Salon Palermo, un radar sulla nuova pittura italiana. Parola a Francesco De Grandi e Antonio Grulli

Un appuntamento ormai rituale, negli spazi della RizzutoGallery, atteso dai giovani e osservato dalla critica. L’intervista a Grulli e De Grandi è occasione per mettere insieme riflessioni e idee sullo stato della pittura contemporanea

Dove la pittura accade, transita, approda, si sedimenta, spargendo echi di meraviglia. Infinite pagine di storia della pittura si sono consumate in Sicilia, nel dialogo costante con ciò che è oltre l’Isola: mistura felice di genius loci ed energie straniere, plurali. Ed è regina della pittura, la Sicilia, tra il sorriso dell’ignoto marinaio, mistero ed eloquenza di una concretissima presenza, figlio di quella modernità internazionale che nutrì lo sguardo di Antonello, e il teatro macabro del Trionfo della Morte, sfavillio ultraterreno di tavolozze astratte e non umane; con tutto quello che fu, nei secoli, immagine fondativa, celebrativa, civile, decorativa, mistica, erotica: altezze di luce, territori d’ombra, metafisica del colore o suo realismo disperato.

Un Salon per i nuovi pittori a Palermo

Ma Palermo continua a riannodare i fili e ad accogliere pittori, a generarne, a metterli in contatto, a farsi ponte, dimora, officina, rifugio, ispirazione. E quel Salon che fu dei refusé, nella Francia ottocentesca dei salotti borghesi e dei caffè maledetti, riecheggia nel nome di un nuovo luogo in cui discorrere e sognare di pittura, presentandone meditati e organizzati assaggi: ogni anno, una selezione di opere di giovani pittori italiani. Il seme sboccia tra le pareti di una galleria palermitana: Giovanni Rizzuto, gallerista con un amore antico e inesausto per la pittura, s’immagina un momento di scouting e riflessione sulla nuova, nuovissima scena italiana. Idea perseguita con convinzione e definitasi nel solco di un dialogo profondo con Francesco De Grandi, artista della sua scuderia, talento pittorico oggi tra i più affermati, colti, significativi. Naturale il coinvolgimento di Antonio Grulli, critico e curatore che che con De Grandi da tempo intrattiene uno scambio felice, in un continuo macinare e macerare di stimoli, spunti, immagini rubate tra studi, pagine Instagram, articoli di giornale, mostre, circuiti emergenti, là dove la voglia di fare ricerca sopravvive.

Francesco De Grandi, ritratto. Courtesy Rizzuto Gallery, 2023
Francesco De Grandi, ritratto. Courtesy Rizzuto Gallery, 2023

Pittura, lingua dell’origine

Così, nel tempo, si è trattato di tenere dritte le antenne: cercare di capire, osservando i più giovani, quale sia la direzione attuale e futura. Verifica incerta e feconda dei contorni di un processo in atto. Pittura che non smette d’invecchiare e di morire, che ostinata s’aggrappa alla storia e ne consuma le ossa, la carne, i segni, le voci, essendone di volta in volta riflesso necessario, eredità ingombrante, schianto di una folgorazione, noia di una ripetizione. Infiacchita, illividita, poi impetuosa e ridesta. Irrinunciabile, sembrerebbe: forse c’entra il senso di quel gesto originario, segno tracciato tra la notte e l’alba dei tempi, antropologicamente identificabile con il sorgere della coscienza dell’uomo, attraverso la rappresentazione di sé e del mondo. È allora, la pittura, lingua sommersa di tutti? Tutti quelli che inventeranno lingue nuove e che dimenticheranno, non senza l’imperativo morale e il piacere romantico del custodire, le lingue già pronunciate, fatte a pezzi, digerite. Un nodo primigenio che disturba, trasmuta, rimane.

