Tra videoarte e scrittura. Intervista ad Ali Kazma in mostra a Milano
Nel suo ultimo progetto il video artista turco si cimenta con il tentativo di filmare il processo creativo di un grande scrittore come Orhan Pamuk. Un lavoro che ha richiesto 200 ore di girato e quasi due anni, ora esposto alla galleria di Francesca Minini
Due proiezioni su più schermi, entrambe dedicate allo scrittore turco Orhan Pamuk. Per la sua quarta personale alla galleria Francesca Minini, a Milano, Ali Kazma (Istanbul, 1971) sceglie di fissare l’obiettivo sul Premio Nobel per la Letteratura del 2006 per raccontarlo attraverso l’azione che gli è più congeniale, la scrittura. Con il video artista che ha rappresentato la Turchia alla 55esima Biennale di Venezia abbiamo parlato di questo, e altro.
Intervista ad Ali Kazma
Nel video A House of Ink, come un testimone silenzioso, sei rimasto per giorni a filmare lo scrittore Premio Nobel della Letteratura Orhan Pamuk nella sua casa a Istanbul. Da dove è nata l’idea?
Ho girato sessantacinque giorni nell’appartamento/studio di Pamuk. Il totale delle riprese ha superato le duecento ore iniziando a dicembre 2021 e terminando a luglio 2023. Devo ammettere che in oltre venticinque anni di riprese e video, questo progetto è stato il più grande in termini di tempo e impegno.
Pamuk scrive tutto il suo materiale a mano e conserva meticolosamente nel suo studio tutti i manoscritti, le corrispondenze, gli appunti sulle traduzioni, i disegni e i diari. Quando nel luglio del 2021 ha condiviso con me tutto questo materiale e mi ha chiesto se fossi interessato a farne qualcosa, mi sono emozionato. Tutti i manoscritti, conservati in scatole di cartone e risalenti ai primi anni Ottanta fino al suo ultimo romanzo Le notti della peste, erano accatastati in una piccola stanza accanto al salotto. Probabilmente c’erano più di trentamila pagine scritte a mano in quella stanza!
E come ti sei relazionato a un materiale così “prezioso”?
Fin dall’inizio ho avuto la consapevolezza di volere utilizzare i manoscritti come base del progetto. Ma sapevo anche di non poterli filmare tutti nel modo in cui volevo: desideravo infatti dedicare tutto il tempo necessario ad ogni singola pagina, trattandola non solo come elemento del processo di un romanzo, ma come un paesaggio visivo/psicologico, contenente indizi sui misteri della scrittura e del pensiero di Pamuk.
Alla fine, ho scelto solo un romanzo da filmare, Il libro nero, che è anche fra i miei libri preferiti. Il suo manoscritto è di oltre tremila pagine.
Come hai realizzato le immagini?
Ho iniziato filmando ogni pagina nel dettaglio: questo è stato il modo per conoscere il processo di Pamuk e anche il mio approccio paziente e delicato per entrare nel vasto paesaggio da cui proviene tutta la sua scrittura. Sentivo che se avessi trascorso abbastanza tempo con queste pagine, scrutando ogni singola parte, tutto il resto di questo sfuggente processo di creazione avrebbe iniziato a rendersi visibile. Inoltre, non volevo essere un elefante in un negozio di porcellane, perché ritengo che tutta la creazione sia preziosa e che tutto ciò che è stato creato attraverso un lavoro profondo deve essere affrontato con estrema cautela e attenzione.
Ho trascorso circa venti giorni a filmare il manoscritto e la mutevole vista del Bosforo e della penisola storica di Istanbul dal soggiorno di quell’appartamento. L’abitazione di Orhan Pamuk è composta da due unità abitative: uno studio al sesto piano, mentre i suoi alloggi sono al quinto piano, dove si trovano anche tutti i manoscritti.
Per tutto il periodo, arrivavo al mattino, scambiavo qualche semplice convenevole con Pamuk e iniziavo a filmare i manoscritti: l’interazione con lui, che lavorava costantemente ai suoi progetti al sesto piano, è stata minima. A volte, quando si fermava al quinto piano prima delle sue passeggiate pomeridiane, poteva vedermi lavorare al manoscritto, mentre filmavo pagina dopo pagina.
Come si è evoluto il progetto?
Dopo aver terminato le riprese del manoscritto e di alcuni scorci e dettagli del quinto piano, come piccoli oggetti, biblioteche e libri, ho invitato l’autore a cena nel mio appartamento e ho condiviso alcune delle riprese che avevo raccolto. Abbiamo parlato della direzione che pensavo stesse prendendo il lavoro. Gli ho anche detto che, quando e se si fosse sentito pronto, avrei voluto filmarlo mentre scriveva.
Definisco questo momento la fine del primo periodo di riprese.
