Dialogo sulla percezione dell’opera d’arte con un artista under 30
Il giovane artista pugliese è protagonista con una mostra nei Paesi Bassi, in cui riflette sul concetto di opera potenziale e su come il nostro rapporto con l’arte sia influenzato da molteplici elementi collaterali
Potrebbe definirsi un artista analitico Francesco De Prezzo (Lecce, 1994). Eppure nei suoi lavori, dagli esordi fino alla produzione più recente, emerge anche un lato intuitivo, sensibile e sperimentale, nell’accezione artistica del termine, in grado di compensare formalmente il primo aspetto. Non deve quindi stupire che l’attuale mostra Placehoder Sculpture a Wageningen (Paesi Bassi), presso FORM Space, proponga allo spettatore un percorso visivo e intellettuale tra stativi fotografici, strumenti che fanno l’arte ma non la sono (o forse sì?). Autore delle due serie Null e Mokup Paintings, esposte entrambe da LOOM gallery dove sarà in una persona anche nel 2024, il pittore si pone da sempre e, in quest’ultima esposizione soprattutto, “l’interrogativo che riguarda da vicino chi osserva l’arte anche attraverso la sua documentazione”. Cancellando e ricomponendo concettualmente le sue tele o provocando l’occhio interiore di chi si appresta a conoscere la sua poetica. Lo abbiamo incontrato a Milano, città non distante da Brescia, dove vive e lavora. Per avere una sua opinione anche sull’attuale mercato dell’arte.
Intervista a Francesco De Prezzo
Francesco, sembra che tu sia in un momento artistico piuttosto fertile.
Proprio così. E sembra anche che le immagini abbiano un eccezionale ruolo nel comunicare quello che accade intorno al mio lavoro, oltre che il lavoro stesso. Se, per un motivo o un altro, un’opera dovesse momentaneamente sparire dallo spazio che la ospita, potremmo pensare di rimpiazzarla con interviste, pubblicazioni e documentazioni relative all’opera stessa? Sarebbe sorprendente scoprire di sì.
A proposito della mostra Placeholder Scultptures, dove esponi alcuni stativi fotografici anziché le opere in sé: da che tipo di urgenza espressiva è nata?
Ho utilizzato supporti fotografici in sostituzione di opere potenziali, ponendo l’attenzione sullo spazio e sull’anticipazione della scultura, piuttosto che sulla scultura stessa. Questi stativi metallici, richiusi su loro stessi, sono degli strumenti per definire un “set”, e agiscono come dei marcatori di posizione all’ interno di una scena. Rappresentano il potenziale per esibire o sostituire qualcosa a tal punto che anche la definizione di “mostra” in questo progetto, viene messa in discussione, per ottenere un layout aperto.
Potremmo quindi affermare che ciò che dà valore a un’opera d’arte non sia solo l’oggetto artistico in sé, ma anche il mezzo attraverso il quale viene realizzato?
Se come mezzo intendiamo la narrazione questo è certo, basti pensare ai libri di storia dell’arte o ai moderni magazine / blog interamente costituiti da documentazione. La presenza di questi stativi fotografici in Placeholder Sculptures apre un interrogativo che riguarda da vicino chi osserva l’arte anche attraverso la sua documentazione. Mettono in evidenza una posizione, più che costituire un contenuto in senso tradizionale.
Il rapporto tra arte e percezione secondo Francesco De Prezzo
Parliamo spesso del rapporto tra arte e percezione, specialmente all’interno di un White-cube: vuoi condividere qui il tuo punto di vista?
Consideriamo la fruizione di una qualsiasi opera in galleria, che non termina di certo con la nostra visita in mostra: contrariamente a quanto si possa credere, la percezione del lavoro continua a modificarsi nel tempo.È importante evidenziare come da bravi osservatori troppo spesso veniamo a contatto e fruiamo non di opere ma di loro “derivati”. Esistono elementi visivi che collaborano quotidianamente a scolpire e modulare la presenza di un’opera nei nostri riguardi. Mentre l’esperienza primaria dell’arte rimane insostituibile, tutte le forme di derivato collaterale dell’opera, come per esempio la documentazione fotografica, permettono a un pubblico più vasto di entrare in contatto con l’arte, estendendone la vita e l’impatto oltre i confini fisici e temporali di una galleria o di un museo. Tuttavia, possono anche creare una certa distanza o distorsione, proprio come una fotografia di una scultura, poiché si tratta di un’esperienza mediata. È in questo rapporto “di rappresentazione” che accadono le cose più interessanti. Le immagini della “scultura” possono cambiare il modo in cui percepiamo la “scultura”, fino al punto di piegarla sotto nuove prospettive e significati attribuiti. L’impegno di ogni spettatore nei confronti di ciò che chiameremo opportunamente “opera d’arte” è, in verità, un processo spesso inconsapevole, plasmato da elementi quali la nostra precedente conoscenza dell’artista in questione, le informazioni che abbiamo assorbito prima di entrare in una particolare mostra, le nostre impressioni. Questo significa che modificando uno solo di questi elementi collaterali staremo agendo direttamente sull’opera originale.
