Nella mostra di Margherita Moscardini a Livorno c’è un rituale infinito
Una funzione religiosa durata oltre tre mesi per salvare dall’espulsione una famiglia di rifugiati armeni. Questo è il punto di partenza della mostra alla Gian Marco Casini Gallery
Se non fosse una vistosa etichetta a svelare le intenzioni dell’artista Margherita Moscardini (Donoratico, 1981), si potrebbe quasi pensare di essere al cospetto di una scultura inedita di Robert Morris. La mostra presso la Gian Marco Casini Gallery di Livorno evoca un luogo ben preciso, la grande aula della Bethel Chapel, sede della comunità omonima facente capo alla Chiesa Protestante dell’Aia, nei Paesi Bassi, spazio riservato alla preghiera tuttavia ben attrezzato per accogliere famiglie bisognose nella sagrestia. Una famiglia come i Tamrazyan, due coniugi e tre figli, di origine armena e dissidenti politici, residenti in Olanda dal 2010 in attesa dell’accettazione della richiesta di asilo: nel 2018, bocciata la domanda di ammissione, i cinque si sono rifugiati sotto l’ala della congregazione protestante, cui erano vicini dal primo insediamento, e si trasferiscono da Katwijk alla poco distante L’Aia, appunto presso la Bethel Chapel. Il pastore Theo Hettema matura un’idea che si rivela risolutiva non solo per guadagnare tempo, ma addirittura affinché sia riformulata la sentenza del governo olandese e concessa la cittadinanza alla famiglia armena. Nei Paesi Bassi esiste una legge che vieta alle autorità di interrompere un rito religioso e il direttivo della Chiesa Protestante dell’Aia, guidata da Derk Stegeman, decide di utilizzare questa possibilità iniziando a celebrare una messa che, a partire dalle ore 1:30 del 26 ottobre 2018, si svolge ininterrottamente, notte e giorno, arrivando a coinvolgere oltre mille ministri delle chiese di varie confessioni di tutto il mondo che si alternano garantendo continuità alla preghiera.
LA MOSTRA DI MOSCARDINI A LIVORNO
La vicenda, seguita con attenzione da Moscardini, convoglia in una ricerca piuttosto incline ai processi mutevoli dei fenomeni umani, esposti in precise condizioni ambientali e sociali. The Continuous Service non è solo la riproposizione simbolica di un luogo fisico, è anche quel momento preciso, un hic et nunc che Moscardini trasla attraverso l’oggetto esposto, ovvero un tappeto di 500 metri quadrati, pari alla superficie della cappella dove si è svolto il rito salvifico. D’accordo con il ministro presbiteriano Derk Stegeman, la cappa in tessuto, una volta srotolata, diviene a tutti gli effetti un supporto di aggregazione spirituale, dove può essere celebrata messa e riconosciuta la stessa giurisdizione d’appartenenza della Bethel. Ciò significa che lo spazio e il periodo di fruizione sono ininfluenti ai fini del rituale e il tappetto ripiegato assume le caratteristiche di un innesco teatralizzante.
Il tempo spalmato, “fluido” è paradossalmente un modo efficace di vivere il presente, con piglio critico, liberando i luoghi dai significati e tornando ad abitare il circostante con un rapporto dialogico, corrisposto. Altro punto chiave della mostra è l’eulogia del frammento, propria del lavoro di Moscardini: una puntuale video-installazione passa in rassegna una carrellata di mani sinistre che rimandano alla funzione non-stop avvenuta a cavallo dell’anno 2018 e 2019, sequenza accompagnata dalla pronuncia del motto (a volte in italiano, a volte in latino, a volte in olandese e perfino cantato) “Qui e ora”. Ogni singolo elemento contribuisce alla continuità dell’insieme, così come la scultura in lino arrotolata funge da sineddoche per una celebrazione senza fine.
Luca Sposato
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