A Trieste ora c’è il museo open air FAMU, che insegna a prendersi cura delle periferie
L'immaginazione al potere nel quartiere popolare di Ponziana, tra percorsi museali open air, laboratori di hacking urbano e nuovi sguardi sulle periferie. Intervista alle curatrici del progetto FAMU
Il FAMU sbarca nella periferia di Trieste: nasce il Museo di Ponziana, in uno degli storici quartieri popolari della città. Il FAMU è un FAke MUseum, un percorso museale open air, realizzato dagli abitanti attraverso un laboratorio di Esplorazione e Hacking Urbano curato da Invasioni Creative APS. L’iniziativa, parte del progetto Arti Urbane Fest e della rete MakersXchange di European Creative Hubs Network, ha già visto la sua realizzazione nella periferia di Udine con il FAMU Aurora (2021), e il FAMU Gjirokastra in Albania (2021), mentre è work in progress nei quartieri Lucento e San Donato a Torino e nella periferia di Pordenone. Ora a Trieste. Abbiamo intervistato le curatrici, Giulia Cerrato e Benedetta Giacomello.
Intervista alle curatrici del FAMU di Trieste
Prima di tutto, come mai Trieste?
Abbiamo scelto una periferia meno nota di Trieste per sperimentare il format del FAke MUseum, questa volta realizzato in collaborazione con UGorA’ Urban Gardening Ora, la Microarea di Ponziana e la Casa delle Culture di Trieste. Un laboratorio che utilizza gli strumenti della mediazione artistica, per costruire una nuova narrazione dell’urbanistica attraverso la multimedialità e l’esplorazione urbana. Un incentivo a lasciare i pregiudizi a casa, attraversare a piedi le periferie e scoprire il territorio. Con molto humor prima di tutto.
Le strade di Ponziana sono divenute per qualche ora un teatro a cielo aperto, un’opera in divenire nelle mani dei passanti. I termini “bene comune”, “innovazione” e “impatto” sono sempre più presenti nel discorso pubblico e mostrano l’urgenza di una riflessione. Chi sono gli “urban hacker” e i “change maker”, i soggetti-attori del cambiamento?
Mi piace definire l’urban hacker come un pirata della RES PUBLICA. Lontano dall’essere un vandalo, è un* street artist che interviene sugli oggetti dello spazio pubblico e le architetture quotidiane. Con Invasioni Creative proponiamo progetti e performance che rendono protagonisti il pubblico o gli abitanti di quel quartiere; come change maker, vogliamo “abilitare” le persone a cambiare la propria realtà quotidiana a partire dall’immaginazione. Senza di essa, la nostra mente muore, ed è proprio in questi contesti che vogliamo che questa capacità si mantenga viva!”.
L’immaginazione al potere: l’insegnamento di Franco Basaglia
“L’immaginazione al potere”, dunque. In questa città, Basaglia ha insegnato come le cose possano cambiare attraverso il dialogo e come l’azione sia necessaria al cambiamento. Questa tesi è alla base delle 18 Microaree, intuizione della scuola Basagliana. Come sentenzia lo psichiatra Franco Rotelli, “se una città non cura i cittadini, che città è?”.
L’esperienza di Basaglia ha aperto nuove strade non solo nel campo della psichiatria ma anche della cultura e della convivenza sociale nelle città. Il merito di quell’esperienza è stato quello di abbattere muri e superare i pregiudizi sulla marginalità. Il lavoro di comunità, alla base del FAMU e dei progetti di Invasioni Creative, utilizza il linguaggio creativo per contrastare la solitudine sociale. Far comunicare e rendere meno isolate le aree marginali della città e migliorare la qualità della vita quotidiana.
Oggi, il residente che vive il quartiere può scoprire il percorso inciampando nei vostri QR, così come un visitatore può capitarci di proposito; citando Bruce Chatwin, entrambi possono trovare delle tracce, “uomini che hanno lasciato una scia di canto (di cui ogni tanto cogliamo un’eco) ovunque sono andati” e giocare a reinventare spazi. Un gioco serio, però.
La periferia è bella? Spesso ci precludiamo la possibilità di vivere spazi della città solo perché vittime di una narrazione negativa. Il FAMU vuole stimolare un nuovo senso di appartenenza nei confronti dello spazio, invitando a guardare con altri occhi (positivi) il quartiere che lo ospita, senza esprimere giudizi. Un’occasione per dare valore ai gesti che gli abitanti compiono nel proprio quotidiano: una massima scritta su un muro, una sedia in più lasciata alla fermata dell’autobus, un cartello hackerato, un fiore piantato. Gesti di quotidiana sopravvivenza e autodeterminazione del proprio spazio di vita. Se lo spazio pubblico è nostro, lo trasformiamo e ce ne prendiamo cura.
Prendersi cura delle periferie. I progetti del FAMU
Infatti il termine paesaggio viene solitamente associato al panorama, a qualcosa che vale la pena di fermarsi a guardare per i suoi aspetti di eccezionalità, quelli che il geografo francese Armand Frémont (Le Havre 1931) chiama i “paesaggi sublimi”. Ne consegue che per molti non c’è paesaggio nelle periferie, “perché qui non c’è niente di bello da vedere”. È importante per voi superare quest’ idea e far abbracciare ai residenti tutto il paesaggio?
Trasformare la narrazione degli oggetti dello spazio pubblico ci permette di costruire una nuova narrazione dello stesso. Ritrovarsi all’improvviso circondati da opere d’arte (e non da atti di vandalismo) trasforma la percezione e il senso di quello spazio: si abita in un quartiere unico e speciale, non per forza “ghetto.”
Nell’attuale epoca globalizzata e iper connessa, vi chiedo: quante delle relazioni personali che intratteniamo sono originate dalla prossimità spaziale? Paradossalmente, però, proprio l’eccesso di relazioni virtuali fa riacquisire importanza al locale, come si vede con le pratiche degli orti urbani di quartiere.
A Trieste abbiamo incontrato l’esperienza di Ugorà – Urban Gardening Ora!, un gruppo che si prende cura non solo dello spazio pubblico attraverso l’attività di orticoltura urbana, ma anche producendo eventi culturali e feste conviviali che rendono gli orti veri e propri spazi di aggregazione.
Sulla scia di H. Fulton e di F. Careri del collettivo Stalker, l’attraversamento di questi luoghi e il camminare vengono intesi come pratica conoscitiva e formativa per le persone coinvolte. “Imparare a vedere è il presupposto per imparare ad agire”, sentenzia lo studioso e geografo Eugenio Turri. Che altro aggiungereste?
Semplicemente che oltre ad allenare lo sguardo e la capacità di immaginazione, è fondamentale agire. Citando il sociologo Richard Sennet, riscopriamoci artigiani: concediamoci la possibilità di fare le cose con cura e impegno.
Qualche spoiler per i prossimi progetti?
Il 13 luglio inaugura a Torino il FAMU del Quartiere San Donato che presenta una collezione di opere selezionate da un laboratorio di esplorazione urbana promosso da Invasioni Creative in collaborazione con Più SpazioQuattro – la Casa del Quartiere di San Donato e con il sostegno della Circoscrizione 4 della Città di Torino, insieme a una mostra dedicata ai luoghi abbandonati del quartiere a cura del fotografo Lorenzo Attardo. Seguite i social di Invasioni Creative per scoprire i dettagli dell’iniziativa.
Eleonora Milner
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