La relazione tra sfera umana e vegetale in una mostra alla Fondazione Sandretto
La natura non è altro che l’insieme di più ecosistemi tutti collegati tra di loro, ugualmente fondamentali e decisivi per il vitale funzionamento del pianeta Terra. Una mostra a Torino mette in scena 11 posizioni d’artista sul tema
Negli ultimi anni osserviamo come il sistema globale è al centro di profondi cambiamenti climatici, politici e sociali. A partire da questo presupposto The butterfly affect, a cura di Irene Calderoni e Bernardo Follini, presso la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, ragiona in maniera espansa su dinamiche collettive come il concetto di cura, di piacere e quello di ecologia legati de facto alla nozione di agency individuale. Questa teoria, sviluppatasi negli anni ’90, si basa sull’esercizio del libero arbitrio da parte della collettività che può trasformare, creare e opporsi alle attuali strutture che regolano l’intera comunità.
The butterfly affect: la visione alternativa della natura
Di qui emerge un approccio curatoriale ed espositivo ragionato che, a partire dall’impatto delle attività dell’uomo sull’ambiente in cui vive, presenta attraverso la sperimentazione, i vari media e le differenti narrazioni delle artiste e degli artisti coinvolti, delle possibilità di salvaguardia, relazione, distruzione, rinascita e coesistenza, tutte visioni alternative immaginate principalmente tra la sfera umana e quella vegetale. Un processo questo che non trascura l’importanza della dimensione spaziale e ambientale, e i limiti imposti dalla modernità a discapito di un paesaggio fortemente debilitato, e per questo ripensato rigorosamente in un’ottica di rigenerazione e di azioni contemporanee in sinergia con le pratiche fitoterapiche e naturali.
In occasione di The butterfly affect anche la struttura architettonica della fondazione muta a favore di una fluidità di percorso e di una visione d’insieme totale, sfruttando le quote in altezza, l’ampia profondità e la scansione spaziale voluta dall’inserimento di singoli tramezzi. La collettiva si apre con l’opera video di Jumana Manna (Princeton, USA, 1987) dal titolo Forages 2020, un lavoro nel quale l’artista combina in modo avvincente immagini tratte da documentari d’archivio e scene di finizione, elaborando un processo filmico che riflette sulle dinamiche politiche e sullo sfruttamento del potere coloniale.
The butterfly affect: gli artisti in mostra
Isaac Julien (Londra, UK 1960) ripresenta attraverso vari filmati d’epoca realizzati in super-8 la ricerca Derek Jaman, esperto di botanica e attivista queer. Le riprese narrano la storia di Prospect Cottage, dimora di pescatori costruita sulla spiaggia di Dungeness (Kent). Nel montaggio emerge come il giardino, luogo trasformato e vissuto da Jaman, diviene una vera e propria factory sia durante gli anni di intensa attività artistica, che nel periodo di malattia dell’HIV.
Nella sala successiva sono posizionate con cura le opere di Sharona Franklin, artista e attivista impegnata a favore delle persone disabili. I lavori di Franklin riguardano azioni multidisciplinari come terapia di guarigione, per indagare gli effetti della malattia sul corpo. Di particolare interesse la serie dei reliquiari, opere ciniche e allo stesso tempo preziose ricoperte da una patina di gelatina che custodisce pillole, siringhe e frammenti metallici. L’artista Patricia Dominguez (Santiago del Cile, 1984) propone un’installazione corale che comprende la pittura muraria, l’acquerello, alcune piante officinali, la proiezione e delle mani di manichino. Plant Saga, titolo dell’opera, è concepita come un ciclo figurativo e installativo, un percorso rigenerativo dedicato alla cura e al rispetto per l’ambiente, attraverso una narrazione sostenibile ipotizzando futuri scenari alternativi.
Sulla parete portante dello spazio espositivo spiccano le grandi carte di Sebastiano Impellizzeri (Catania, 1982), cinque opere che evidenziano un rapporto con la pittura calibrato sulla sottrazione figurativa, sull’equilibrio formale e lo studio cromatico. L’artista unico italiano in mostra, rappresentato dalla giovane galleria torinese Société Interludio di Stefania Margiacchi, presenta un ciclo di lavori “dedicato alla mappatura di aree di cruising, pratica di incontro sessuale consensuale tra scosciutә“. Le mappe intimiste di Impellizzeri raccontano una geografia personale e simbolica, dove la memoria, il paesaggio e le emozioni divengono tracce di un sentire molto più ampio che arriva in maniera silente al cuore di molti. Lateralmente, come se si trattasse di una controfacciata l’artista Zoe Williams (Salisbury 1983), rappresentata dalla galleria Ciaccia Levi di Parigi con sede anche a Milano, propone maschere e grandi vasi di natura antropomorfa, nei quali emerge un senso della scultura scenico, erotico e anticapitalista. Le sue sono visioni plastiche realizzate in ceramica con accese cromie che amplificano una composizione e una tensione di gusto teatrale, partecipato e attraente.
The butterfly affect: l’idea di ecosistema
In queste e nelle altre opere in mostra The butterfly affect raccoglie all’interno di uno stesso ambiente composto da più esperienze artistiche, simili a degli ecosistemi, collegati e dipendenti gli uni dagli altri, una serie di istanze e suggestioni che riflettono, si adattano e ripensano le attuali e le future condizioni di un’umanità fortemente in pericolo, declinate in maniera polifonica e avveniristica. In un ampio e composito dedalo espositivo abbiamo l’occasione di leggere, attraverso varie interpretazioni, teorie, azioni, gesti, architetture e visioni, l’emergere di un sistema complesso e autoregolante, in grado di mantenere le proprie condizioni di vita come quelle riconoscibili in una omeostasi perfetta, ripresa idealmente nella celebre ipotesi di Gaia, formulata da James Lovelock e Lynn Margulis nel 1970. Per i due scienziati infatti, la natura non è altro che l’insieme di più ecosistemi tutti collegati tra di loro, ugualmente fondamentali e decisivi per il vitale funzionamento del pianeta Terra.
Giuseppe Amedeo Arnesano
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