Antonio Grulli. Photo Roberto De Pinto
Antonio Grulli. Photo Roberto De Pinto

Intervista ai curatori

Un gallerista di Palermo. Un artista e docente di pittura, anche lui palermitano, nelle vesti di curatore. Un critico/curatore di Milano. Tutti legati da rapporti personali e professionali: da quale esigenza comune viene fuori un progetto come Salon Palermo?
Francesco De Grandi: Salon Palermo nasce spontaneamente, da assonanze createsi nel tempo grazie a situazioni che hanno fatto da facilitatrici. Penso ad esempio all’esperienza del Simposio di pittura organizzato da Luigi Presicce ogni estate alla fondazione Lac o’ Le Mon a San Cesareo di Lecce, o a tutte quelle esperienze spontanee negli studi degli artisti o in spazi indipendenti che sono le cartine tornasole dell’arte in evoluzione sul territorio. La sponda di Giovanni Rizzuto ha dato il via. L’era dei social ha semplificato la capacità di osservazione, almeno nel primissimo sguardo, nell’individuare mondi pittorici interessanti che ovviamente vengono sempre approfonditi con il corpo e i sei sensi, prima di essere selezionati.

Antonio Grulli: Il lavoro sulla pittura per me è iniziato molti anni fa e si è sviluppato non solo a livello personale, ma anche all’interno di un gruppo più o meno informale di lavoro, tra colleghi critici e artisti. Percepisco questo insieme fluido di persone come un collettivo in continua definizione, ma con un nocciolo solido attorno a cui si aggregano i nuovi arrivati. Francesco è da anni per me un interlocutore fisso con cui confrontarmi sulla pittura e non solo, a un livello teorico e pratico. Assieme a lui vi sono altre figure come Luigi Presicce, Marco Cingolani, Francesco Lauretta, Luca Bertolo, Maria Morganti – per fare solo qualche esempio – con cui abbiamo sviluppato progetti, fatto mostre, e con i quali abbiamo generato già molta letteratura sull’argomento.

E il Salon?
AG: Proprio da qui ha origine lo spirito del Salon. Io ho sempre amato l’abitudine anglosassone dei Summer Show, molto importante a Londra ad esempio, come momento in cui si presentano le nuove leve artistiche al grande pubblico. Quando con Rizzuto e De Grandi abbiamo iniziato a parlare dell’ipotesi di fare una mostra di pittura ho pensato che il mio Summer Show annuale lo volevo tenere a Palermo, città rivelatasi perfetta per l’atmosfera che si riesce a creare ogni volta, per la sua tradizione pittorica, e per il suo essere diventata così internazionale, soprattutto nella stagione estiva.

Salon Palermo 1, exhibition view at Rizzuto Gallery, Palermo, 2021
Salon Palermo 1, exhibition view at Rizzuto Gallery, Palermo, 2021

Quel è il “manifesto” del vostro Salon? Osservando queste prime tre edizioni, sembra emergere una dominante figurativa, seppur declinata in diverse chiavi (narrativa, simbolica, concettuale, realista, surrealista, metafisica, etc.). Nonostante il lavoro di molti autori tenda verso lo sfaldamento delle forme e dei piani, l’astrazione pare essere esclusa da queste ricognizioni. Una vostra passione o è davvero una tendenza che registrate tra le nuove generazioni?
FDG: Salon è guidato dal desiderio. Unico vero manifesto plausibile della vita.

AG: Entrambi abbiamo un approccio molto romantico ed esistenziale a questo tipo di cose. Agli artisti arriviamo visitando tantissime mostre ogni anno e soprattutto seguendo i suggerimenti delle persone di cui abbiamo fiducia. Visitiamo sempre lo studio di ogni artista prima di decidere se selezionarlo o no. Crediamo nella pittura ed esponiamo le cose che amiamo, ma siamo anche molto radicali: non ci siamo mai allontanati dalla pittura figurativa in tre anni. Nostra grande passione, sì, ma la ragione è legata anche al momento che stiamo vivendo: c’è grandissima energia attorno alla pittura figurativa, all’estero così come nel nostro Paese, che, a mio parere, è internazionalmente all’apice rispetto a questo tipo di arte tra le ultime generazioni. Abbiamo una scena pittorica e figurativa enorme, molto variegata, diffusa dal nord al sud. Con Francesco non escludiamo in futuro di fare un’edizione solo di pittura astratta, ma di sicuro il Salon esporrà solo e sempre pittura.