Poi è iniziato un nuovo processo, che possiamo definire il secondo periodo, in cui di tanto in tanto andavo al piano superiore dove Pamuk scriveva, leggeva e disegnava. Al sesto piano c’erano molti più libri, agende Moleskine che spesso contenevano bellissimi disegni dell’autore, torri di libri forse legati alla ricerca di un saggio o di un romanzo, e una disposizione sempre diversa di tazze da caffè, inchiostro, penne stilografiche, appunti, manoscritti, quaderni, penne, gomme e materiali di ricerca su molte scrivanie disposte intorno allo studio.
Così è iniziata un’interazione più diretta con Pamuk…
Ho iniziato a filmare anche questi oggetti e, in diverse occasioni, ho ripreso l’autore mentre scriveva nei suoi diari e lavorava al suo nuovo romanzo. L’ho anche ripreso mentre collaborava con fotografi per i suoi progetti e assistenti per riordinare le sue biblioteche e curare cataloghi e nuove edizioni dei suoi libri. Durante questa fase, mi sono soffermato anche sui libri che leggeva. Filmavo le pagine in cui prendeva appunti, le frasi sottolineate, le date e altri dettagli scritti sui primi fogli. Spesso trovavo libri che provenivano dalla biblioteca di suo padre, ero felice di vedere ciò che era stato trasmesso da una generazione all’altra. Inoltre, l’ho ripreso mentre lavorava con artisti e assistenti a nuove scatole per il suo Museo dell’Innocenza: in ogni scatola, Pamuk re-immagina una parte dei suoi romanzi attraverso dipinti, vecchie fotografie e altri oggetti.
Il progetto sull’autore e sul suo processo di creazione cominciava a diventare un’opera più stratificata e complessa. L’aggiunta della sua figura che lavora e parla ha animato l’intero video e ha creato nuove possibilità e sfide per il processo di editing. È in questo secondo periodo che mi è stato chiaro il nome e la forma dell’opera finita: A House of Ink, sarebbe stata presentata come un grande trittico coeso.
Il trittico A House of Ink in mostra a Milano
Come ha preso forma, dunque, il girato?
Ogni proiezione del trittico doveva scorrere con il proprio ritmo e con diverse durate per generare continuamente nuove e uniche combinazioni di suoni e immagini. L’asincronia di questa triplice configurazione sarebbe stata una qualità fondamentale dell’opera e avrebbe portato lo spettatore all’interno del processo stratificato di creazione, invitandolo a tracciare una serie incalzante di nuove connessioni da questo materiale vasto e sfaccettato. Non volevo che l’opera fosse statica, bloccata in una possibilità tra le tante, ma che riproducesse qualcosa di simile al processo creativo a cui assistevo ogni giorno nello studio di Orhan Pamuk.
Ma poi è successo altro….
Sì, in questo periodo ho filmato il dialogo tra me e Pamuk che ha portato alla realizzazione del video Sentimental. Dopo venti giorni iniziali di riprese che hanno dato vita a A House of Ink, mi sono preso una pausa e, condividendo il materiale con Pamuk, ho deciso di vedere che tipo di video stava nascendo. Egli trovò che il materiale, diventato uno studio molto intimo su di lui, mancasse di un elemento molto importante: il suo ritratto non poteva non contenere il suo primo amore, la pittura. Senza di essa, sarebbe stato incompleto. Negli ultimi anni Pamuk si sta concentrando maggiormente sulla pittura e la condivide sempre di più nelle sue mostre e nei suoi libri.
Così è iniziato un nuovo e ultimo periodo di riprese, probabilmente un processo più intenso e intimo, in cui lo scrittore ha condiviso con me tutti gli autori a lui cari, i pittori ottomani, le miniature persiane, i suoi bellissimi acquerelli che raffigurano i palazzi citati in Le notti della peste, le decorazioni geometriche che ricordano i motivi che si trovano nei suoi scritti, una voce cara di un’oscura enciclopedia, un dipinto di quando aveva diciannove anni e molto altro ancora….
È stato in questo periodo che ho ripreso Pamuk mentre dipingeva sui suoi diari. Questo terzo e ultimo momento è durato circa venticinque giorni, al termine del quale ho raccolto tutto il materiale necessario per la realizzazione di Sentimental.
Poi, entri anche con il tuo corpo e la tua voce, dialogando con Pamuk. Cosa è cambiato?
Sentimental è iniziato con un dialogo spontaneo. Non c’era nulla di programmato. Stavo filmando alcuni dipinti al piano di sotto quando Pamuk mi ha informato che avrebbe autografato 1.750 volumi, chiedendomi se fossi interessato a riprendere questa rara attività. Ho detto di sì e ho iniziato a girare. La situazione mi ha subito ricordato Clerk, un video che ho realizzato nel 2010 con un impiegato notarile, velocissimo timbratore di carte: ho pensato che avrei potuto girare un breve video di Pamuk che firmava i libri molto velocemente. Penso che i due video di Pamuk accanto Clerk funzionerebbero molto bene insieme in una mostra.
