L’artista Anri Sala porta l’arte contemporanea a Pompei. L’intervista

L’artista albanese ha inaugurato il progetto che mette il Parco Archeologico di Pompei al centro della ricerca contemporanea, come interlocutore privilegiato di un processo trans-temporale. Ne abbiamo parlato con lui

A Napoli, Anri Sala (Tirana, 1974) è arrivato recentemente per presentare un lavoro iniziato più di un anno fa, coinvolto dal Parco Archeologico di Pompei nel programma di arte contemporanea Pompeii Commitment. Materie archeologiche. Ma la sua presenza in città, oggi, si deve anche alla condivisione di una serie di lavori inediti, al centro della mostra inaugurata alla Galleria Alfonso Artiaco, che lo vedono nuovamente ragionare sulla tecnica dell’affresco, in relazione alla dimensione temporale della pratica artistica. Dalla fascinazione per il tempo, del resto, scaturisce la ricerca dell’artista albanese, che indaga le fratture generate dalle relazioni tra immagine, architettura e suono. Anche a Pompei è andata così: per il progetto di Digital Fellowship che lo vede protagonista – in veste inaugurale – insieme ad altri designer, artisti e pensatori internazionali, Sala ha lavorato sui calchi di due vittime dell’eruzione del Vesuvio del 79 a.C. e su un antico strumento a fiato rinvenuto nell’area, proponendo un’elegia dedicata agli antichi abitanti di Pompei. Non a caso, Body Double, come si intitola la ricerca, ha avuto anche uno sviluppo musicale, in forma di vinile (con la curatela di Marcella Beccaria e Andrea Viliani), appena presentato al Museo Madre, e disponibile in edizione limitata. Online, sul sito di Pompeii Commitment – progetto supervisionato dal Direttore del Parco Archeologico di Pompei Gabriel Zuchtriegel, con la Responsabile Unica di Progetto Silvia Bertesago e concepito da Massimo Osanna e Andrea Viliani, che lo cura con Stella Bottai, Laura Mariano e Caterina Avataneo – è possibile ripercorrere la genesi, l’evoluzione e gli obiettivi del progetto; ma con l’artista abbiamo voluto approfondire la complessità di questa ricerca nell’orizzonte più ampio del suo fare arte.

Anri Sala, Untitled (Body Double II), 2022. Pastel drawing, 21x29.7 cm. Unique and signed by the artist
Anri Sala, Untitled (Body Double II), 2022. Pastel drawing, 21×29.7 cm (unframed). In the process of being acquired by the Archaeological Park of Pompeii. Unique and signed by the artist

Intervista a Anri Sala. Il tempo, l’immagine, il suono

Cos’è il tempo?
Il concetto racchiude molti significati, ma la misura del tempo che più mi interessa è quell’istante che aspira a essere allo stesso tempo presagio del futuro e traccia del passato. Quell’istante fugace in cui il passato transita nel futuro: quando un respiro si trasforma in un suono o un pensiero si trasforma in azione.

E come si sviluppa nella dimensione temporale la relazione tra immagine, architettura e suono?
Il tempo riguarda ciascuno di questi mezzi in modo peculiare. Se le immagini rappresentano il tempo, l’architettura lo contiene e il suono lo misura. Tuttavia, quando queste distinte nozioni di tempo incontrano nella loro traiettoria l’esperienza dello spettatore, del visitatore o dell’ascoltatore, producono un’altra esperienza temporale, in cui impressioni separate si uniscono e si giustappongono per produrre un’ulteriore sensazione: proprio la dimensione che io desidero mettere in scena quando concepisco una mostra.
Ad esempio, la qualità persistente delle vestigia visive o del riverbero sonoro – il modo in cui l’immagine o il suono persistono dopo la loro creazione iniziale – rivelano di più sulla nostra immaginazione e sull’ambiente che ci circonda rispetto all’immagine originale, prima della sua frammentazione, o al suono originale, prima che diventi un’eco.

Spesso il tuo lavoro parte da una ricerca che scava in cerca di frammenti perduti: come si può immaginare il futuro cercandolo nelle “rovine” del passato?
Scavare nel passato alla ricerca di frammenti – siano essi documenti d’archivio o reperti – può fornire all’artista nuove prospettive d’interpretazione, come fa una telecamera a infrarossi quando rileva lunghezze d’onda non percepibili a occhio nudo.
Io non mi rivolgo alle cose del passato come fossili da venerare nella loro forma originale. Le approccio come forme viventi e organismi che respirano, che possono evolversi, per permetterci di sentire come risuonano nel presente.

