La sacralità del contemporaneo nella mostra di Chiara Baima Poma a Torino
Il mito, la metafora, l’inverosimile sono le chiavi per entrare nel mondo pittorico dell’artista piemon-tese, un luogo antico, al tempo stesso reale e fantasioso
C’è un mondo che viviamo e poi c’è un mondo in cui vorremmo vivere. Il primo è quello tangibile, delle cose in atto, degli attriti del quotidiano, del movimento; il secondo è quello in potenza, sta sopra di noi, “onirico e lezioso”, sta tutto nella mente e nelle sue narrazioni. Ed è questo il luogo esatto della pittura di Chiara Baima Poma (Cuorgnè, 1990), un luogo antico che sembra parlarci di Giotto e di un Duecento italiano che arriva fino ai paesaggi fissi di Carlo Carrà.
La mostra di Chiara Baima Poma a Torino
“Si tratta di un mondo ante-progresso” racconta Baima Poma nell’intervista che accompagna la mostra curata da Clara Sofia Rosenberg da Peola Simondi a Torino “che non sta più in piedi, che nasce dalla mia esigenza di sperimentare una vita che non è auspicabile, né veramente possibile: al contempo realista e fantasiosa, cruda e straziante, ma magica, che si può rivivere solo attraverso l’uso del mito, della metafora e dell’inverosimile.
Un inverosimile che diventa forma reale e figurata seppur stando nel gioco della cultura popolare e dei proverbi, del pensiero in forma incisiva, di un sapere tradizionale, apparentemente immobile e codificato nel tempo, ma che qui si apre a una continua elaborazione di significato che contamina, attraversandoli, passato, presente e futuro.
“La memoria è priva di presunzione” dichiara ancora Baima Poma “e convive quietamente con un presente immaginato e con i suoi simboli: le tele esposte diventano un luogo dove, nel “tutto è possibile”, il logo della Moncler si accompagna a icone aureolate con punzonature medievali”.
La pittura di Chiara Baima Poma
La sua pittura è una biblia pauperum che tenta il passo in una nuova (e plausibile) sacralità del contemporaneo, con una nuova lingua che è punto di crasi e incontro di lingue differenti, per tempi e geografie. E il tema del viaggio non è secondario, ma dato biografico di un vivere artistico che si muove anche fisicamente nel mondo reale e non solo nelle narrazioni che ne riporta.
Il viaggio è causa e contesto della nascita di una figurazione che passa dall’esperienza diretta dei luoghi per trascenderli e renderli pienamente pittorici.
Ci sono il Senegal e l’Asia a confondere le geografie misteriose e affascinanti di un realismo fermo e magico, c’è una curiosità estetica che fa incontrare est e ovest all’interno di scatole prospettiche gotiche, c’è un punto di osservazione che è specchio di una narrazione al femminile dove l’artista parla di sé attraverso i volti e i corpi di altre donne, uniche e molteplici al contempo.
C’è “tutto ciò che è ancora desiderabile, sognabile o idealizzabile: tutto quello che non è solido o tangibile e che si può ancora interpretare secondo la propria fantasia. È un mondo onirico, ma soprattutto un rifugio dalla realtà, perché la realtà è già scritta, quindi scontata, mentre il mondo delle idee non delude mai, in quanto perfetto”.
Sara Panetti
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