Le donne imperfette di Jenni Hiltunen in mostra a Milano
Come si comportano le modelle quando non sono in posa? Lo rivela l’artista finlandese nella sua critica alla “posing culture” contemporanea
Consolidando un rapporto che dura da dieci anni, Mimmo Scognamiglio presenta Add Red or Not, terza collaborazione tra Jenni Hiltunen (Hollola, 1981) e la galleria milanese. Le sue donne scomposte e imperfette si ritrovano ora al centro di ambienti da rivista di interior design. Un nuovo impulso alla critica della cultura delle immagini e dell’apparire.
La definiscono posing culture, quella moda odierna (ma non solo) di mostrare la realtà con immagini perfette e patinate. Si parla di ambienti, ma ancor più del corpo umano. Femminile prima di tutto. Le riviste di moda sono tappezzate di modelle in posa, eteree nella loro apparenza. L’interior design segue a ruota: living impeccabili, cucine scintillanti, mai una piega della gonna fuori posto, mai un tappeto arricciato.
Eppure la realtà è diversa, non per questo priva di bellezza. Jenni Hiltunen costruisce la sua riflessione attorno a questa idea. Vuole scacciare la patina di perfezione che soffoca le persone. Con le sue donne “sgangherate” dà voce a una speranza di autenticità, sempre silenziata dagli scatti da rivista. Vale lo stesso per i social media: le storie e i feed pullulano di pose costruite.
LA MOSTRA DI HILTUNEN A MILANO
Gli spazi della galleria milanese accolgono nuovamente gli atti catartici di Hiltunen. Ciascuno, nel suo purificare l’immagine patinata da rivista di moda, tenta di restituire la bellezza della realtà femminile. Il mezzo liberatorio è il colore: con pennellate cariche e sature, che riecheggiano Matisse e le maschere cubiste, le imperfezioni diventano ricchezza. Ancor più che in passato, l’artista esplicita l’azione pittorica dietro a questo processo. Le gocce di vernice, volutamente visibili, sono quell’aggiunta che ricorda il lavoro umano sotteso all’opera. Aggiunta che potrebbe legarsi all’interpretazione del titolo: Add Red or Not. Una citazione dal saggio di Richard Shiff sui dipinti di Joan Mitchell.
JENNI HILTUNEN E GEORGIA O’KEEFFE
Fin dalla prima tela, sono gli occhi a rapire l’attenzione. Grandi, esagerati, che pendono nel vuoto, riflettendo una vita persa alla ricerca dell’apparire, condivisa da tutte le protagoniste. Rappresentarle imperfette e stanche è il modo di Hiltunen di liberarle dalla prerogativa sociale di perfezione femminile.
Pare di sfogliare un catalogo di moda e design, con collezione primaverile e autunnale. I colori ricordano le stagioni; i vestiti si abbinano agli interni arredati. Tra questi ultimi ce n’è uno particolarmente enigmatico. La protagonista è accompagnata da una porta nera, affacciata su un giardino assolato. Il titolo, Black Door of Georgia (2023), si rifà a Georgia O’Keeffe, una delle pittrici americane più importanti del XX secolo. La black door in questione, leggermente sollevata dal terreno, ricorda quella della sua casa in New Mexico. Il fascino della semplicità di quella porta, iconica per l’artista statunitense, ha catturato anche Hiltunen. A tal punto da renderla parte dei suoi atti di purificazione della realtà.
Emma Sedini
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