Siamo Foresta: l’arte indigena in mostra alla Triennale Milano
Da sempre ritenuti marginali, gli artisti delle comunità indigene dell’Amazzonia hanno in realtà molto da dire. Lo spiega bene una mostra alla Triennale
Nel 1980 Gilles Deleuze e Félix Guattari definivano il concetto botanico di “rizoma” come qualcosa che “collega un punto qualsiasi con un altro punto qualsiasi, e ciascuno dei suoi tratti non rimanda necessariamente a tratti dello stesso genere […]. Rispetto ai sistemi centrici (anche policentrici), a comunicazione gerarchica e collegamenti prestabiliti, il rizoma è un sistema acentrico, non gerarchico e non significante” (G. Deleuze e F. Guattari, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, 1980, sez. 1, Castelvecchi 1997, pag. 33 e sgg.). Oggi comprendiamo sempre di più quanto la de-gerarchizzazione e la de-centralizzazione così teorizzata dai due filosofi francesi debba necessariamente essere applicata non solo alle strutture politiche, sociali ed economiche ma anche – e soprattutto – a quelle biologiche.
Nella mostra intitolata Siamo Foresta, allestita al primo piano della Triennale di Milano in collaborazione con Fondation Cartier pour l’art contemporain, si instaurano connessioni rizomatiche volte a una comprensione dei rapporti di interdipendenza tra uomo e natura, attraverso la purezza di uno sguardo indigeno e libero dai condizionamenti del sistema.
La mostra Siamo Foresta a Milano
La mostra presenta voci di artisti provenienti dalle comunità che abitano la foresta pluviale sudamericana, dove la vegetazione e la natura non sono, come accade nelle grandi città del mondo industrializzato, mere decorazioni, bensì influiscono sulla vita quotidiana di persone e di luoghi, determinando abitudini, tradizioni, architetture, pratiche filosofiche e artistiche. La mostra curata dall’antropologo Bruce Albert e da Hervé Chandès, Direttore Generale Artistico della Fondation Cartier, mette in luce questo substrato socio-culturale e le sue produzioni creative, grazie anche a un dinamico e scenografico allestimento realizzato dall’artista Luiz Zerbini. Opere nascoste tra le fronde di piante tropicali (che creano veri e propri corridoi) e interessanti filmati che narrano i contesti creativi delle comunità indigene invitano gli astanti a una scoperta costantemente attiva.
Siamo Foresta lancia una doppia sfida alla centralizzazione: da un lato, porre l’accento su artisti non solo outsider, ma anche extra-occidentali, ricalca la necessaria tendenza contemporanea ad ampliare lo sguardo verso frontiere inesplorate e finora escluse; dall’altro, vengono posti in discussione i dogmi dell’antropocentrismo e dello specismo, che vogliono l’uomo al di sopra delle altre specie viventi, legittimandolo nelle sue reiterate pratiche di sfruttamento.
Gli artisti della mostra Siamo Foresta
A testimonianza di ciò vi sono i disegni bicromi di artisti Nivaklé provenienti dal Chaco paraguaiano: Efacio Álvarez e i suoi zii Angélica ed Esteban Klassen, così come Floriberta Fermin, si cimentano in sinuose composizioni in cui i protagonisti (animali e vegetali) emergono dal contrasto del bianco e del nero, non diversamente da quanto accade nelle opere di Solange Pessoa, scelta da Cecilia Alemani per figurare nella sua Biennale di Venezia e qui rappresentata da una selezione di otto dipinti.
Spicca, poi, la pittura del brasiliano Bruno Novelli, in cui vibranti e amazzonici colori si prestano a una figurazione quasi destrutturata e caleidoscopica; oppure le opere di Alex Cerveny, che ribaltano il leonardesco Uomo Vitruviano (simbolo di un umanesimo ambiguo proprio per la sua deriva antropocentrica e dunque inattuale) e propongono una nuova mitologia umana, più intrecciata all’ambiente circostante e dotata di metaforiche caratteristiche vegetali, come radici e germogli.
Non solo Sudamerica: le collaborazioni artistiche presenti in mostra
Se è vero che i protagonisti di questa rassegna sono gli artisti indigeni e sudamericani, Siamo Foresta si rivela l’occasione per scoprire gli esiti di collaborazioni artistiche tra outsider e autori affermati, all’insegna di un offuscamento dei confini artistici e geografici. Immaginari e stili differenti si incontrano in quelle che paiono affinità elettive, dando vita a tre collaborazioni che vedono i nomi di Cai Guo-Qiang, Adriana Varejão e Fabrice Hyber confrontarsi rispettivamente con gli artisti yanomami Ehuana Yaira, Sheroanawe Hakihiiwe e Joseca Mokahesi. Emerge dunque la possibilità di creare nuovi legami (o rizomi) in grado di rispondere a un’esigenza intersezionale di rappresentatività. Coincidenza vuole che, proprio durante la giornata d’inaugurazione di questa mostra, Adriano Pedrosa abbia svelato il tema della 60esima Biennale Arte di Venezia, che vedrà la sua direzione artistica: gli Stranieri Ovunque che danno il titolo alla prossima kermesse lagunare saranno proprio gli outsider, in gran parte sudamericani e nativi.
Alberto Villa
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati