Autoerotismo e scorci di vita. La mostra di Sinéad Breslin e Anne Buckwalter a Roma
La home gallery di Andrea Festa ospita la mostra di Sinéad Breslin e Anne Buckwalter. Raccontando un'intimità fatta di tempi cristallizzati, ambienti vintage e sex toy
Per usare le parole di Gaia Bobò, autrice del testo critico che accompagna la mostra, Anne Buckwalter (Lancaster, 1987) orchestra “atmosfere rarefatte e claustrofobiche” che rappresentano interni accostabili alla tradizione pittorica fiamminga. All’interno dei suoi dipinti trovano spazio, infatti, oggetti e mobili tipici della Folk Art olandese importata in America, allusiva a una familiarità europea. Le sedie dallo schienale di legno in stile Biedermeier e la carta da parati floreale – con ghirlande, festoni e motivi esagonali – sono compatibili con un gusto rétro piccolo-borghese e antiquato, quasi una sala da tè di un’anziana signora. Eppure, in questi angoli minimali, imbellettati con centrini e quadri di paesaggio, bisogna restringere il campo visivo e strabuzzare gli occhi. Dai cassetti e dalle ante delle credenze, lasciati semi-aperti, spuntano porzioni di sex toy e oggetti legati all’autoerotismo dai toni sgargianti. Tra la polvere, radunata con la scopa, frammenti di preservativi; negli specchi, talmente lucidi da sembrare cornici bucate, corpi si baciano e si accarezzano, seni e piercing si sporgono innanzi a bocche adoranti.
LE OPERE DI SINÉAD BRESLIN IN MOSTRA A ROMA
In dialogo con gli interni di Buckwalter, i protagonisti dei dipinti di Sinéad Breslin (Limerick, 1986) paiono catturati in dei fermoimmagine; è la figura umana, infatti, che regola e soppesa gli equilibri della composizione.
Curioso l’annichilamento delle logiche prospettiche: in Postpartum il pavimento diventa quasi verticale, creando un continuum con la parete, interrotto solo dal cambio repentino e disturbante del pattern. Il tappeto è inquadrato dall’alto, mentre il modo in cui è rappresentata la abat-jour – il cui filo termina nell’angolo della tela come fosse la coda di un topo – insieme al divano, dove sono stesi il marito e il neonato dell’artista, nega la precedente prospettiva. Le verticali si ispessiscono grazie alle coste dei libri tra gli scaffali, le strisce nere e blu dell’intonaco, il telaio della finestra.
In Luda in Kazan, poi, i piedi della figura femminile sono inghiottiti in uno specchio d’acqua, rompendo l’armonico ritmo di danzanti striature irregolari che ricordano le dorsali architettoniche del Parc Güell di Gaudí. Il colore delle onde riecheggia nel girocollo della donna, tronco che si oppone all’andamento orizzontale. Rigagnoli sanguigni stillano dalla tonaca beige-ghiaccio.
Giorgia Basili
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