Cos’è la Sticker Art? Intervista all’artista Stelleconfuse
Protagonista del film Sticker Movie, utilizza la strada per fare propaganda artistica e politica attraverso i suoi sticker, ed è promotore del progetto Plant a tree, che crede nella possibilità di cambiare il mondo attraverso piccoli gesti
Tra pochi giorni sarà protagonista sul grande schermo nel film Sticker Movie, produzione internazionale che racconta la Sticker Art e chi la pratica. Ma Mirko Vignozzi, alias Stelleconfuse, è italianissimo, e proprio in Italia diffonde questa particolare forma d’arte, che ha il suo campo d’azione in strada.
Dal 2008, Stelleconfuse ha iniziato ad attaccare i suoi sticker, raggiungendo la fama internazionale. Tra questi, molti sono legati al progetto Plant-a-Tree (Pianta un Albero), che vuole essere una proposta rivolta a tutti per migliorare il mondo con un piccolo gesto. “Un logo è il riassunto ai minimi termini di un pensiero”, ci dice. Lo abbiamo intervistato per saperne di più.
Intervista a Stelleconfuse
Stelleconfuse: perché questo nome?
Stelleconfuse è titolo di un libro mai pubblicato, che contiene una raccolta di poesie e racconti brevi scritti quando ero adolescente. Le “stelle confuse” non possono esistere nemmeno in una poesia: un professore di italiano sentenziò così leggendo quello che avevo scritto. Da quel momento decisi che in qualche modo avrei dimostrato che le “stelle confuse” esistono realmente, e non solo nella mia fantasia.
Raccontaci del tuo progetto Plant a Tree; come è nato e come si sta evolvendo?
Ho cominciato a lavorarci nel 2007. In quel periodo ero interessato ad approfondire la storia della Pop Art, ero affascinato da Franco Angeli, che nei suoi quadri riproduceva i simboli del potere attraverso degli stencil. Inoltre mi stavo rendendo conto di come le nostre menti sono invase da simboli/loghi commerciali portatori di un unico messaggio: consumare.
Ho sentito la necessità di creare un logo che trasmettesse un messaggio positivo e di speranza, da contrapporre a quelli consumistici: così è nato il progetto Pianta un Albero, con al centro un alberello geometrico stilizzato, un logo che è il riassunto ai minimi termini di un pensiero, un concetto che non lascia dubbi alle interpretazioni. Una proposta che faccio alle persone per migliorare il mondo con un piccolo gesto.
In pratica l’evoluzione grafica del tuo albero è legata alle buone azioni delle persone…
All’inizio del percorso le mie opere erano legate (tramite sito web) a un albero virtuale, con il tronco formato dai nomi delle persone che mi inviavano prova di aver piantato un albero.
Successivamente, con l’evoluzione del progetto, anche il logo ha cominciato a cambiare, e dal tronco hanno iniziato a crescere rami, foglie, fiori, frutti, emoticon.
Il progetto “Plant a Tree”, inoltre, ha da sempre avuto una sua dimensione internazionale, che mi ha permesso di realizzare collaborazioni con artisti di tutto il mondo e partecipare a festival internazionali come l’Upfest di Bristol, lo Step in the Arena di Eindhoven e lo Street Art Festival di Frauenfeld.
La Sticker Art secondo Stelleconfuse
Come sono nate le tue passioni per la Sticker Art e la Stencil Art?
Come dicevo, ho visto utilizzare gli stencil da Franco Angeli e Mario Schifano. Nei miei primi quadri cercavo di ricreare alcune loro opere, sostituendo i loro stencil con il mio logo-albero stilizzato. Poi, quando ho iniziato a lavorare in strada, la tecnica dello stencil è diventata predominante.
La Sticker Art è subentrata in un secondo momento, gli sticker, insieme ai poster e ai flyer, erano solo un mezzo per propagandare il mio messaggio e la mia arte nelle strade. In poco tempo sono entrato a far parte di un network mondiale di artisti che diffonde la propria arte attraverso gli adesivi. Questo ottobre, a Portland, ci sarà la premier di Sticker Movie, un film documentario che racconta la scena mondiale della Sticker Art in cui sono presente assieme a molti altri artisti.
Come ti sei avvicinato alla strada?
Nel 2008, qualcuno che aveva visto le foto dei miei sticker sul sito Flickr mi contattò per chiedermi di partecipare a un evento di Sticker Art a Roma.
Stick my Car, organizzato dall’artista romano Omino71, prevedeva come atto conclusivo quello di ricoprire con degli sticker (molti dei quali arrivati per posta) una Fiat Panda.
Quel giorno sono andato da solo a Roma: senza sapere cosa fosse la Sticker Art, senza avere un’idea sull’arte urbana e senza conoscere nessuno degli artisti presenti all’evento… E da quel giorno il mio rapporto con la strada è cambiato: è diventata il network principale del mio progetto artistico.