La Sicilia è una terra che alla pittura ha dato molto e in forme diverse. La storia degli ultimi decenni si è nutrita – in pittura come in letteratura – di un approccio tradizionalista, insulare, identitario (in certi casi di alto profilo, in altri in bilico tra bozzettismo e conservatorismo), senza escludere, sul fronte opposto, scintille di sperimentalismo, di innovazione, con slanci internazionali.
Qual è un oggi il clima che si respira? La pittura, in Sicilia, è ancora un linguaggio fortemente praticato e radicato?
FDG: Palermo è stata, tra la fine dei Novanta e i primi Duemila, una riserva indiana per la pittura. Tutt’ora questo posto conserva una capacità innata di sottrarsi, nel bene e nel male, ai modelli di omologazione delle grandi capitali internazionali. Il suo essere un territorio difficile mette gli artisti di fronte a scelte molto dure e in qualche modo impone atti di coscienza radicali. Nello stesso tempo permette di vivere con poco e orizzontalizza le differenze, questo viene percepito da chi arriva a lavorare qua, ci si sente in qualche maniera più liberi di essere sé stessi, ci si sente accolti. A Palermo ci si può anche nascondere, trovare una forma di esistenza, ma il fatto che ci si può pure rimanere completamente impelagati e sopraffatti rende molto guardinghi, allena la presenza.

AG: Per me Palermo è uno dei grandi laboratori della pittura in Italia, e gli artisti più giovani – nati tra fine Anni Novanta e primi Duemila – guardano a quello che si è fatto qui come a un esempio. Gli artisti degli Anni Novanta palermitani sono assolutamente in linea con la pittura in voga oggi in posti come Los Angeles, Londra, Berlino. Quelle figure erano avanti di almeno vent’anni. Anche per questo il Salon funziona così bene a Palermo.

Salon Palermo 3, exhibition view at Rizzuto Gallery, Palermo, 2023
Salon Palermo 3, exhibition view at Rizzuto Gallery, Palermo, 2023

A livello nazionale, invece, che idea vi siete fatti? Tornata al centro del dibattito internazionale già da diversi anni, in che fase vi pare si trovi, la pittura, adesso? Rispetto al mercato, all’attenzione dei critici/curatori italiani, alla presenza nelle grandi mostre, al sistema delle fiere, alla ricerca degli artisti.
AG: Come dicevo è un ottimo momento. Io ho iniziato a fare il critico nei primi anni 2000, e da subito ho lavorato con la pittura: in quegli anni era difficilissimo, dipingere veniva visto come qualcosa di morto, sorpassato, sostenendo che anche all’estero nessuno se ne occupasse più. Poi visitavo Londra e finivo in gallerie come The Approach, andavo a New York e Berlino e trovavo mostre di Elisabeth Peyton… insomma c’era tantissima pittura e di qualità, e questo mi dava coraggio. Con pochi colleghi e amici abbiamo lottato e attorno al 2010 le cose sono iniziate a cambiare. Oggi siamo in piena esplosione di un fenomeno tornato prepotentemente di moda. C’è tanta qualità nei nostri pittori giovani e meno giovani, e stiamo cercando di fare in modo che queste ultime generazioni si leghino ai pittori delle generazioni precedenti. Il mercato mi sembra vada molto bene, come era ovvio che fosse. Iniziamo insomma a raccogliere quello che abbiamo seminato per lungo tempo. Poi è normale che oggi si buttino tutti sul carro della pittura, sono dinamiche naturali.

Tornando al Salon, avete portato a Palermo tanti giovani, talentuosi pittori del sud e del nord Italia. L’eco di questo progetto ha valicato con successo i confini dell’isola. Che tipo di partecipazione e quali aspettative percepite tra i giovani con cui siete in contatto?
AG: Penso di poter affermare che il Salon Palermo è ormai uno degli appuntamenti fissi sulla pittura in Italia; siamo alla terza edizione e non esistono molte manifestazioni sulla pittura con uno storico di questo livello. Tra i più giovani, soprattutto nelle accademie, è diventato un riferimento, e a questo molto ha contribuito il passaparola partito dagli artisti che hanno già partecipato. Molti dei ragazzi erano alla loro prima esperienza e per una buona parte di loro da quel momento la carriera è davvero decollata. Ci rende felici sapere che diverse opere vendute sono entrate in collezioni private prestigiose e che nella prossima grande mostra sulla pittura che faranno in Triennale, a Milano, molti nomi sono nati con il Salon.

