Trionfo d’astrazione a Milano con la pittura di Garber-Maikovska

Dagli USA il talento di un artista che sceglie la pittura, rigorosamente non figurativa, per restituire la quintessenza di luoghi conosciuti, osservati, attraversati. In mostra alla galleria di Massimo De Carlo un’ampia selezione di opere realizzate nel 2023

Si muove lungo linee invisibili Aaron Garber-Maikovska (Washington, 1978), con le sue liturgie da psicogeografo, le ossessioni da esploratore, le coreografie di timbri e di orme.
Dolcezze, asperità, traiettorie, mappature urbane, silvane. Il confine tra i paesaggi naturali della California del Sud, terra natia dell’artista, e le limitrofe aree antropizzate, diventa nella sua pratica polifonia di colori accesi, struttura liquida che interpreta luoghi fisici e atmosfere, con l’esercizio dello sguardo, del passo, poi del gesto: una corsa, un respiro a pieni polmoni, un collage immaginifico tra architettura, urbanistica, botanica, meteorologia.
Montagne di neve e di sole, pianure a perdita d’occhio, infinite radure d’ocra e di roccia, i cieli vividi d’azzurro e la città, figlia di geometrie incalzanti, distesa sul limitare dello spazio selvatico. È lo splendore del paesaggio, la sua improvvisa rivoluzione; è la sua trasposizione in pittura, seguendo le logiche dei corpi in movimento e producendo micro universi in superficie. Esclusa qualunque opzione narrativa, illustrativa, qualunque necessità di mimesi e di rappresentazione. La realtà si dissolve, pienamente, lucidamente, nello sfavillio delle tavolozze, nella dialettica delle linee, delle campiture, dei gradienti, delle temperature, nella forza magnetica che avvicina gli elementi e ne combina i pesi, le direzioni. Usa il termine “distillato”, Garber-Maikovska, per definire la quintessenza di questo fare, disfare, osservare, tradurre. Il seme di una visione, che diventa visione altra. Il cuore dei suoi territori, la logica dei suoi piani orizzontali. 

Chi è Aaron Garber-Maikovska

Artista tra i più influenti della nuova scena americana, lanciato nei primi anni Dieci dalla Greene Exhibition di LA, distintosi per un brillante percorso di ascesa, tra critica e mercato, Maikovska approda nel 2017 alla Clearing Gallery di New York, con cui tuttora collabora, e nel 2021 tiene la sua prima personale italiana da Massimo De Carlo, nella sede di Palazzo Belgioioso. E qui torna, oggi, con una nuova mostra dal titolo “Lost Corner Lot Play”, misurandosi stavolta con la sobria ricercatezza di Casa Corbellini-Wassermann, gioiello disegnato dal Portaluppi negli Anni Trenta, nel 2019 passata alla storica galleria milanese. Contrasto interessante, quello tra l’astratta furia dei dipinti, intrisi di vibrazioni estive, urbane, contemporanee, e il tepore del legno, dei marmi verdi, grigi e rosa, delle boiserie in radica di noce, dei pregiati caminetti con inserti dorati e dei decori a parete, nella malinconia autunnale di una novecentesca residenza borghese. Contrasto, però, che non è stridore: le finestre di colore – impalpabili lastre alveolate di poliestere, qualche volta tradizionali tele, su cui inchiostri e oil-stick tracciano esplosive mappe informali – aprono l’intimità domestica su squarci di natura trasfigurata, catturando le vibrazioni luminose delle stanze e agganciandovisi con fortunata continuità. 

Aaron Garber Maikovska, Pollock Pines, 2023
Aaron Garber Maikovska, Pollock Pines, 2023

La lezione dell’Espressionismo Astratto

La grandiosa lezione dell’Espressionismo Astratto è matrice evidente, sulla quale si innesta la freschezza, la schiettezza, la sintesi grafica di più recenti linguaggi fioriti tra contesti street e metropolitani: trame di segni spezzati, grovigli, graffiti, enormi pagine di sketch-book, pittogrammi, suoni ariosi, vorticosi, sincopati. E torna la danza, anche quella: dall’action painting, dal dripping, da quella maniera di muoversi intorno alla tela stesa sul pavimento, con cui Pollock coltivò il suo rituale pittorico-sciamanico, il lungo balzo in avanti conduce alla vocazione performativa di un artista come Garber-Maikovska, con i i suoi gesti ripetuti, codificati, definiti “bumping” e consumati in spazi pubblici. Più simili a una mappatura somatica, intuitiva, che non a un’effettiva costruzione scenica, teatrale. Un’occasione per stare nei luoghi, per percepirli, misurarli. E poi farne pittura, in studio, di nuovo usando il corpo come strumento privilegiato d’accesso, di memoria, d’ascolto, di scrittura. Dipingere: un fatto di occhi, certamente, e così di mani, di braccia, di ginocchia, di muscoli, di fiato, di vene, di ossa, di andatura, di collisioni e urti, di passi lenti e di contemplazioni.

Helga Marsala

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

Scopri di più