Dal classicismo all’Informale. La mostra su Afro ad Arezzo

Afro Basaldella e Piero della Francesca: un accostamento audace ma non privo di fondamento. Ad Arezzo si indaga il periodo giovanile del pittore di Udine che, prima di sposare l’informale, praticò lo stile figurativo

La Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea di Arezzo confina con la chiesa di San Francesco, al cui interno si conserva uno dei cicli più significativi della storia dell’arte di tutti i tempi, vale a dire le Storie della Vera Croce affrescate da Piero della Francesca tra il 1452 e il 1466. Ora, nei rinnovati spazi espositivi del museo, è in corso una mostra di assoluto interesse che trae origine proprio dai dipinti della cappella Bacci, anche se parrebbe strano, visto che il protagonista dell’esposizione monografica è Afro Basaldella (Udine, 1912 – Zurigo, 1976), esponente di quello stile informale che si affermò in Italia dalla metà del Novecento. Ed è il sottotitolo, Dalla meditazione su Piero della Francesca all’Informale, a spiegare per sommi capi il concept della mostra: fu infatti proprio il pittore di Udine a dichiarare, di fronte alle opere del sublime Piero: “Dimentica i pieni, cioè le figure, e osserva la perfezione delle forme dei vuoti. Impara a leggere i quadri antichi prescindendo dalla figura e imparerai a trovare gli stessi valori nei quadri moderni che all’apparenza non hanno un rapporto naturalistico”.

Afro. Dalla meditazione su Piero della Francesca all'Informale. Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea di Arezzo. Photo Michele Alberto Sereni e Natascia Giulivi per Magonza
Afro. Dalla meditazione su Piero della Francesca all’Informale. Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Arezzo. Photo Michele Alberto Sereni e Natascia Giulivi per Magonza

La mostra su Afro ad Arezzo. Lo studio dei classici

A sorprendere, tuttavia, non sono le opere che siamo soliti accostare alla firma di Afro – che pur sono presenti in mostra con una piccola selezione che illustra la graduale transizione dal figurativo al post cubismo, fino alla dissoluzione delle forme – ma le prime sale, dove sono esposti dei lavori giovanili rigorosamente legati alla tradizione. Si tratta di pitture e disegni che traggono linfa dai grandi classici dell’arte rinascimentale e barocca: ne sono prova la copia fedele realizzata da Basaldella del Cristo morto di Mantegna, scelto come prova d’esame, e poi le testimonianze legate agli affreschi realizzati nel 1938 a Casa Cavazzini di Udine, che recano ancora forti tracce dei grandi veneti (Tiepolo, Veronese, Pordenone), nonché i disegni che si riferiscono a maestri quali Rubens, El Greco, Velázquez. E non si possono ignorare il bozzetto e i giganteschi cartoni destinati a un grande mosaico – mai realizzato – per l’edificio E-42 dell’Eur, a Roma.
Le sorprese continuano al piano superiore della Galleria. Nel 1938 Cesare Brandi, che comprese subito il talento dell’artista, suggerì alla Soprintendenza all’Arte di Rodi il nome di Afro per le decorazioni dell’Albergo delle Rose (oggi Casinò) e della Villa del Profeta sull’isola. Ad Arezzo si possono ora ammirare le grandi tempere del ciclo delle Stagioni realizzate per l’Albergo delle Rose e che per la prima volta lasciano la Grecia, giungendo in Italia. Si tratta di dipinti fortemente poetici, allegorici e che richiamano “un tempo mitico e allo stesso tempo attuale, vivificato dalla stessa opulenza cromatica che aveva già contraddistinto gli interventi precedenti”, scrivono i curatori.

Afro, dal classicismo all’Informale

Il progetto espositivo deriva quindi da un’accurata ricerca, condotta dal team di studiosi che comprende Alessandro Sarteanesi nel ruolo di coordinatore scientifico, e il curatore Marco Pierini. Quest’ultimo sottolinea come l’esordio figurativo si Afro non fosse solo un “esercizio di formazione”, ma una scelta consapevole, un fil rouge con la grande storia dell’arte con cui si poneva in continuità, sviluppando anche un profondo sentimento per il colore che si ritrova intatto nelle opere informali. “Afro ci invita a leggere Piero e la sua composizione, che diventa uno schema adottato per secoli. Si sentono così gli ultimi epigoni di una tradizione fatta propria anche dal pittore di Udine”, conclude Pierini.

Marta Santacatterina

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Marta Santacatterina

Marta Santacatterina

Giornalista pubblicista e dottore di ricerca in Storia dell'arte, collabora con varie testate dei settori arte e food, ricoprendo anche mansioni di caporedattrice. Scrive per “Artribune” fin dalla prima uscita della rivista, nel 2011. Lavora tanto, troppo, eppure trova sempre…

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