Pensare il colore prima della pittura. Claudio Olivieri in mostra in Veneto
Nel trevigiano, Villa Brandolini ospita oltre 100 opere, tra lavori su carta e su tela, per raccontare l’astrazione di uno dei pittori italiani più interessanti del secondo Novecento
Claudio Olivieri (Roma, 1934 – Milano, 2019) è stato un artista non figurativo importante della seconda metà del Novecento, per la gestualità controllata e per la concretezza del pensiero. La sua pittura non è referenziale, non vuole indicare, non sottende simboli. È tutta nell’azione che la nutre, eliminando ciò che non le appartiene; se qualcosa succede, non sconfina all’ esterno, avviene all’interno.
Concetto e pittura sono strettamente connessi. Si sottraggono alla sudditanza rappresentativa o anche solo all’allusione. Un dipingere dove emergono affinità evidenti con artisti come Rothko, Newman, Reinhardt, che condividono il significato intenso e profondo conferito alla pittura, al colore come coesistenza di pensiero e fisicità; al colore come entità autonoma che dà vita a corpi cromatici indipendenti, liberi, resi mediante la gestualità riflessiva che continuamente indaga e su questa indagine si costruisce.
La mostra di Claudio Olivieri a Solighetto
Questo continuo interrogarsi ora si concretizza nella mostra Claudio Olivieri. Di carte e oltre… Pensare il colore prima della Pittura, curata da Matteo Galbiati per gli ambienti di Villa Brandolini a Solighetto (TV). Un centinaio le carte esposte che, insieme ad una selezione di opere su tela, patrimonio dell’archivio dell’artista, scandiscono il percorso della rassegna, permettendo al visitatore di approfondire il rapporto dell’autore con il colore. Sono appunti di un pensiero, tracce da sviluppare sulla tela, occasioni di pittura da trasformare in emozione e linguaggio. Come in Barlume(1983), con la luce che piove dall’alto, quasi timida, come se non volesse invadere l’intera superficie. Luce che si esprime attraverso diverse gradazioni di verde. In Thule (1970) i neri i gialli i blu i viola intersecati da delicati filamenti sembrano creati dal nulla. Come se scaturissero dall’origine dell’universo e stessero prendendo forma davanti ai nostri occhi.
La pittura di Claudio Olivieri
Se si va alla ricerca delle fonti che hanno cercato di interpretarne la pittura, appare quasi sempre il cartiglio: “uno tra i più famosi nomi della pittura analitica italiana e internazionale”. Ma è una definizione che gli stava stretta: lo stesso autore in un’intervista la definiva “un contenitore, uno schema definitorio che accosta cose molto diverse sia come origine sia come svolgimento del linguaggio”. La sua tecnica non si basa sulla scomposizione ma sull’accumulo, sulla sovrapposizione delle stesure. Tallonando un colore che non è già dato, che bisogna cercare per materializzarne le vibrazioni, le ombre. Per esprimerne le potenzialità non ancora rivelate, le luci non ancora manifestate.
Una ricerca incessante quindi, chiarita dallo stesso artista: “Mi domando da dove vengano queste ombre colorate che ogni tanto accendono la mia mente; cosa mi spinga a tentare di dare forma e pienezza a ciò che, a volte, temo sia un profondo e puro fantasma”.
Fausto Politino
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