Continuano le grandi mostre nella Repubblica di San Marino: ecco Andy Warhol
Superando l’idea di unicità dell’opera d’arte, Warhol fu capace di trasformarla in oggetto di consumo. Ma l’artista americano fu anche illustratore di successo e lucido critico della società americana
Prima l’esposizione su Banksy, poi il focus su alcuni disegni di Michelangelo Buonarroti, ora Andy Warhol (Pittsburgh, 1928 – New York, 1987). Prosegue all’insegna dei grandi nomi della storia dell’arte il Progetto Grandi Mostre avviato nella Repubblica di San Marino.
L’esposizione dedicata al deus ex machina della Pop Art riunisce un corpus di lavori provenienti sia da importanti collezioni private che da istituzioni internazionali, come l’Andy Warhol Museum di Pittsburgh, per la curatela del museologo Maurizio Vanni e della direttrice del museo MA*GA di Gallarate (dove la mostra è stata allestita in precedenza), Emma Zanella. E si concentra sulla serialità.
La mostra su Andy Warhol a San Marino
“Ogni mostra su Andy Warhol è sempre qualcosa di nuovo, è un concetto differente e impone letture diverse, un racconto inedito che va in qualche modo percepito”, spiega Vanni.
Oltre 60 sono le opere esposte (in due sedi distinte, a Palazzo SUMS e presso la Galleria Nazionale) per presentare l’universo creativo dell’artista di Pittsburgh. Dai primi disegni realizzati per l’editoria e la moda di un giovanissimo Andy Warhol, appena arrivato a New York nel 1949, fino ai primi Anni Sessanta quando arrivò la serialità, la quale gli permise il superamento dell’unicità dell’opera, trovando una cifra stilistica che lo renderà inconfondibile e famoso in tutto il mondo.“Andy Warhol non ama l’opera unica, non la vuole. Anche il disegno è una stampa: lui fa il disegno, lo intinge di inchiostro e si concentra sul risultato che è stato impresso. Arriverà a non toccare più il foglio che ci consegnerà come opera unica, lo firmerà e basta”.
La serialità dell’opera d’arte
Sono questi gli anni delle famose opere serigrafiche dedicate a personaggi come Marilyn Monroe e Mao e a soggetti come Flowers, Cow e l’iconica Campbell’s Soup che, insieme al dollaro e alla Coca Cola, rappresentavano ciò che era (ed è) più amato dagli americani.
“La sua metafora era: io voglio oggetti che possono avere in mano sia i principi che i presidenti, che un homeless, cioè oggetti di uso quotidiano. E qui avvenne la sua prima rivoluzione, ovvero trasformare l’oggetto di consumo in opera d’arte, ma la storia la farà anche al contrario, trasformando poi l’opera d’arte in oggetto di consumo”, continua Vanni.
Nel tempo la sua ricerca si arricchì di contenuti e di nuove immagini tratte dai mass media che ispirarono anche numerosissimi ritratti di personaggi famosi come Liza Minelli, Joseph Beuys e molti altri.
La società americana e lo spettacolo della morte
La sezione dedicata ai libri, allestita alla Galleria Nazionale, lo vede invece in veste di autore e illustratore; presenti qui anche copie dell’Interview Magazine, fondato dallo stesso artista nel 1969.
E un focus sul tema sul progetto Death and Disasters, il ciclo più incompreso della produzione di Andy Warhol nonché critica alla società americana che vendeva lo spettacolo della morte in diretta televisiva e sulle prime pagine dei giornali. In questo contesto si inquadrano le Electric Chair, serie in cui non compare mai la figura umana (e proprio in nell’assenza è ritratta tutta la società americana); con questi lavori partecipò, nel 1967, alla sesta Biennale di San Marino su invito di Giulio Carlo Argan.
C’è anche molta Italia nei lavori di Warhol, prima Napoli e poi Milano. Nella città partenopea venne chiamato dal gallerista e attore italiano Lucio Amelio, e scelse di concentrarsi sul Vesuvio. A Milano, invece, si relazionò con il Cenacolo di Leonardo. E diede vita, alle Stelline di corso Magenta – allora sede del Credito Valtellinese – alla sua più grande mostra in città: Andy Warhol. The Last Supper.
Giulia De Sanctis
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