Grandi mostre in scena a Bergamo: Vivian Suter e Rachel Whiteread, artiste agli antipodi
I colori sgargianti del Guatemala e una poetica rappresentazione del trauma pandemico sono al centro delle due nuove mostre organizzate dalla GAMeC. Ecco perché non perderle
L’estate bergamasca contemporanea è firmata GAMeC. Il museo, che si sta preparando a trasferirsi in una nuova e ambiziosa sede, presenta – contestualmente al riallestimento della collezione permanente – le mostre di due grandi nomi dell’arte contemporanea internazionale: Vivian Suter (Buenos Aires, 1949) e Rachel Whiteread (Londra, 1963). Due artiste agli antipodi, tanto per le origini quanto per le soluzioni formali adottate: se la prima propone un immaginario complesso, il minimalismo marmoreo della seconda disarma lo spettatore.
La mostra di Vivian Suter alla GAMeC di Bergamo
Attraversare il varco che, dalle scale della GAMeC, porta alla mostra di Vivian Suter significa compiere un viaggio che supera continenti e stati emotivi. Decine di tele dalle cromie sgargianti affollano la sala espositiva, sovrapponendosi, scontrandosi, esplorandosi a vicenda; al centro, anch’essa travolta dall’impetuosità del colore, l’elementare struttura di una casa, quella che Vivian Suter ha scelto come propria abitazione e studio, sulle sponde del lago Atitlán in Guatemala, e che spiega il titolo della mostra curata da Lorenzo Giusti, Home. Quella che Suter dipinge è la luce nella complessità delle sue rifrazioni, che si tramutano in testimonianze dirette della natura che quotidianamente l’artista respira: le opere sono segnate dall’intervento degli agenti atmosferici o dai piccoli organismi che abitano i dintorni della casa di Suter. Una mostra in cui il colore raggiunge anche l’olfatto: è il pervasivo profumo della pittura, infatti, a guidare lo spettatore in questo labirinto d’arte.
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La mostra Di Rachel Whiteread al Palazzo Della Ragione di Bergamo
Lasciata alle spalle l’iridescente natura guatemalteca, entriamo nel rigore di Rachel Whiteread, in mostra al Palazzo della Ragione. L’elemento della sedia, archetipo del design e dell’arte concettuale, viene manipolato dall’artista vincitrice del Turner Prize 1993: le sedute in marmo disseminate nell’ambiente medievale non sono altro, in realtà, che la materializzazione dello spazio racchiuso fra le quattro gambe di due diversi modelli di sedie. Ciò che è vuoto diventa pieno e viceversa, come spesso accade nella pratica artistica di Whiteread. A questa riflessione, che tanto sembra condividere con l’estetica orientale, si aggiunge un’attenzione per il territorio: i marmi utilizzati per le sedute, infatti, sono gli stessi impiegati nella costruzione del Palazzo della Ragione e della circostante Piazza Vecchia. Il legame di queste opere con la città di Bergamo, tuttavia, nasconde un lato drammatico. La loro disposizione all’interno dello spazio è duplice: alcune sono inserite in un rigido schema a scacchiera, separate le une dalle altre da uno spazio di 2 metri, lo stesso che in Inghilterra era consigliato per il distanziamento sociale durante la pandemia; altre sono vicine, raccolte in quelle che sembrano intime conversazioni. Le sedute, nella loro ambiguità fra pieno e vuoto, raccontano anche la precarietà di una vita umana che indugia in bilico tra presenza e assenza, evocando i simboli di un evento epocale che Bergamo ha combattuto in prima fila e che il mondo, nei mesi successivi, ha imparato a nascondere, a reprimere. Dimenticando che i traumi, per essere superati, devono prima essere affrontati.
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Alberto Villa
Nato in provincia di Milano sul finire del 2000, si occupa di critica e curatela d'arte contemporanea. Si laurea in Economia e Management per l'Arte all'Università Bocconi con una tesi sulle produzioni in vetro di Josef Albers e attualmente frequenta…