Per te cosa significa fare Street Art?
Il termine Street Art oramai ha perso completamente di significato, se mai ne ha avuto uno. La Street Art non è mai stata una corrente artistica, è solo una definizione contenitore che racchiude tutte quelle “cose” che possono essere fotografate in strada. Preferisco usare il termine Arte Urbana. Nel mio percorso artistico ho da sempre utilizzato la strada come luogo ideale per fare propaganda sia politica sia artistica.
Sempre più spesso la Street Art entra nei luoghi istituzionali (musei, gallerie): che pensi al riguardo?
La “Street Art” vs le istituzioni per me è un falso problema, un’antitesi creata più da chi racconta e vive l’arte urbana che dagli artisti stessi. Gli Street Artist non esistono, perché esistono gli Artisti, persone che usano la strada per comunicare un proprio progetto artistico. E soprattutto per chi si è mosso per anni nell’arte underground non c’è cosa più bella che essere riconosciuto a un livello più alto.
Il problema, però, si presenta se come artista non-convenzionale per essere “istituzionalizzato” devo modificare il mio progetto artistico per essere conforme alla cultura dominante. La fedeltà verso i propri ideali artisti e culturali mai deve venire meno per un briciolo di celebrità.
La Sticker Art in Italia
Sei condirettore del SAMRO (Sticker Art Museum Rome): che esperienza è per te?
Il SAMRO è un luogo fisico, ma è soprattutto la concretizzazione di un pensiero: gli sticker meritano una loro esposizione museale. Il museo è autoprodotto insieme all’artista PinoVolpino, la prima esperienza è avvenuta riqualificando una cabina telefonica abbandonata a Roma nel luglio 2022. A causa di un episodio vandalico, dopo poco più di due mesi, abbiamo chiuso questo primo capitolo museale.
Nel marzo 2023, il SAMRO è stato riaperto, riqualificando uno spazio, all’interno del MAAM (Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz – Città Meticcia), sempre a Roma. Un “museo matrioska”, poiché si trova dentro un altro museo, con gli sticker di più di 200 artisti da tutto il mondo.
L’idea alla base del SAMRO è quella di dare importanza a questa forma d’arte e farla conoscere a un pubblico sempre più vasto. Il momento più emozionante da quando sono Condirettore del SAMRO è stato quello di partecipare a una tavola rotonda su musei “self-made” durante il Festival delle Periferie di Roma.
Ci sono degli artisti che hanno influenzato in maniera determinante il tuo percorso? Se sì, in cosa e perché?
Gli artisti Pop americani e italiani; gli americani più significativi per il mio percorso sono stati Andy Warhol, George Segal e Robert Indiana; mentre tra gli italiani il già citato Franco Angeli e Mario Schifano.
Per l’approccio che hanno avuto con la strada e la loro simbologia sono stati un punto di riferimento anche Keith Haringe Jean-Michel Basquiat. Il segno “artiglio” quasi organico di Giuseppe Capogrossi, che muta pur rimanendo sempre uguale, è sempre nella mia mente quando progetto una nuova opera.
Infine senza far torto a nessuno, tutti gli artisti che ho incontrato durante il mio percorso artistico, e che come me pensano che l’arte sia soprattutto propaganda, sono stati fondamentali per la mia crescita sia artistica sia personale.
Vivi e lavori a Firenze, che rapporto hai con la tua città?
Firenze è la città italiana dove è più difficile portare avanti progetti di arte contemporanea. Anche se alcuni passi avanti sono stati fatti negli ultimi anni, la città rimane troppo legata all’arte rinascimentale, stretta da un turismo di massa che ricerca il Rinascimento. In questa situazione, l’arte contemporanea sta iniziando a essere tollerata.
Pur cercando di dialogare con Firenze, ho da sempre avuto la necessità di associare ai progetti artistici che riguardano la propaganda Plant a Tree una “didascalia” in inglese, per farla uscire dai confini della città e renderla internazionale.
In quale città tra quelle in cui ancora non sei stato ti piacerebbe avere un’esperienza? E perché?
Sicuramente mi piacerebbe visitare il Giappone, e in particolare Tokyo. Sono cresciuto con i cartoni animati giapponesi degli Anni ‘80 e mi ritengo in debito verso quella cultura. Se poi potessi avere una macchina del tempo, tornerei nella New York degli Anni ’60, per poter incontrare Andy Warhol nella sua Silver Factory.
Progetti per il futuro?
Un libro che racconta, soprattutto con le fotografie, il percorso del progetto Plant a Tree. Sarà il progetto a cui mi dedicherò nei prossimi mesi.
Alessia Tommasini
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