Cos’è la produzione artistica?
È la produzione di un contesto.
Secondo Achille Bonito Oliva l’arte “non esiste”, è il “sistema dell’arte” a essere reale. Se guardo al tuo percorso artistico sembri in linea con il pensiero del critico.
Sembra essere un’affermazione spiazzante la sua. Una cosa però è certa: qualsiasi opera è definita attraverso tutte le sue fasi espositive, e la sua permanenza nella storia è data dalle dinamiche che si innescano fra questi elementi del tutto collaterali.
La pratica artistica di Francesco De Prezzo
Ambedue le serie Mockup e Null Paintings riprendono a livello rappresentativo il concetto nietzschiano dell’(auto)distruzione che compare sempre al fianco del tuo processo creativo. Tu da dove sei partito per concepirle?
In tutti i dipinti che realizzo lo sfondo si sposta davanti al soggetto, sovvertendo la rappresentazione figurativa a favore di un’area monocromatica. In questo processo, ogni idea deriva sempre da quella precedente. C’è stato un momento, non ben identificato, in cui ho capito che dovevo nascondere i miei dipinti piuttosto che esporli. Da allora è sempre stato così.
Il progetto Placeholder Sculptures è l’ultima tappa (ma non la fine) di questa riflessione?
Le sculture segnaposto sono un passo in più in una direzione maggiormente radicale, quella della sostituzione. Nel mio percorso ho spesso l’impressione di arrivare alla conclusione di qualcosa: un contesto che si sta per chiudere, un’immagine che sta per svanire, un soggetto che sfugge in maniera poco definita. Eppure, ogni apparente conclusione, nasconde il limite di un nuovo inizio, e quindi si riparte sempre dai punti di arrivo in un flusso collegato senza separazioni.
Penso che tu abbia una concezione molto logica dell’arte, anche a livello compositivo. Ti piace la matematica?
Non mi piace la matematica ma, se può essere affine alla domanda, mi piace l’intelligenza artificiale.
Quali aspetti dell’intelligenza artificiale ti coinvolgono?
I testi schematici appesi a muro nella mostra con i Placeholder sono composti dall’intelligenza artificiale, mi interessa osservare il modo in cui ogni ragionamento viene portato a conclusione dall’algoritmo in modo strettamente freddo e razionale, anche quando il discorso sembra perdere un senso o non essere più attinente al punto di partenza. In futuro questo approccio letterale potrebbe dare il via a un secondo capitolo nell’arte concettuale. Un’intelligenza artificiale scrive per anticipazione, offrendoci un contesto che potrebbe differire dalle nostre aspettative, questo mi pare essere un obiettivo comune a tutti gli artisti nel loro lavoro. Si è costantemente alla ricerca di qualcosa di nuovo, qualcosa di inaspettato.
Ti aspetti che queste sculture segnaposto siano vendute durante l’occasione?
Più che vendute andranno restituite. Tutti gli elementi in mostra sono stati acquistati in Amazon, e verranno restituiti come reso alla chiusura del progetto.
La mostra è anche una provocazione che muovi alle logiche del mercato dell’arte?
La provocazione più evidente è spesso quella più discreta, credo che Placeholder Sculptures prenda più che altro la forma di una silenziosa disposizione.
Se dovessi fare un autoritratto, procederesti alla stessa maniera dei Mokup o dei Null Paintings?
Se dovessi dipingere un autoritratto probabilmente otterrei un paesaggio. Per me, l’arte riguarda più l’aspettativa del pubblico che la staticità degli oggetti. Bisogna ammettere che ogni qualvolta si cerchi di conversare di arte si finisce sempre a parlare di altro.
Il 2024 invece dove ti vedrà esporre?
Sto attualmente preparando una nuova personale per il 2024, sarà a Milano, da LOOM Gallery.
Dopo molti anni incredibili di lavoro insieme, la prossima mostra condividerà sicuramente un’inclinazione a indagare il potenziale della rappresentazione.
Ilaria Introzzi
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