La questione “pittura lingua morta” è un tormentone che non muore mai. Puntualmente uccisa, affondata, riposta in soffitta, accusata di obsolescenza, eccola tornare ogni volta in forma smagliante, a guidare corsi e ricorsi del mercato, dibattiti della critica, esperienze di ricerca artistica e riflessioni estetiche. Eppure, per alcuni, si tratta di una evidenza: fra transumanesimo, intelligenza artificiale, NFT, esplosione e superamento di ogni tipo di avanguardia, la pittura (e la scultura) sarebbero incapaci ormai di riflettere le urgenze del presente. Non più contemporanee, dunque, nonostante siano figlie di questo tempo. Cosa ne pensate?
AG: È l’esatto contrario per fortuna. Mai come oggi la pittura è utile. Non dimentichiamo che dopo la nascita della fotografia, quando sembrava fosse arrivata la sua fine, è iniziato un momento eroico della pittura, pari a quello avvenuto tra medioevo e rinascimento. La pittura è eterna, è necessaria all’uomo come il respirare, e queste nuove scoperte sono solo utili alla pittura per mettere nuovamente a fuoco la sua anima. Anche oggi, proprio oggi, nel dilagare del virtuale, abbiamo ancora più bisogno di fisicità. Penso che la necessità di pittura e il suo vivere un momento d’oro sia simile all’esplosione dei concerti nel mondo della musica. La gente ha ancora più bisogno di forme di esperienza e riflessioni che solo attraverso il loro corpo e i loro sensi, in maniera diretta e ravvicinata, può avere. Ogni forma d’arte, così come ogni produzione di senso, esiste solo come capacità di generare una resistenza e una frizione rispetto a un mainstream. La vera arte e la vera cultura esistono solo se in grado di ferire un sentire comune, non sono attorno a noi per generare consolazione, conforto o ribadire luoghi comuni.

Salon Palermo 3, exhibition view at Rizzuto Gallery, Palermo, 2023
Salon Palermo 3, exhibition view at Rizzuto Gallery, Palermo, 2023

E sono altrettanti, in effetti, a ritenere che il medium non sia mai il problema. Ognuno sceglie quel che sente più vicino e funzionale alla propria narrazione, secondo le evoluzioni del linguaggio, della cultura. Ma a proposito di narrazione, di quale tipo di racconto, oggi, abbiamo bisogno? Spirituale, politico, poetico, intimo, sovversivo, legato alla rappresentazione oppure avulso dal reale? Dove ci porta oggi il racconto in pittura?
FDG: I pittori sono una razza a parte che vive da sempre nel macrocosmo in continua espansione denominato arte. A volte da protagonisti altre da parassiti, ogni tanto come cellule dormienti. Oggi il racconto è intimo e corale, cerca l’incanto, dopo esserci disincantati vogliamo incantarci di nuovo del mondo.

Perché la pittura, nonostante tutto, resiste all’interno del sistema e seduce, trasversalmente?
AG: Come è solito dire Marco Cingolani, dobbiamo ricordarci che, almeno fino agli anni ‘60 del secolo scorso, “pittura” era sinonimo di “arte”, almeno al 90% – con una piccola parte ricoperta dalla scultura -, così come ancora oggi “film” è sinonimo di “cinema”, ad esempio. La pittura non è un linguaggio come gli altri nel mondo dell’arte, è la madre attorno a cui ruota ancora tutto, volenti o nolenti, consapevoli di questo o no.

A un certo punto, però, questa centralità era venuta meno…
AG: Negli anni in cui io e te, Helga, abbiamo iniziato a muovere i primi passi nell’arte, tutto il nostro sistema guardava a nord, alle città tedesche, inglesi, scandinave, ecc., con tutto quello che ne consegue in termini di prevalenza anche di un linguaggio artistico fatto di arte concettuale, forme asciutte e disidratate, una certa stitichezza di contenuti e del modo in cui vengono proposti. Oggi tutto il mondo dell’arte è tornato a guardare verso sud, verso certi materiali, verso una ricchezza di contenuti e di forme, verso un nuovo amore per materiali e tecniche come la ceramica, il vetro, ecc. E questo ha inevitabilmente riportato al centro di tutto la pittura e la sua storia, e quando questo accade l’Italia torna ad essere nuovamente al centro della scena. Sono tanti i miei amici stranieri che si sono trasferiti in Italia, molti in Sicilia peraltro. E tanti altri desiderano farlo.