Succede, per esempio, quando approcci alla musica del passato nell’ambito del processo creativo.
Ho scelto spesso di lavorare con composizioni celebri come la Notte trasfigurata di Schönberg, il Concerto per pianoforte per la mano sinistra di Ravel o l’Elegia per viola sola di Stravinskij, perché tali capolavori, pur essendo precoci per i loro tempi, dicono molto delle società in cui sono nati e dei processi storici. Io accompagno queste composizioni verso il loro futuro e durante il viaggio si materializzano nuovi fenomeni musicali. Ravel Ravel (2013) ci permette di ascoltare forme di musica che sono successive alla composizione originale di Ravel, come accenni di jazz o sincopi che riecheggiano le opere di Steve Reich. Allo stesso modo, in The Present Moment (2014), la composizione da camera di Schönberg, attraversando lo spazio dell’installazione, suggerisce suoni e induce azioni che riecheggiano processi come il serialismo nella musica, la divisione del lavoro e la specializzazione nella produzione industriale. Evoluzioni che la Notte trasfigurata poteva aver presagito, ma che sarebbero esplose solo più tardi nella Storia.

Sei particolarmente interessato alle vicende umane trascurate dalla grande storia. Il compito dell’arte contemporanea è riattivare collegamenti interrotti?
Anche se ristabilire i legami perduti potrebbe non essere l’obiettivo primario dell’arte contemporanea, è senza dubbio uno dei suoi doni. Attraverso la mia pratica di artista, mi interessa scoprire continuità alternative che divergono dalle letture lineari degli eventi troppo spesso associate alla Storia. Mi sforzo di dare voce alle contronarrazioni dell’eco rispetto al racconto della sua fonte, sperando che contesti periferici o eventi nascosti nelle pieghe della storia possano illuminarci con le loro particolarità trascurate. Il modo in cui un artista si relaziona con modus e contenuti, trasparenza e opacità, così come con il visibile e il subliminale, può arricchire la nostra comprensione sia del passato che del presente.

Anri Sala a Pompei. Come nasce Double Body

Com’è stato l’incontro con Pompei? Che riflessione ha attivato?
Durante una prima visita al sito archeologico di Pompei, sono stato molto colpito dai calchi delle vittime dell’eruzione.
Così, quando sono stato invitato a partecipare al progetto Pompeii Commitment, avendo l’opportunità di fruire del contributo scientifico del team di lavoro di Pompei, la mia attenzione è stata catturata dalla scoperta del 2020 nella regio di Civita Giuliana, dove gli archeologi hanno portato alla luce i resti di due individui, realizzandone calchi in gesso. Si tratta, probabilmente, di un giovane schiavo con il suo padrone, morti nella seconda eruzione del Vesuvio, il 25 ottobre del 79 a.C., che uccise chi era sopravvissuto alla colata di lava del giorno precedente.
Ciò che mi ha colpito è l’intimità suggerita dai loro corpi che quasi si toccano. Questa circostanza drammatica, che unisce i destini di questi due individui, ha catalizzato il mio progetto creativo, insieme alla ricorrenza del tema del “doppio”, che caratterizza anche l’altro elemento preso in considerazione, un aulos, strumento musicale a due canne talvolta chiamato “doppio flauto”. Ho associato questo antico strumento, la sua peculiare struttura e i due suoni simultanei ma distinti che è in grado di emettere, alla dualità delle eruzioni e delle vittime sopra citate. Questa relazione mi ha ispirato a capire come rappresentare sia gli spazi abitati dai due corpi sia i suoni persistenti emessi dall’aulos, in particolare per il “tono combinato” che questo strumento può creare, un “terzo tono” che è un sottoprodotto psicoacustico, generato dalla combinazione di due note simultanee e molto simili, suonate in modo costante e con intensità. Questo “terzo tono” è tanto un’illusione quanto reale. E questa riflessione su realtà duplici ma divergenti mi ha portato a esaminare episodi di rispecchiamento, trasformazione e replica, basato tanto su elementi simili che contrastanti.