Dopo circa due minuti, forse annoiato dalla ripetitività, Pamuk avviò una conversazione sul mio imminente viaggio in moto in Europa, partendo da Istanbul attraversando Grecia, Italia, Francia, Svizzera e ritorno. Era molto curioso e mi chiese del mio itinerario, del costo di un viaggio del genere e di molte altre cose.
Una delle cose che si imparano presto durante le riprese è capire quando sta succedendo qualcosa di importante e continuare a girare. Così registrai l’intero dialogo che a un certo punto si trasformò in una riflessione riguardante due diversi tipi di artisti, il sentimentale e il naïf, come quelli descritti dal poeta romantico Schiller.
In cosa differiscono il sentimentale e il naïf?
Orhan Pamuk ha scritto un breve libro sullo stesso argomento, applicando la metodologia di Schiller ai romanzieri, intitolato Il romanziere ingenuo e sentimentale. Probabilmente stimolato dal nostro dialogo sul movimento, disse che secondo lui io sono un artista naïf che crea in modo spensierato e spontaneo (come Goethe) mentre lui è più incline all’autocritica e alla disperazione (come Schiller) e quindi sentimentale.
Finito di parlare, capii che dovevo portare con me la telecamera durante il mio viaggio e riprendere una o due immagini di tutte le città e i luoghi citati nel nostro dialogo. Le avrei poi accoppiate con alcuni dei disegni e dei dipinti di Pamuk, spesso paesaggi e città, per creare un dittico video, mettendo faccia a faccia due personaggi che viaggiano e creano opere artistiche in modi diversi.
Non credo che Pamuk ritenga che esistano artisti puramente naïf o puramente sentimentali, e nemmeno io, ma contrapporre gli opposti in questo modo in un’opera d’arte è molto produttivo per creare spazio di riflessione. Sentimental è molto importante anche perché è il primo video in cui faccio parte dell’opera in modo significativo.
Documentare il processo creativo
Perché è così importante per te documentare il processo creativo?
Il mio lavoro riguarda il modo in cui noi costruiamo il mondo e come il mondo a sua volta costruisce noi. I processi che mi interessavano di più all’inizio erano la produzione materiale, come le fabbriche, gli studi di lavoro e gli atelier. Per questo motivo ho girato in vetrerie, in case di moda, presso tassidermisti, stampatori, macellai e molti altri. Un altro punto di interesse per me sono stati i luoghi che hanno un grande significato storico o sociale, come le basi Nato abbandonate, le prigioni, i laboratori, gli studi di artisti, i magazzini e così via. Negli ultimi dieci anni circa, un altro tema molto importante nella mia ricerca, è stata l’arte o, come si dice, il processo creativo. Per questo ho lavorato con danzatori, ceramisti, pittori e, come in questo caso, con uno scrittore, Orhan Pamuk.
In questa decade, ho dedicato la maggior parte del mio tempo a queste attività creative, che si sono rivelate i soggetti più sfuggenti e difficili da filmare. Sento che è necessario incorporare nel mio lavoro questa produzione forse più umana di tutte, quella della sfera simbolica.
Devo farlo perché altrimenti il quadro che sto dipingendo mancherebbe di una parte essenziale dell’attività umana. Lo faccio anche perché mi piace molto e imparo, approfondendo, le pratiche di altri che si occupano di arte come me.
Con questi video si è concluso un progetto che ti ha portato in giro per il mondo alla ricerca di un modo per esplorare e raccontare l’immaterialità dei libri, e che si conclude con due film girati nel tuo quartiere natale di Cihangir, a Istanbul, dove tutto è cominciato. Perché i libri anziché le opere d’arte? E perché la casa?
Negli ultimi dieci anni ho lavorato molto con il mondo dei libri. I libri sono sempre stati al centro della mia vita. Così ho voluto saperne di più. Volevo conoscere le biblioteche, sia personali che pubbliche, le tipografie, i collezionisti, i designer, gli editori, i traduttori, i manoscritti e gli autori. Ho visitato centinaia di luoghi legati ai libri; ho fotografato e parlato con coloro che sono coinvolti in tutte le diverse fasi legate alla produzione di libri. Ho realizzato video su calligrafi, sulla litografia, su spettacoli teatrali, sulla stampa di giornali, su scarificazione e autori.
Ho scelto di trascorrere molto tempo con i libri, pensando e lavorando il più profondamente possibile su di essi, forse perché ho paura di finire questo progetto senza stancarmi.
Considero questo lungo lavoro con Pamuk, che vive e lavora a 200 metri dal mio appartamento a Istanbul, come una conclusione poetica di un progetto nato nello stesso luogo.
Non ho preferito i libri rispetto alle opere d’arte: questa decisione non esclude la collaborazione con gli artisti. Negli ultimi vent’anni ho lavorato anche con musei e artisti e continuerò a farlo.
Neve Mazzoleni
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