Vita, morte e rinascita nella mostra di Thao Nguyen Phan a Milano
Una sequenza di reincarnazioni. La storia del Vietnam, l’ambiente, l’omaggio alla maestra e il pensiero circolare buddhista nelle opere dell'artista, alla sua prima italiana, in mostra a Milano al Pirelli Hangar Bicocca
Si tratta della prima mostra italiana di questa artista vietnamita (1987, Ho Chi Minh City) riconosciuta a livello internazionale per l’uso combinato di video, acquerelli dipinti su seta o su lacca, sculture, disegno e installazione. All’Hangar il percorso espositivo è costruito intorno a rimandi visivi, sonori e tattili: Phan crea narrazioni dove compaiono vegetazioni lussureggianti, l’acqua del Mekong, ma pure architetture cittadine. Tutti elementi utili a ripercorrere la storia di un paese in preda a violenti cambiamenti ambientali e sociali a partire dalle interminabili guerre d’indipendenza: prima contro i giapponesi (1940-1945), poi contro i francesi (1946-1954), infine contro gli Stati Uniti (1955-1975).
Thao Nguyen Phan: l’opera della Biennale
Superato l’ingresso il visitatore incontra opere che utilizzano con tecniche contemporanee il folklore per creare racconti alternativi alla narrazione politica dominante: “Credo che il folclore, le storie tramandate oralmente e i racconti della quotidianità racchiudano un livello più alto di verità. Seppure racchiudano elementi di dì fantasia, fanno parte della coscienza collettiva , a differenza delle narrazioni ufficiali che sesso appartengono a pochi eletti”. Su un video a tre canali appare First Rain, Brise-Soleil (2021–in corso). già presente alla 59° Biennale di Venezia. Il film si apre con la storia di un artigiano khmer specializzato nella costruzione di brise-soleil, strutture frangisole che in città come Ho Chi Minh City (prima del 1976 chiamata Saigon), coniugano tecniche artigianali di costruzione a un materiale come il calcestruzzo, associato al dominio statunitense. Nella seconda parte, il film è ambientato al tempo delle guerre feudali del XVIII secolo, racconta la storia d’amore tra un guaritore vietnamita e una donna khmer.
Il ruolo economico e sociale del Mekong
Il racconto fa perno sul simbolismo di un frutti di cui è ricco il delta del Mekong. Laddove Francis Ford Coppola aveva fatto di questo corso d’acqua il sentiero per la discesa all’inferno dei marines protagonisti di Apocalypse Now, Phan lo utilizza per affrontare il tema dell’amore romantico dando forma a una narrazione che fluisce come il fiume stesso.
Sempre nel primo spazio, un altro video Becoming Alluvium (2019-ongoing) fa parte di un’installazione che comprende anche dipinti a lacca e 28 acquarelli su seta, dove viene indagato il ruolo economico e sociale del fiume attraverso un racconto favolistico e onirico. Le reincarnazioni successive di due fratelli intrecciano molteplici temi come la natura, l’amore e il consumo, diventando metafora delle malversazioni attuate dall’uomo sull’ambiente e delle sue capacità di rigenerazione.
L’omaggio alla maestra Diem Phung Thi
Per creare un secondo spazio Phan ha previsto all’interno dello shed la grande installazione, No Jute Cloth for the Bones (2019- 2023), composta da due pareti parallele di fusti di juta grezza che occupano l’intera larghezza dello shed dal soffitto fino a terra. L’opera è un riferimento alla Grande Carestia causata dalla trasformazione delle risaie in piantagioni di juta durante l’occupazione giapponese. Attraversandola il visitatore viene avvolto dal suono che lo sfregamento di queste canne produce a contatto con il proprio corpo. Gran parte della seconda area è dedicata a opere che celebrano la carriera di Diem Phung Thi (1920-2002) considerata tra i maestri dell’arte moderna vietnamita. L’installazione-videoReincarnations of Shadows (moving-image-poem) (2023), che da il titolo all’intera mostra, è accompagnata da una selezione di sculture della “maestra” che ha durante la sua vita ha lavorato tra Vietnam e Francia. Nell’ insieme si tratta di una riflessione sulla risignificazione di simboli, gesti e rituali, tramandati attraverso racconti orali ma spesso sovrastati dal rumore di fondo di narrazioni “politiche” postcoloniali altrettanto ingannevoli quanto quelle precedenti. Confrontarsi con l’impianto di una mostra potente come questa non è semplice. Non lo è soprattutto per chi è per cultura è aduso a disporsi di fronte alla singola opera alla ricerca di un punto focale, di una forma conclusa e comunque di un obiettivo, di uno scopo “definitivo”. Che non è possibile trovare qui nell’impianto complessivo ma nemmeno nel singolo pezzo: molte didascalie, che si tratti di un acquarello su seta o di un video, riportano ad esempio la dicitura “in corso”. Phan le concepisce le sue narrazioni con un ritmo ciclico, appunto come una “sequenza di reincarnazioni” .
Aldo Premoli
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