La voluttà della natura nella mostra di Marta Ravasi a Napoli
È una pittura epidermica e viscerale al contempo quella dell’artista lombarda, che esprime il trasporto nei confronti del mondo che la circonda. Ma senza urlare, in quadri pieni di vita, però mai appariscenti
Frutta da mangiare e fiori colti per essere guardati riposano. I limoni spremuti come ciotole di porcellana sono adagiati su un tavolo. Marta raccoglie due violette e le riproduce in toni di grigio. Trasforma il velluto di pesche succulente in sculture di legno o tufo. Il gelsomino ricorda stelle marine viscide sospese in acqua stagnante. Un bouquet di fiori si trasfigura in uno spruzzo d’acqua ferruginosa. Tutti oggetti ancora rosseggianti per il calore della mano che li ha toccati. La palette è limitata: marrone, grigio, ocra, viola. Come al di là di un filtro, gli emblemi di un’estetica del piacere “facilone” – fiori, frutti colorati, l’estate – sono neutralizzati attraverso pennellate di colore che tace.
A Marta Ravasi (Merate, 1987) non piace urlare, lei parla con un tono di voce pulito ma non appariscente, il suo corpo magro si camuffa come una linea tra le vie di Milano, ha borsette piccole per piccoli accorgimenti quotidiani. I suoi quadri, come lei, sono pieni di vita e danno bellezza senza che l’una o l’altra diventino nauseabonde.
La mostra di Marta Ravasi a Napoli
L’ho conosciuta quando faceva recensioni di mostre e mi ricordo che lei non scriveva direttamente a computer, ma prima a mano su un taccuino. Aveva bisogno di una gestualità della mano e del polso e, insieme, del tempo fisico che la scrittura a mano necessita. Si è avvicinata alla pittura anche scoprendo il tempo che serve per maneggiare una penna, farla scivolare sulla pagina e spostare il lato del palmo sul foglio creando un certo attrito. Dipingere è per lei ritrovare la temporalità adatta per esprimersi.
C’è poi sicuramente un trasporto nei confronti del mondo visivo che ci circonda. Lo suscitano le immagini tratte da Instagram, da Internet e da ciò che Ravasi vede ogni giorno. Marta ha sempre grandi occhi lesti a guardarsi intorno e a imprigionare ciò che la affascina. Non ha mai stanche le iridi e per questo è un animo di città, perché è così tanto desiderosa di vivere, di generare, di incontrare, di brancicare il mondo che abita.
La sua pittura – protagonista della mostra Bucce alla galleria Acappella di Napoli – allora, sa esprimere la voluttà rotolante di una natura che eccita, adottando però un filtro cromatico che aiuta a comprenderne il fulgore senza lasciarci accecare, come dopo una corsa all’estasi del corpo cercare quella della mente.
Marco Arrigoni
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