Essere nello studio di un artista: la mostra a Lugano
Atelier e spazio mentale, lo studio è il cuore dell’attività degli artisti. La mostra della Collezione Olgiati schiude le porte di un luogo denso di significati, ibridando epoche e stili
La programmazione della Collezione Olgiati a Lugano continua con la scansione abituale: se in autunno si svolge ogni anno una grande mostra monografica o tematica (per il 2023 è in preparazione un accattivante confronto tra Giacomo Balla e Piero Dorazio), in primavera una collettiva dal tema volutamente ampio permette di scoprire meglio la collezione, con la presenza di opere fin qui non esposte o meno viste.
È quest’ultimo il caso della mostra At the studio, che indaga lo spazio personale dell’artista in senso concreto (l’atelier) e mentale (i rapporti con i maestri del passato e la tentazione dell’iconoclastia, il completo rispecchiamento dell’autore nella sua opera o al contrario la volontà di delineare un mondo a partire dalla propria dimensione intima).
STUDI D’ARTISTA IN MOSTRA A LUGANO
Il titolo della mostra viene ripreso dal dipinto che apre il percorso, monumentale tela di Ilya Kabakov che funziona da autentica allegoria della condizione dell’artista contemporaneo. Grazie anche al formato panoramico, si viene risucchiati nell’universo dell’artista colto nella realizzazione dell’opera, il quale dichiara la propria passione per la pittura antica ma allo stesso tempo esprime la strutturale precarietà della ricerca, che per sua natura deve infinitamente rinnovarsi.
Nella stessa sala, un mosaico settecentesco intercetta la tensione verso la tradizione, mentre due opere di Pietro Roccasalva evidenziano come la ricerca pittorica odierna più innovativa possa raggiungere caratteristiche inusitate e spiazzanti. Lo stesso Roccasalva dialoga con de Chirico e Savinio in un vortice di riferimenti, di filiazioni e di “uccisioni del padre”.
LA MOSTRA DELLA COLLEZIONE OLGIATI
La mostra si stratifica nelle sale successive, riunendo artisti anche disparati ma mettendoli in connessione. La delicata sospensione delle sculture metalliche di Melotti trova un inaspettato dialogo con le “antisculture” di Marisa Merz, la fotografia diventa un mezzo concettuale e felicemente aspecifico per Cy Twombly e Franco Vimercati, il linguaggio si fa pittura (e viceversa) con Emilio Isgrò.
E ancora, per citare solo alcune delle opere, si incontrano in un percorso serrato i disegni d’interni di Tatiana Trouvé (il lato progettuale e razionale è solo una schermatura, l’essenza è invece ambigua e “morbosa”), la scultura che diventa fotografia senza perdere la sua plasticità con Nairy Baghramian, il profluvio pop di perle di Paola Pivi, la scultura “in negativo” di Rachel Whiteread, fino alla metaforicità assoluta che caratterizza il Violoncellista di Arturo Martini, così come ogni altra sua opera.
Stefano Castelli
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