Dalla fotografia al suono nelle installazioni di Cristina Cusani a Napoli
Come lavora una fotografa a un progetto d’arte immateriale? Cristina Cusani va oltre l’immagine e allestisce la sua camera oscura dei ricordi all’Arsenale di Napoli
La responsabilità della consapevolezza. L’opera di Cristina Cusani (Napoli, 1984) è un flusso evanescente di voci, un intreccio di memorie sonore inarrestabili da più vite, come ne Le Onde di Virginia Woolf. Immaterialità pura, in linea col coraggioso progetto d’arte non tangibile all’Arsenale, a cura di Marco Izzolino.
L’INSTALLAZIONE DI CRISTINA CUSANI ALL’ARSENALE DI NAPOLI
Eppure ogni ricordo – condiviso con l’artista in un processo relazionale, parte integrante del lavoro – pesa molto, arriva saldo al fondo emotivo attraversando il mare dell’oblio, assicurato come tesoro.
Si pietrifica come gemma e fotografia interiore, che attiva sguardi interni memori delle surrealiste immagini mentali, e accende sensi diversi dalla visione.
Che è occupata infatti, in una camera meditativa alla Rothko Chapel o alla Modus Operandi di Joseph Kosuth, solo dalla turrelliana luce fissa rossa di due monitor, che evoca la matrice metalinguistica di ogni scatto, la camera oscura.
In essa, si concentra in energia e focalizza in sentimento un triplice atto creativo: il riconoscimento di chi ha valutato il ricordo come indimenticabile, la cura di chi lo ha trattato come aurea materia prima, l’empatia di chi col coraggio del cuore lo accoglie, lasciandosene commuovere e anche scuotere: come è vero che l’amore, come l’arte, altro non è che concentrazione.
Diana Gianquitto
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