Ancora sulla Venere degli stracci e sulla deriva trash dell’arte contemporanea
La critica al remake napoletano del capolavoro di Michelangelo Pistoletto induce una riflessione più ampia sulla deriva dell’arte pubblica contemporanea, che coinvolge anche Roma
Il remake napoletano della Venere degli stracci, qui criticato, e successivamente difeso nell’intervista rilasciata da Vincenzo Trione, merita un supplemento di considerazione. Se non altro perché si intende riproporlo. E un’opera d’arte ‘pubblica’ comporta oneri maggiori; onori se del caso. Per cui occorre parlarne ancora.
La Venere degli stracci e il rapporto tra le parti
Solo che le chiacchiere – come si dice in particolare a Roma – stanno a zero. Nel senso che, nonostante il tentativo – apprezzabile – di rispondere alle critiche entrando nel merito, le ragioni esposte nell’intervista di cui sopra (sintetizzando: gli ‘stracci’ costituiscono ‘un’unità’) non soddisfano. Anzi, lasciano basiti. Perché è ovvio che il cumulo di indumenti costituisca ‘un’unità’. Ma questo non scalfisce di un millimetro la questione sollevata. Che è la seguente: nel remake è stato alterato il dialogo tra un’‘unità’ (gli ‘stracci’ rimasti della stessa misura rispetto all’originale) e l’altra (la Venere divenuta invece gigantesca), ed è lì, nel rapporto che si instaura tra di esse, che è custodito il senso dell’opera, non altrove. Detto altrimenti, le due ‘unità’ – per chiamarle come fa l’intervistato – non devono solo mantenersi distinguibili, devono non smettere di ‘funzionare’ insieme. E questo a Piazza Municipio non succedeva. Basta qualche foto per rendersene conto. Non si può non trasalire guardandole.
L’incanto svanito della Venere degli stracci
Che fare ora? Riproporre tale e quale quella Venere? Sconsigliabile. L’ironia dei napoletani potrebbe ribattezzarla ‘La Venere degli straccetti’, e additarla a modello per statue maramalde da erigere negli ingressi di trattorie alla buona. Un’opera d’arte – in particolare un’opera del genere – una volta espunte le sue caratteristiche strutturanti, non può che deragliare. Ed è ciò che è accaduto: era irriconoscibile, il suo incanto svanito, non perché fosse extra-large, ma perché aveva perduto il suo nucleo portante, che è appunto il dialogo tra gli elementi costituenti le sue ‘unità’.
Ed è buffo che, sempre nell’intervista, venga apostrofato come ‘errore ingenuo’ l’aver fatto notare un’evidenza così lampante. Perché l’’errore ingenuo’ è stato un altro: aver creduto che una volta alterata la sintassi di un’opera così mentale e numinosa – così nitida e sofisticata – quale è la Venere degli stracci, questa avrebbe retto comunque. Invece no, non ha retto. Ed era prevedibilissimo.
La deriva trash dell’arte contemporanea
L’espressione ‘le chiacchiere stanno a zero’, come detto, è tipica di Roma. La si potrebbe tradurre con: inutile nascondersi dietro un dito. Non è usata qui in contrapposizione con la napoletanità, tutt’altro, ma per pura solidarietà, visto che nell’Urbe si è alle prese con una vicenda analoga. Nel cuore della città è apparsa in questi giorni una bruttura paragonabile a quella napoletana: la scultura di una maison di alta gioielleria, installata in Largo Goldoni. Per chi non l’avesse ancora vista, è roba da non crederci – da tenersi forte al momento dell’impatto. Anche se, va detto, le connotazioni commerciali legate al branding la rendono un tantino meno deprimente della Venere partenopea, paradossalmente. Questo per dire che se, ora, a Napoli verrà reinstallata la sconcertante Venere andata distrutta un mese fa, le due città si troveranno gemellate nel segno di un’inattesa deriva trash dell’arte contemporanea. Se ciò accadrà, Napoli e Roma saranno unite da due opere ‘pubbliche’, alla cui vista non ci si può sottrarre, le quali costituiranno motivo di imbarazzo per il Paese, visti i tantissimi visitatori attesi ogni anno in queste due meravigliose città. E il bello, anzi il brutto, è che tali opere rischiano di restare in piedi a lungo. Se non per sempre.
Speriamo bene. L’augurio è che gli amministratori valutino bene la questione almeno da questo punto di vista. Non perché intimiditi da possibili roghi o devastazioni, questo no. Ma nell’interesse di tutti.
Perché se la bellezza non salverà il mondo, non lo farà di certo la bruttezza.
Pericle Guaglianone
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