Immagino che l’approccio con i calchi sia stato intenso: tu hai cercato di riprodurne il respiro…
La durata della composizione musicale creata deriva dal calcolo del tempo impiegato dal volume d’aria rimasto nei corpi – uno spazio reso tangibile dal volume dei calchi in gesso – per fluire attraverso un aulos suonato dal respiro di un musicista. Body Double stabilisce un’equivalenza matematica e poetica tra la durata del brano musicale e il volume d’aria lasciato dai corpi intrappolati nella lava. Grazie al prezioso aiuto di Stefan Hegel, professore di musica antica, tra i pochissimi oggi in grado di suonare l’aulos, è stato possibile produrre nuovamente musica con uno strumento rimasto muto per quasi duemila anni, utilizzando l’immaginario ultimo respiro dei suoi quasi contemporanei.

Il lavoro consta anche di una produzione grafica…
Due disegni fanno parte di questo progetto. Il primo cattura una veduta aerea dei calchi in gesso, enfatizzando il punto in cui i corpi si toccano, come se una linea si estendesse senza soluzione di continuità da una forma all’altra; il secondo disegno immagina una scena di pochi istanti prima, in cui uno dei due uomini appare instabile in piedi mentre l’altro è già caduto ma rimane in ginocchio. Inoltre, ho lavorato a lungo al design dell’LP che accompagna questo progetto. Il vinile è progettato con una base trasparente caratterizzata da motivi grigi che circondano l’etichetta centrale, che ricordano una finestra che si appanna quando respiriamo in una giornata fredda: volevo evocare l’ultimo respiro dalle figure intrecciate.

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I calchi di Civita Giuliana, Parco Archeologico di Pompei

La pratica e la fruizione dell’arte secondo Anri Sala

Soprattutto attraverso il suono amplifichi la dimensione esperienziale del tuo lavoro. Che tipo di fruizione immagini per le tue opere nell’era dell’iperconnettività e del consumo istantaneo?
L’arte ha la capacità di ampliare le nostre prospettive e sfidare le nostre convinzioni, supposizioni o abitudini radicate, il tutto evitando un tono pedagogico o didattico. Mettendo in discussione le norme comunemente accettate, conferisce significato a ciò che è marginale e veicola la nostra attenzione verso aree inaspettate e spazi sottovalutati. Considero questo un atto altamente politico, poiché aiuta ad ampliare il campo visivo di una società oltre i titoli delle notizie quotidiane e le luci dei riflettori: è un terreno fertile per nuove idee in un panorama discorsivo spesso sterile, che tende a soffocare il pensiero indipendente.

Come prendono forma le collaborazioni con i musicisti e i produttori che coinvolgi nei tuoi progetti?
Il suono e la musica sono spesso al centro delle mie idee, di conseguenza alcune collaborazioni si sviluppano fin dall’inizio del viaggio. È allora che inizia il mio confronto con il sound designer Olivier Goinard, o con il musicista André Vida, per citarne alcuni, che mi hanno accompagnato nella ricerca musicale di un’idea. Ho avuto anche l’opportunità di lavorare con altri musicisti incredibili, come Jemeel Moondoc, Louis Lortie, Jean-Efflam Bavouzet, Gérard Caussé o Bertrand Chamayou.

Stai lavorando a nuovi progetti?
Quest’anno mi sono concentrato nuovamente sull’arte dell’affresco, un mezzo che ho scoperto e su cui mi sono soffermato alla metà degli Anni ’90. All’epoca, la velocità dei cambiamenti sociali e politici in Albania aveva generato in me un desiderio di assorbimento e concentrazione: sono stato attratto dalla procedura stratificata e articolata nel tempo della pittura ad affresco, perché aiutava a dissipare i gesti pittorici ereditati, dando grande importanza all’idea di comporre con e nel tempo. L’affresco, per la fragilità dell’intonaco fresco, non ammette pennellate affrettate e gesti vigorosi, e obbliga a concentrare l’attenzione sulla stratificazione dei pigmenti: devi capire come applicarli e in quale ordine, restando in sintonia con lo scorrere del tempo e la natura dei materiali. Rivelare l’immagine dalla profondità dell’intonaco fresco, invece di lasciare che le mie pennellate impongano la loro immagine su una superficie consolidata, mi ha introdotto in uno spazio e a un approccio peculiare dell’esplorazione artistica: credo sia stata l’esperienza dell’affresco a portarmi successivamente alla fotografia e al video. Ora il mio lavoro sugli affreschi è esposto alla Galerie Chantal Crousel di Parigi e alla Galleria Alfonso Artiaco a Napoli.

Livia Montagnoli

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