Le Gallerie d’Italia di Napoli compiono un anno con una grande mostra di Schifano
Oltre cinquanta opere di Mario Schifano allestite sui due piani dello spazio espositivo di Via Toledo a Napoli. Uno sguardo nuovo su uno degli artisti più straordinari del Dopoguerra
Le Gallerie d’Italia di Napoli celebrano un anno di apertura del loro nuovo spazio nel gigantesco palazzo di Marcello Piacentini e lo fanno con una mostra di Mario Schifano (Libia, 1934 ‒ Roma, 1998) curata da Luca Massimo Barbero che interessa quasi tutti gli spazi espositivi a disposizione: il salone al piano terra oltre che le sale e i corridoi al primo piano.
Ci sono in mostra oltre cinquanta opere importanti. E se è raro trovare tutti assieme così tanti quadri significativi di Mario Schifano, c’è da notare come alcune delle opere siano pressoché inedite. Ad esempio? Quelle provenienti dalla raccolta di Intesa Sanpaolo (titolare delle Gallerie d’Italia) direttamente dalla Collezione Agrati.
LA MOSTRA DI SCHIFANO DAGLI ANNI SESSANTA AI NOVANTA
I lavori selezionati da Luca Massimo Barbero abbracciano tre decenni e dunque l’avvio è con gli Anni Sessanta, con le opere di uno Schifano under 30 dedito a monocromi che non sono monocromi, sono semmai policromi che arrivano alla sintesi di una tonalità sola non certo per annullare e annichilire ma piuttosto per inquadrare, precisare, fare focus su un particolare e portarlo all’estremo. Eccolo il “nuovo immaginario” (è il sottotitolo della mostra) proposto da questa rilettura di alcuni capolavori, una rilettura per certi versi a quattro mani portata avanti da Barbero ma anche da Marco Meneguzzo, lucido interprete del lavoro di Schifano e autore di un centrato contributo in catalogo. Si parte dai monocromi dunque, quelli che stregarono anche la gallerista americana Ileana Sonnabend e proiettarono Schifano (“l’unica star artistica del suo tempo”) negli Stati Uniti. Si passa poi dai lavori dedicati al Futurismo, a de Chirico, ai “Compagni” del Sessantotto e ai primi quadri con stelle e palme (“erano le stelle e le palme che Schifano vedeva nelle oasi, in Libia, nei suoi primi dieci anni di vita”, spiega Barbero in una interpretazione poetica). E poi ci sono gli Anni Settanta, le tele emulsionate, i Paesaggi TV acidi e sublimi, sempre caratterizzati da quella sagoma che è cornice, schermo, inquadratura. E che fa pensare agli stessi schermi ‒ in primo luogo gli smartphone, con le loro app ‒ che oggi costituiscono la nostra interfaccia quotidiana. Ecco perché si è parlato anche di una mostra dedicata ai giovani.
MARIO SCHIFANO A NAPOLI. L’ALLESTIMENTO DI UNA MOSTRA DEDICATA AI GIOVANI
“Una mostra per i giovani? Sì, ma in realtà tutte le mostre che stiamo facendo alle Gallerie d’Italia sono pensate per le nuove generazioni. Qui vogliamo spostare l’idea che abbiamo di Mario Schifano. Sgomberare il campo dei luoghi comuni che abbiamo. Mi piace vedere che in una mostra si accendano gli occhi degli spettatori, che dicano ‘ah non lo conoscevo così’…”, riflette Barbero. E in effetti non c’è lo Schifano gestuale, il “puma” rappresentato in tante fotografie in studio, quasi non c’è neppure lo Schifano pop artist delle Coca Cola e delle insegne. C’è uno Schifano semmai chirurgico, millimetrico, preciso, tagliente, pioniere e lucidissimo.
Tutto questo al piano di sopra, in spazi belli ma non bellissimi, e con tante opere sensazionali un poco sacrificate in un corridoio. Ma del resto questo palazzo non è nato per essere museo, pur nella sua mole magniloquente: nei piani centrali è rimasta tutta la direzione della banca e gli spazi ricavati per mostre ed esposizioni sono quelli che furono uffici fino a qualche anno fa. Per cui gli spazi espositivi realmente di grande respiro sono solo quelli nel salone centrale. Dove troviamo giustamente le enormi tele che, dopo le fascinazioni tecnologiche, fotografiche, televisive e cinematografiche, rappresentano il ritorno alla pittura negli Anni Ottanta (a tal proposito da leggere in catalogo i passaggi del contributo di Marco Meneguzzo circa le dimensioni, anomale per l’epoca, delle opere di Schifano). Allestite come in una piazza, con le sedute come a invitare la città che brulica là fuori su Via Toledo a entrare e accomodarsi di fronte ai quadri e poi agli acrilici degli Anni Novanta, inclusi quelli di Ovidio Jacorossi che subirono un famoso incendio e che portano i segni delle bruciature poiché volutamente mai restaurate.
LA PROVENIENZA DELLE OPERE DELLA MOSTRA DI SCHIFANO A NAPOLI
Per allestire questa importante mostra su Mario Schifano ‒ che coprirà tutta la stagione estiva in una città che ormai esplode di turisti ‒ le Gallerie d’Italia hanno avuto modo di attingere ancora una volta (come è accaduto per il riallestimento della collezione appena presentato a Milano) dalla loro collezione-miniera, con l’aggiunta di opere da altre raccolte pubbliche come quelle del Museo del Novecento di Milano o Ca’ Pesaro di Venezia e da alcune private. Certo le opere più impattanti sono quelle della banca e, in particolare, nell’ambito della collezione Intesa Sanpaolo, quelle conferite come detto dalla acquisita raccolta di Peppino Agrati.
“Dopo un anno di vita dimostriamo che l’intuizione di spostarci di pochi metri da Palazzo Zevallos e aprire a una attività articolata e originale simboleggiava la maturità di un progetto nazionale che però vede in Napoli un’assoluta capitale culturale”, dice Michele Coppola, grande capo delle Gallerie d’Italia che con le loro quattro sedi nazionali confermano il proprio ruolo di primaria istituzione museale del Paese.
Massimiliano Tonelli
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