Spostiamo un attimo più in là il discorso. Non sarà forse l’arte stessa, così come l’abbiamo conosciuta nel corso degli ultimi 100 anni, ad aver esaurito la sua ragion d’essere? Non sarà forse arrivata al suo termine la dimensione dello spettacolo, della mostra-show, della biennale internazionale, del museo come spazio di conservazione e valorizzazione, dell’art system con le regole che abbiamo inventato? L’arte attende una nuova, radicale rivoluzione antropologica?
FDG: Sicuramente sentiamo il bisogno di riappropriarci del nostro tempo e del nostro corpo, di relazioni più genuine e senza scopo se non quello di stare bene assieme, di eliminare sovrastrutture tossiche e di facciata. Magari di avere un impatto più gentile e meno mostruoso sul mondo.

AG: Questa volta cito Luigi Ontani: “Il mondo dell’arte non ha quasi nulla a che fare con l’Arte”. Ed è vero. Il mondo dell’arte è noiosissimo. Ma intorno vedo tanta bella arte, tante belle mostre, e tante iniziative piene di vita e pensiero. Dobbiamo solo crearci un nostro percorso e evitare quello che sentiamo lontano. Non dobbiamo per forza vedere tutto e frequentare tutti. Di rivoluzioni antropologiche non ne vedo invece, è tutto uguale al passato e sarà così almeno per qualche secolo: tutte le generazioni hanno avuto l’impressione di essere al centro di una svolta o di una fine, almeno da quando abbiamo testimonianza scritta dell’uomo; ma è una deformazione percettiva. Lo facciamo perché vogliamo sentirci al centro di qualcosa di epico e unico, e non accettiamo l’idea di essere una generazione come tante: nessuno accetta l’idea di essere banale.

Lo chiedo a entrambi, artista uno, curatore l’altro: cosa è per voi la pittura? Da un punto di vista personale, come pratica quotidiana, come ambito di studio, come prospettiva attraverso cui leggere la realtà, come forma d’esistenza. Perchéé, dunque, la pittura?
FDG: Sono nato così, mi piace stare al mondo in questa maniera, il desiderio è la mia unica risposta.

AG: Per me la pittura è stato un amore nato in maniera molto spontanea nella mia vita, fin da quando avevo 12-13 anni e nonostante venissi da una famiglia che non ha nulla a che fare con l’arte. Ho due ricordi molto forti: mia mamma che mi parlava di Ligabue – un artista che amo ancora tantissimo – e i quadri e i pittori che scoprivo sulle copertine dei libri che compravo. Nessun ragazzo di oggi può capire cosa significasse formarsi sull’arte nell’era pre internet e vivendo in campagna. La scarsità di informazioni era tale da far nascere una sete di arte simile a quella di un uomo nel deserto. Come pratica quotidiana occupa una buona parte del mio tempo di oggi. Come maniera di stare al mondo è bellissimo per me vedere la disciplina dei pittori, simile a quella di monaci o di samurai. E amo il modo in cui scrivono i pittori: tra i testi più belli che abbia mai letto metto quelli di Marlene Dumas.

Helga Marsala


Gli artisti dei Salon:

  1. Sabrina Annaloro, Mattia Barbieri, Enne Boi, Anna Capolupo, Silvia Capuzzo, Cosimo Casoni, Gabriele Ermini, Alessandro Giannì, Jimmy Milani, Mattia Sinigaglia
  2. Chiara Calore, Martina Cassatella, Roberto De Pinto, Barbara De Vivi, Aronne Pleuteri, Francesco Maria Romano, Danilo Stojanovic, Dorotea Tocco, Vittorio Zeppillo 
  3. Alessandro Aprile, Emilio Gola, Agnese Guido, Letizia Lucchetti, Andrea Luzi, Elisabetta Marino, Martina Pozzobon, Elias Vitrano

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

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