La più grande mostra di Diego Marcon al Centro Pecci di Prato
Il più ampio progetto espositivo realizzato fino a oggi dall'artista in un’istituzione italiana restituisce, attraverso film e videoinstallazioni, la ricerca e la poetica dei mondi di Marcon
Al Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato, Glassa è la più ampia esposizione in un’istituzione italiana dell’artista italiano Diego Marcon. Con un progetto ambizioso che occupa dieci sale e oltre 1.000 metri quadri della storica ala Gamberini del museo toscano, alternando opere nuove e altre precedenti ma ripensate per l’occasione, in un unico organico allestimento, e indagando i temi universali dell’umano.
Glassa. La mostra di Marcon al Centro Pecci di Prato
Curato da Stefano Collicelli Cagol ed Elena Magini e sostenuto da Intesa Sanpaolo, il progetto espositivo Diego Marcon. Glassa, al Centro Pecci fino al 4 febbraio 2024, ha preso le mosse all’inizio del 2021 su invito del direttore dell’istituzione toscana, che celebra quest’anno il suo 35esimo anniversario. E sin da subito la scelta di Marcon è stata netta su dove le sue opere avrebbero trovato spazio. Ovvero l’ala storica del museo disegnata da Italo Gamberini alla fine degli anni Ottanta, ma in stretto dialogo anche con il progetto del 2006 di Maurice Nio, con il suo anello e la sua torre-antenna. In un fitto dialogo – e scambio – con gli spazi del museo e con la luce naturale, Glassa, realizzata insieme all’architetto Andrea Faraguna, mette insieme opere nuove e appena prodotte e altre precedenti, che trovano però un diverso allestimento pensato per l’occasione. E fa il punto sulla pratica di un artista che si muove attraverso film, video, animazioni, sculture, pubblicazioni, per indagare i più universali dei temi umani: la vita, la morte, il senso dell’arte. Trasformando l’esperienza della visita nell’immersione in una macchina cinematica totale, intera, che vive di luce e ombra, di pieni e di vuoti. E del potere attraente, e al tempo stesso eccessivo, di una glassa che riveste, lucida, nasconde.
Le opere di Marcon al Pecci di Prato
Appropriandosi dell’ala Gamberini, Marcon interpreta l’intero spazio espositivo come un’unica totale macchina cinematica. E, proprio come nel cinema, è qui la luce naturale a dar vita alle immagini, piovendo sulle opere di Marcon dai lucernari a soffitto tenuti aperti e mutando in base allo scorrere del tempo e alla porzione di giorno che entra nel museo. Dalla grande finestra vetrata che si apre nell’edificio di Gamberini e affaccia, vertiginosamente e a strapiombo, sulle forme di Nio, racconta il direttore Colicelli Cagol, è partito Diego Marcon per disegnare la meditata e meditativa coreografia di Glassa. I visitatori si muovono così in mostra attraverso un allestimento rarefatto, scandito da due serie di cagnetti morti in porcellana, affissi alle pareti del Centro. Nelle sale, i film e le videoinstallazioni, vecchi e nuovi, aprono e chiudono il percorso. A cominciare da TINPO del 2006, il primo film realizzato da Marcon, ora riallestito in un muro di schermi, in cui due bambini, durante un pranzo di famiglia tipico dell’immaginario italiano, sono intenti a giocare alla guerra. In una messa in scena della violenza che disturba e respinge, pur nell’innocenza del suo accadere. La frenesia dell’infanzia torna nella proiezione in 16 mm di Untitled (2017), un corto animato sul ballo in loop di una ragazzina. Avvicinandosi alla conclusione del percorso espositivo, l’ultima sala ospita il film Dolle, che, vincitore del PAC2021 – Piano per l’Arte Contemporanea promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura e prodotto in Toscana, entrerà nelle collezioni del Centro Pecci.
Un nuovo film di Diego Marcon per il Centro Pecci
Sul labilissimo confine tra cinema e arti visive, Marcon torna a interrogarsi su temi universali, la vita e la morte, il senso dell’arte e le sue leggi. E lo fa scegliendo elementi, forme, dispositivi, idee – l’infanzia, su tutti – con cui lo spettatore riesce a stabilire un’immediata empatia, pur in un certo contrasto di emozioni lontano da ogni stereotipo pacificatorio e pacificato.
Nel film appena realizzato, Dolle, sono protagoniste le sculture animatroniche di una famiglia di talpe. Interrotti solo da qualche colpo di tosse di uno dei due cuccioli che dormono nei loro lettini o da rumori provenienti da un non meglio identificato mondo esterno sopra le loro teste e tane, papà e mamma talpa, armati di fogli fitti di numeri, svolgono (alla cieca?) e sbagliano infinite operazioni di conto. Eppure instancabilmente continuano, per tutta la durata del film. In un’ostinazione a far le cose per bene, a regola d’arte, nell’arte, sembra suggerire Marcon, ma anche nella vita.
Mostrando le schiene degli schermi, così come le pareti in cartongesso tirate su per la mostra, l’artista illumina il funzionamento della creazione artistica, le sue leggi, e al tempo stesso quelle del vivere e del quotidiano. Facendo ampio ricorso alla malinconia ambigua per l’infanzia, con quella dose di innocenza lasciata andare, se mai esistita. Dalla figurazione silenziosa dei cagnetti di ceramica che stanno, immobili come icone, a punteggiare le pareti, si cammina nelle sale del Pecci verso le diverse video-installazioni, mentre dalle vetrate entra il mondo esterno, sulle opere e sui visitatori. Che si chiederanno forse se sono loro i piccoli, sullo sfondo di un pranzo di famiglia o in un comodo letto, o sono invece i grandi alle prese con i conti della vita. Anche se i conti non tornano mai.
Cristina Masturzo
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