Natura morta e pittura nella mostra di Luciano Ventrone a Venezia

Si definiva “un astrattista alle prese con la realtà” il pittore scomparso nel 2021 a cui il Palazzo Pisani Revedin dedica una mostra. Un artista che faceva i conti con la fragilità della natura

Perché ci sono artisti che continuano a dipingere nature morte e, soprattutto, perché dovremmo seguirli? Specialmente quando si è in presenza di opere che aspirano solo alla bella forma fine a se stessa, alla clonazione del già visto e del già fatto. Si può rispondere che i testi delle nature morte dei grandi autori, anche se evidenti nella loro oggettualità, rimandano a un senso meno scontato, scavalcando l’evidenza linguisticamente riconoscibile. Qualcuno ha intuito il retroterra passionale delle mele di Cézanne, altri hanno sottolineato che la lettura metafisica adottata da Morandi rispetto alle sue bottiglie le ha consegnate all’eternità. De Chirico sosteneva che nelle nature morte, anche se preferiva definirle “vita silente”, bisogna “imparare a esprimere la voce remota delle cose che affiora dietro il paravento inesorabile della materia”. Voce remota che ci potrebbe far considerare le nature morte puri pretesti formali che ricontestualizzano l’oggetto togliendolo dalla trama quotidiana. L’artista suggerisce approcci inediti di osservazione per intravedere proprietà inaspettate dello spazio della forma del colore.

Luciano Ventrone, Alice, 2015

Luciano Ventrone, Alice, 2015

LA MOSTRA DI VENTRONE A VENEZIA

Tutte queste riflessioni sono propedeutiche alla mostra Ventrone. La natura è morta la pittura è viva, curata da Luca Beatrice negli spazi di Palazzo Pisani Revedin a Venezia e scandita in trentacinque opere.
Luciano Ventrone (Roma, 1942 – Collelongo, 2021), scomparso due anni fa, inizialmente frequenta la facoltà di architettura, che abbandona nel 1968 per dedicarsi totalmente alla pittura fino a trovare nella natura morta il modus operandi per eccellenza, utilizzando una tecnica meticolosa e sorprendente. Ma come si dipinge una natura morta fra il XX e il XXI secolo? si chiede il curatore nel suo intervento critico. Secondo due modalità: quella di Giorgio Morandi e quella di Ventrone. Sembrerebbero agli antipodi e invece rappresentano la doppia faccia della stessa medaglia. Il primo mette il reale tra parentesi: le bottiglie e le altre povere cose, vasi, scatole barattoli, vuote e polverose, sono decontestualizzate, estraniate dal loro uso.  Sono figure senza figura. Oggetti che non hanno oggettualità.  Siamo di fronte alla mimesi e alla sua negazione.
Tiene la tavolozza bassa e spinge la pittura verso il suo grado zero, esile, magra, minimale, quasi il soggetto non esistesse più o quantomeno non gli importasse”, suggerisce il curatore.

Luciano Ventrone, Fiamme del tramonto, 2010

Luciano Ventrone, Fiamme del tramonto, 2010

LA PITTURA DI VENTRONE

Nei dipinti di Ventrone, invece, realizzati a olio con tecnica mista su tela di lino, ceste di fiori, canestri di frutta, uva e foglie di vite, mele, cachi, limoni, singoli melograni, angurie a pezzi sono raffigurati in un tripudio di colori. Un trionfo mimetico dove l’esagerazione, la tracotanza, l’iperrealismo del soggetto privilegiato sembrano ripristinare in toto l’oggettualità dell’oggetto. Attenzione però, anche se fiori e frutta catturano chi guarda per la loro maniacale precisione, l’artista riesce ad alterarli. Li tira fuori dall’ordinario, facendone dei simulacri. Anche se da un lato sembra sostenere la dimensione descrittiva, dall’altro mette in scena una certa narrazione. In alcuni dei suoi contesti figurativi più noti, da Gita a Tindari del 2012 a Fiamme del tramonto del 2010 con quel canestro perfetto nei suoi intrecci circolari, pur nella bellezza invadente del rappresentato, Ventrone lancia i propri strali per raccontare un’altra storia: quella della vanità delle cose, di ogni cosa. Le foglie si accartocciano, regrediscono, lo splendore primitivo diventa grottesco. Sui limoni spuntano inesorabili rughe, come inesorabile è lo sfacelo della loro polpa e l’inacidirsi del loro succo. Ne I segni del tempo del 2010 Ventrone ha dipinto una mela raggrinzita, un’arancia spaccata con un buco sulla destra come avesse subito una ferita e dei chicchi d’uva ammaccati, esausti, sfiniti. Immergendoli in una luce artificiale di “metafisica evidenza”, a parere di Sgarbi.
Come ci riesce? Mediante interventi non molto lontani da quelli di Morandi, raffreddando e irrigidendo il primitivo tripudio cromatico. “Non c’è più niente di vivo nel suo quadro, tranne la pittura. La natura è morta, la pittura è viva”, conclude il curatore nel suo intervento critico.
In mostra ci sono anche, pubblicati in catalogo, quadri non appartenenti alle nature morte: Alice, il Nudo di schiena del 2015, le due marine del 2011 (Limbo) e del 2021, Illusioni su misura, tra le ultime creazioni. Basterebbero queste tele per sconfessare la definizione di Ventrone come artista legato solo alle nature morte. Ci sa fare anche con il corpo. In Alice lo configura in una posa flessuosa, le parti anatomiche compatte e sensualmente accattivanti.
Il dipingere con accentuata lucidità lo si riscontra nello schiumoso incresparsi delle onde che, rompendosi, vanno a lambire la spiaggia appena visibile.

Fausto Politino

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Fausto Politino

Fausto Politino

Laureato in Filosofia con una tesi sul pensiero di Sartre. Abilitato in Storia e Filosofia, già docente di ruolo nella secondaria di primo grado, ha superato un concorso nazionale per dirigente scolastico. Interessato alla ricerca pedagogico-didattica, ha contribuito alla diffusione…

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