Il dimenticato a memoria di Vincenzo Agnetti in mostra a Milano e a Londra
Pioniere nella ricerca contro il feticismo del linguaggio, Agnetti incentra arte e riflessione critica sull’estrapolare le parole dal contesto, per bonificare la lingua e permetterle di stratificarsi nella memoria. La mostra doppia da Cardi Gallery
Quello di Vincenzo Agnetti (Milano, 1926 – 1981) è un universo mentale sospeso tra produzione d’arte e speculazione filosofica. La mostra Tempo e memoria, in contemporanea nelle sedi milanese e londinese della Cardi Gallery in collaborazione con l’Archivio Agnetti, riporta in auge il suo lavoro: dopo gli inizi come pittore informale, aderente all’arte concettuale, critico e teorico della Neoavanguardia italiana, Agnetti visse a Buenos Aires (tra il 1962 e il 1967), dove rinnegò ogni forma d’arte, smise di dipingere e inventò l’Arte no, per dedicarsi allo studio di diverse discipline scientifiche.
Agnetti lavora sul linguaggio e sul paradosso della comunicazione come tramite più veloce per tracciare il pensiero: le parole vengono spaiate in una trama che crea enunciati nuovi. Gioca con la percezione creando opere aperte alla libera comprensione, confidando in una dimenticanza che equivale a stratificazione nella memoria individuale.
La mostra su Vincenzo Agnetti a Londra e a Milano
Sono stati riesumati lavori storici come Elisabetta d’Inghilterra (video, 30’,1976), che recupera la performance in un teatro statico (“uno spettacolo senza movimento, senza personaggi e senza testo”, ideato dall’artista) sul ciclo storico della nazione. Al microfono l’artista trasforma il suo monologo in un medium mistificato mostrando che la storia è unmessaggio di gomma e i significati hanno un uso sempre alterabile.
Nella mostra londinese si apprezza anche un grande Libro dimenticato a memoria audacemente aperto (a Milano fa da contraltare un libro intoccabile, sotto plexiglas): intagliato il centro delle pagine, resta solo il contorno, dunque scompare il testo semantico, per offrire a chi guarda ogni sorta di interpretazione.
In entrambe le gallerie è esposta una grande meridiana (tempus mentis) su bachelite bianca: a Londra Il tempo è conquistatore di spazi, a Milano Il tempo è il percorso dell’esistenza e l’esistenza la stratificazione del tempo. La meridiana inganna, l’ombra rimane immobile sotto lo gnomone illuminato dalla luce artificiale e cade su una delle parole incise, concretizzando il paradosso dell’assunto.
Gli Assiomi e i Feltri di Vincenzo Agnetti
A Londra sono 35 le opere in mostra, a Milano più di 25. Le grandi sale della Cardi mostrano una serie di Assiomi ben allineati, distanti dai manufatti in feltro, per sottolinearne la diversa intensità riflessiva.
Gli Assiomi sono lastre in bachelite nera incisa, in cui diagrammi e parole compongono proposizioni paradossali, più spesso tautologiche. I Feltri sono invece pannelli incisi a fuoco, che riportano lettere o frasi su fondi di differenti colorazioni. Sono anche autoritratti, ritratti o paesaggi, e rispetto alla freddezza indotta dalle bacheliti mostrano una ridondanza letteraria. Il feltro riporta al punto zero, le parole saccheggiate attendono un quid pluris che le traduca, dimenticandole a memoria.
A Milano il grande Trono (1970) realizzato con Paolo Scheggi, nero e forma piramidale, crea una disambiguazione che va oltre le parole incise. La forma surreale è la conquista di un sistema inedito sospeso tra un passato arcaico, ove gli oggetti e la parola non erano importanti, e il controllo semantico della contemporaneità scientifica.
Per Agnetti nella smaterializzazione c’è il vero apprendimento, il dimenticato a memoria oltrepassa le parole costrittive e ingannatrici che ci allontanano dall’originalità.
Cristina Zappa
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