Il dilemma dell’eros nella mostra di Ambera Wellmann a Torino
È l’antipoema della fragilità umana quello indagato e dipinto dall’artista canadese, alla sua prima mostra personale in Italia, presso la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Tra Minotauri e figure notturne
“Amare i propri amici e odiare i nemici” scrive Anne Carson “è la ricetta arcaica per ogni risposta morale. Amore e odio sono l’impalcatura di ogni relazione tra esseri umani”. Nell’eros, dove amico e nemico coincidono, gli opposti coesistono in una “tensione profonda e irrisolvibile”, perché nessuno dei due può sopravvivere all’abolizione dell’altro. Nell’eros si annida dunque “un dilemma che è stato ritenuto cruciale da molti pensatori, a partire da Saffo fino ai giorni nostri”. È a partire dalle considerazioni di Carson – e dalla sua traduzione di Saffo – che si può leggere l’operazione pittorica di Ambera Wellmann (Lunenburg, Nuova Scozia, 1982) presso la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo: la mostra Antipoem altro non è che la visualizzazione del frammento generato dall’errore, dall’imprevedibile, dal conflitto interiore umano, evidenziato quale varco d’opportunità per futuri alternativi e trasformazioni individuali e collettive.
La mostra di Ambera Wellmann a Torino
Soprattutto, le opere realizzate appositamente per gli spazi della Fondazione riassumono un attento lavorio pittorico, sapiente perché si avvale dell’indagine mitologica di spazio e tempo – ergo dell’assenza o della convivenza di tutti i tempi e gli spazi possibili.
È nell’assenza di linguaggio che la fragilità umana può innescare metamorfosi costruttive, rielaborando parti di sé in maniera illimitata; una libertà che può diventare totale disgregazione – come nelle figure notturne – o superamento della vulnerabilità – come nella serie di Minotauri, dal grande e immersivo formato. In particolare, il ruolo simbolico del Minotauro diviene opportunità di analisi: totem di un viaggio iniziatico, la creatura mitologica detiene il caos delle forme e la soluzione dell’enigma della morte, ma è diventato, nella storia dell’esegesi, anche emblema dei piaceri terreni e mostro sofferente e ingenuo.
Nonostante svisceri tematiche di ingente portata storico-culturale, Antipoem riesce a donare piacevolezza estetica e senso di appartenenza emotiva. Una mostra intellettualmente preziosa, punta di diamante tra i filoni indispensabili per un discorso critico approfondito presso la Fondazione.
Federica Maria Giallombardo
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