Carlo Cossignani e la sua ossessione per il vuoto in mostra a Milano

Cosa viene prima, il pieno o il vuoto che lo circonda? Nella mente dell’artista, le figure emergono sul confine che li separa. Sta all’osservatore trovarle

Sono ossessionato dal vuoto”: come un mantra, Carlo Cossignani (Porto San Giorgio, 1981) continua a ripeterselo, e a raccontarlo a chi chiede da dove nasca la sua ispirazione. Le nuove opere realizzate in occasione della mostra da Tempesta Gallery, hanno proprio origine dal nulla. Da quel nulla apparente che circonda la materia solida, e che nulla non è affatto. La convinzione alla base di questa sua ossessione per il vuoto è che esso non vada percepito in opposizione al pieno: è piuttosto un suo complemento. E la scienza concorda. Anche nel vuoto c’è qualcosa; altrimenti l’universo, che pare abbia avuto da lì la sua genesi, non potrebbe essersi mai costituito. Non si vede, ma c’è. E l’artista, grazie alla sua unica sensibilità (che continua testardamente a chiamare “ossessione”), è in grado di coglierlo ed esprimerlo nelle sue opere. 

Il vuoto negli acquerelli di Carlo Cossignani

Come racconta egli stesso, “ho scoperto le immagini nascoste nel vuoto osservando i ritagli di carta che rimanevano attorno alle figure”. Stava realizzando le sagome per una scenografia, quando si è reso conto che ciò che circonda i soggetti, spesso parla di loro più di quanto siano in grado fare da sé. Così, ha cominciato a ragionare per complementarità tra pieni e vuoti, sviluppando una doppia narrazione che vive e si anima sul loro confine liminale. “Quando traccio un segno con il pennello, le figure emergono da entrambe le parti. Se di qua c’è un corpo femminile, di là vedo un volto di profilo”.
Per rendere palese questa duplicità che popola la realtà, Cossignani sceglie l’acquerello. Colori freddi, blu ultramarini abbondantemente diluiti, rosa e violetti, che si accumulano e si sciolgono fluenti. L’effetto è quello di un’ibridazione tra passato e presente. Tra il conforto della carta e della tradizione, e il gelo cromatico che inneggia all’inumanità dell’intelligenza artificiale. E una pari contrapposizione deriva anche da ciò che è davvero visibile nelle sue opere. Figure familiari alla storia dell’arte, accostate a sagome che non esprimono molto più di impassibili automi, imprigionati nel loro guscio metallico. Il profilo delle macchie di acquerello rimarca i contorni con toni più intensi: come fosse l’acciaio che rispecchia l’ambiente attorno. Più si osservano quelle carte sospese sulla parete, e più corpi emergono dalla superficie. L’occhio si abitua al gioco illusorio dell’artista, che nasconde il suo popolo di soggetti tanto nel bianco, quanto nel colore. Nel vuoto, e nel pieno. Ecco molteplici fanciulle danzanti, che si contorcono in pose acrobatiche; ecco Veneri più formose, scolpite su quel confine di pigmento accumulato. Una volta che si è preso gusto a cercare figure, si arriva a vede persino l’accenno alla Pietàmichelangiolesca.

Carlo Cossignani, Speak to me in a floating way, installation view at Tempesta Gallery, Milano, 2023. Photo Sarah Indriolo
Carlo Cossignani, Speak to me in a floating way, installation view at Tempesta Gallery, Milano, 2023. Photo Sarah Indriolo

Architetture che precipitano: le sculture di Carlo Cossignani

L’altro lato della produzione site specific di Cossignani, un vero contrasto di materiali, sono le sculture di acciaioche sembrano precipitare dal soffitto della galleria. “Mi piace pensare all’architettura del cosmo, e a come sono fatte le cose”: è questo il pensiero da cui scaturiscono quegli scheletri sospesi, che rievocano le costruzioni antiche della storia umana. Le linee tendono verso l’alto, come le finestre delle cattedrali gotiche. I cavi d’acciaio di cui sono fatti ricordano molto i profili neri che segmentavano la superficie di vetro, secondo l’arte del Cloisonnismefrancese. A sentire l’artista, però, la fonte iconografica è piuttosto l’architettura del mondo arabo, dalle tipiche forme appuntite. Il pensiero è libero di vedere ciò che sente; conta l’idea di collegamento tra cielo e terra, propria di qualsiasi religione nei rispettivi edifici di culto. All’osservatore che guarda le sue opere, Cossignani chiede questo: chiede di riflettere su come la realtà sia immersa in una struttura invisibile, ma che regge ogni cosa. Che la si racconti con gli acquerelli, o con i fili d’acciaio, il concetto rimane lo stesso. È ancora una volta… il vuoto. 

Emma Sedini

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Emma Sedini

Emma Sedini

Milanese ed etrusca in parti uguali, Emma Sedini è nata a Milano nel febbraio del 2000. Si definisce “artista” per la sua indole creativa e pittorica, ma è laureata in Economia e Management per l’Arte all’Università Bocconi, e tutt’ora frequenta…

Scopri di più