I festival culturali italiani che raccontano il mondo queer

Nell’ambito dei nostri approfondimenti sull’inclusività del mondo della cultura, ci concentriamo sul contributo dei festival italiani al dibattito queer. Le interviste a Bruno Casini e Daniele Del Pozzo

Canali fondamentali per veicolare temi su genere e LGBTQIA+, i festival in Italia hanno giocato e giocano ancora oggi un ruolo determinante per animare il dibattito e invitare a una riflessione sul mondo queer. Lovers Film Festival a Torino, Florence Queer Festival a Firenze, Gender Bender a Bologna, Mix Festival a Milano, Sicilia Queer Filmfest a Palermo, BiG – Bari International Gender festival, sono alcune delle rassegne – alcune di queste potremmo definirle “storiche” – che si svolgono nel nostro Paese, la maggior parte di tipo cinematografico. Le storie di questi festival non hanno soltanto una matrice culturale, ma anche politica, ed è questa la visione e soprattutto la missione che contraddistinguono le loro attività: che funzione e impatto hanno avuto e continuano ad avere queste manifestazioni sulla società?
Ecco cosa ci hanno risposto Bruno Casini, fondatore ed ex direttore artistico del Florence Queer Festival, e Daniele Del Pozzo, direttore artistico di Gender Bender, che ci hanno raccontato – attraverso le esperienze dei loro festival – storie, scenari e prospettive della situazione in Italia.

Florence Queer Festival. Photo Sandra Nastri
Florence Queer Festival. Photo Sandra Nastri

Florence Queer Festival. Intervista a Bruno Casini

Perché i queer festival in Italia sono quasi tutti cinematografici?
Innanzitutto per motivi di budget: organizzare una rassegna di cinema non costa quanto una rassegna teatrale o musicale, il cinema è più accessibile. L’Italia da questo punto di vista è molto indietro rispetto ad altri Paesi europei: in Francia, Spagna, Inghilterra e Germania ci sono festival di cultura queer supportati dallo Stato; i nostri festival sono spesso indipendenti e basati sul volontariato.

Data la specificità del tema, fare queer festival non potrebbe portare ad alimentare una sorta di “ghettizzazione”?
Ormai il concetto di ghetto LGBT è superato, ma i festival queer sono necessari perché, nel caso delle rassegne cinematografiche, il 90% delle pellicole queer in Italia non hanno una distribuzione. Abbiamo fatto film bellissimi, che avrebbero potuto essere proiettati nelle sale; da questo punto di vista, i queer festival sono oasi culturali.

Come mai questi film non vengono distribuiti? Forse non farebbero incassi?
Mah, bisognerebbe provare, io penso che il pubblico ci sarebbe: al Florence Queer Festival registravamo due o tremila persone paganti, dai 20 ai 70 anni. Anche in questo caso, l’Italia è indietro rispetto ad altri Paesi europei.

Nell’arco della tua vita, a quali cambiamenti ed evoluzioni hai assistito in Italia? Ci sono stati passi avanti anche dal punto di vista della promozione della cultura queer?
Sì, gli Anni Settanta sono stati gli anni della militanza politica e anche culturale, io ho gestito uno spazio a Firenze in cui abbiamo fatto le prime rassegne gay di teatro e cinema underground, le prime performance di Ivan Cattaneo, il tutto con spirito carbonaro. Dagli Anni Settanta agli Ottanta c’è stato il passaggio dalla politica militante alla leggerezza: negli Anni Ottanta tutto diventa più leggero e colorato, nascono l’arcigay e l’associazionismo, ma anche in questo caso all’estero erano già più avanti di noi. Nascono e si diffondono anche i Pride, che oggi si fanno in tantissime città, e – mi dispiace dirlo – “vanno di moda”.

Quanto c’è di militante e di politico nei Pride di oggi?
I Pride oggi sono importanti, molto partecipati, ma non bastano più le canzoncine, bisogna tirare fuori elementi di critica omosessuale: ricordare personaggi come Dario Bellezza o Aldo Braibanti, partigiano, antifascista e omosessuale dichiarato. Queste sono le cose di cui bisognerebbe parlare oggi.

Storm End Come, spettacolo della coreografa israeliana Yasmeen Godder a Gender Bender 2012
Storm End Come, spettacolo della coreografa israeliana Yasmeen Godder a Gender Bender 2012

Gender Bender. Intervista a Daniele Del Pozzo

Cosa ha di diverso Gender Bender rispetto agli altri queer festival italiani?
Gender Bender è un festival che quest’anno giunge alla 21esima edizione, e 20 anni fa avere un festival specificamente di arti contemporanee che intrecciasse ricerca artistica e tematiche legate all’identità di genere e agli orientamenti sessuali era qualcosa di inedito.

Perché veicolare queste tematiche attraverso la cultura?
Si potrebbe sintetizzare così: tu esisti in ambito sociale se esiste una tua rappresentazione in ambito culturale. Il fatto di poter vedere storie LGBT rappresentate al cinema, in tv, nei giornali, a teatro e in una galleria d’arte, se io esisto in questi luoghi, vuol dire che faccio parte di quel sistema culturale con cui la società si rappresenta, e quindi colmando con la presenza una invisibilità. Questo è avvenuto nel cinema, ma è stato più complesso nelle arti performative e contemporanee, nonostante queste siano considerate luoghi di massima apertura.

Da cosa è causato questo gap?
In passato si tendeva a tenere molto distanti il piano dell’attivismo da quello dell’arte. Quello che abbiamo tentato di fare con Gender Bender è colmare la separazione che ancora esiste tra l’ambito culturale italiano e l’attivismo. In Italia c’è un retaggio di scuola idealista, quasi crociana, secondo cui l’arte non ha a che fare con la vita. Con Gender Bender abbiamo dato uno spazio sul quale fosse possibile autorappresentarsi: non è un altro da me che parla di me, ma è la possibilità che possa essere io a fare un discorso su me stesso e su come io mi percepisco.

La danza è una delle forme d’arte “predilette” da Gender Bender. Come mai?
La danza in Gender Bender ha avuto un significato più forte, perché utilizza il corpo come strumento di espressione. Lavorare con il corpo significa anche ampliare lo specchio delle differenze: che tipo di relazione cerco dall’altro da me? Io sono diverso da te, ma da vicino forse siamo più simili di quanto possiamo immaginare. Siamo convinti che la bellezza abbia un potere trasformativo, crediamo nella possibilità di trovare forme di bellezza inedite e che grazie all’arte si possa avvicinare anche chi magari non la pensa come noi.

Desirée Maida

florencequeerfestival.it
genderbender.it

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #73
Abbonati ad Artribune Magazine

Acquista la tua inserzione sul prossimo Artribune

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Desirée Maida

Desirée Maida

Desirée Maida (Palermo, 1985) ha studiato presso l’Università degli Studi di Palermo, dove nel 2012 ha conseguito la laurea specialistica in Storia dell’Arte. Palermitana doc, appassionata di alchimia e cultura giapponese, approda al mondo dell’arte contemporanea dopo aver condotto studi…

Scopri di più