione.
Fausto Politino
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