La macchina del tempo di Nico Vascellari a Firenze. La mostra al Forte Belvedere
Uno dei maggiori performer artist riunisce i suoi lavori multimediali, tra video, suoni, collage e sculture. Un miscuglio di forme selvatiche e artificiali per un primitivismo in salsa cyberpunk
Spesso le azioni necessitano di un momento specifico per coprire il tempo determinato tra l’intenzione e la realizzazione. Riferendo l’attenzione alle azioni performative coniate nell’ultimo mezzo secolo di arte contemporanea, si potrà cogliere come i pionieri del settore – Marina Abramovic, Vito Acconci, Gina Pane, Joseph Beuys, solo per citare i più iconici – tendevano a misurare, nel senso di “dosare”, il tempo come somma di quei momenti specifici, per giungere al culmine ideale di intenzione = messa a punto, ovvero la spontaneità perfetta.
Le tracce, dunque, erano consequenziali, spesso inconsistenti, molto volentieri lasciate alla sola testimonianza del pubblico occasionale, elevato a baluardo di memoria artistica e riconosciuto, in quanto tale, come co-partecipe dell’opera.
Le regole della Performance Art oggi
Gli ultimi vent’anni di storia artistica, invero, registrano una tendenza opposta nel campo della Performance Art, manifestando l’importanza delle tracce fisiche come detonatori per la resa artistica, creando un vero e proprio campo minato ricco di tensione e suspence, almeno fino all’inevitabile contatto (in genere rappresentato dal vernissage). Da qui l’attitudine degli artisti a disseminare tracce, più o meno identiche, in un tempo non più ricercato e determinato piuttosto a servizio di una mise en scène, eludendo una precisa intenzione: scopo della ricerca non è più l’atto, bensì quei momenti specifici sopracitati che nel recente passato gli artisti andavano a “levare” per ambire alla purezza del gesto.
La mostra (e la performance) di Nico Vascellari a Firenze
Nico Vascellari (Vittorio Veneto, 1976), uno dei massimi esponenti dell’arte performativa riconosciuto a livello internazionale, si delinea puntualmente nell’ambito dell’attualità postmediale, raccogliendo l’eredità dei padri putativi del settore e “ribellandosi” senza mezzi termini a una sofisticazione del gesto, ponendo l’accento su un individualismo artistico, talvolta connaturato da riferimenti biografici (Bus de la Lum, 2011), oppure concentrato sulla propria energica fisicità. Le sculture, i collage, persino i video, in cui si propone come interessante regista, sono in realtà dei placidi inneschi relazionati con la personalità multimediale di Vascellari stesso. Non stupisca, dunque, se la mostra MELMA, a cura di Sergio Risaliti, direttore del Museo Novecento, predisposta per gli spazi interni ed esterni del Forte Belvedere di Firenze, appare quieta e divergente in un ambiente contemplativo; il disarmo è una questione temporale, un effetto nostalgia per un evento non ancora accaduto, dettato da una legge probabilistica che forza il pubblico a un’associazione di idee inevitabile visto l’abbondare di simboli e romanticherie.
Si prendano, ad esempio, le sculture in alluminio della serie Horse Power (2003): l’ibridazione uomo-natura-macchina non è nuova nel panorama della scultura italiana contemporanea (si veda anche Giulia Cenci), ma la forte declinazione formale alla parvenza dei soggetti utilizzati porta l’apparato statuario di Vascellari a rincorrere una significazione postuma alla realizzazione, con arbitraria direzione verso il passato o il futuro.
Che sia l’attesa della performance Alessio del 3 ottobre in Palazzo Vecchio il fulcro della mostra MELMA? Nel predisporre una risposta, Nico Vascellari allestisce una complessa “capsula del tempo”, pronta a svelarsi nel momento in cui sarà irreversibilmente troppo tardi.
Luca Sposato
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