La foresta d’artista di Agustín Ibarrola rinasce nei Paesi Baschi
Un parassita dei pini rischiava di distruggere El Bosque de Oma, la grande opera nella foresta creata da Agustín Ibarrola, ma un’attenta operazione di “trasferimento” ha permesso al Dipartimento Forestale dei Paesi Baschi di salvarla e riaprirla al pubblico
Tutto nacque nel 1982, quando Agustín Ibarrola (Bilbao, 1930) iniziò a dipingere sui tronchi dei pini della foresta di Oma, nel municipio di Kortezubi all’interno della Reserva de la Biosfera de Urdaibai, non lontano dalla cittadina di Guernica. L’intenzione era quella di utilizzare il paesaggio come una tela per dare continuità alla sua espressione artistica. El Bosque de Oma segna la grande svolta nella carriera di Agustín Ibarrola Goikoetxea, che all’inizio degli anni Ottanta volle guardare al movimento Arte e Natura, nato circa vent’anni prima, con lo scopo di trasferire il lavoro artistico sulla dimensione naturale e utilizzare il paesaggio come cornice e materia prima per l’opera d’arte. Su queste basi concepì il progetto, giocando con i diversi piani di profondità e creando scenografie artistiche composte da linee rette, curve e circolari dai colori intensi. I tronchi degli alberi, “aggrediti” da figure umane, animali e forme geometriche, vogliono essere una riflessione sulla problematica convivenza (che in quegli anni si delineava nei suoi catastrofici effetti) fra umanità e ambiente naturale, ma anche sugli aspetti positivi della presenza dell’umanità nel paesaggio; questa grande opera ha voluto essere uno dei primi esempi su larga scala, in Spagna, dell’impegno degli artisti per la protezione della natura, ma anche una riflessione generale sullo sviluppo umano e un forte richiamo alla responsabilità individuale. Il lavoro pittorico si sviluppa attraverso suggestive forme colorate dal carattere simbolico, in parte ispirate alle pitture rupestri delle vicine grotte di Santimamiñe; i primi tre “capitoli” di questa opera sterminata, Minaccia nucleare, Moschea di Cordoba, Marcia dell’Umanità, sono realizzati con soli tre colori, a causa delle scarse risorse iniziali di Ibarrola.
La rinascita della foresta
L’estesa foresta di pini in cui è stata realizzata El Bosque de Oma venne piantata alla fine del 1960, ma poi, nei primi anni Duemila, la diffusione di un parassita attaccò la corteccia dei pini, rovinando i dipinti e causando la morte degli stessi alberi. Poiché questa calamità minacciava anche un’opera d’arte divenuta un simbolo del territorio, nel 2018 il Consiglio Provinciale di Bizkaia ha sviluppato un piano di salvataggio da un milione di euro, ottenendo anche il pieno appoggio di Ibarrola, che aveva espresso chiaramente il desiderio che la foresta (visitata da oltre 100.000 persone ogni anno) sopravvivesse. Dopo aver consultato vari esperti d’arte contemporanea e di questioni forestali, il Consiglio decise di spostare idealmente i tronchi dipinti in un altro territorio forestale che avesse sia caratteristiche comuni a quelle della pineta originale, sia una migliore accessibilità per lavori di manutenzione e per far fronte a possibili emergenze. Per rispettare il più fedelmente possibile l’aspetto originale, i dipinti di Ibarrola sono stati riprodotti solo dopo un’accurata selezione dei tronchi più adatti, anche in base alla prospettiva e alla forma dell’area occupata dagli alberi, visionando gli spazi e le prospettive appropriate, e realizzando bozzetti sul posto, per passare infine alla fase di pittura vera e propria. Per l’occasione si è pensato a dipingere ben 250 tronchi di pino in più, rispetto alla versione originale, per un totale di oltre 800 alberi coinvolti. Di questo importante progetto si è occupato un team multidisciplinare guidato da Fernando Bazeta, professore presso l’UPV/EHU, e formato da tre esperti di restauro, quattro studenti del corso di conservazione e restauro dell’UPV-EHU ed esperti forestali del competente dipartimento basco.
Chi è Agustín Ibarrola
Agustín Ibarrola mosse i primi passi nella pittura da autodidatta, prima di diventare allievo di Daniel Vázquez Díaz a Madrid, fra il 1948 e il 1955. Nel corso della sua lunga carriera ha spaziato fra differenti movimenti artistici, dal Cubismo al Costruttivismo, fino all’astrattismo geometrico di Equipo 57. Poi, a partire dagli anni Sessanta, la sua opera pittorica diventò una sorta di “traduzione plastica” delle sue opinioni, e può essere considerata arte sociale, in quanto denuncia, attraverso uno stile neo-espressionista, delle dure e ingiuste condizioni di vita del proletariato urbano e rurale nella Spagna della dittatura. Per aver preso parte a manifestazioni operaie negli anni Sessanta e Settanta, è stato più volte arrestato e a lungo detenuto, anche se poté continuare a dipingere in carcere. La sua opera riflette sia l’impegno sociale nei confronti dei lavoratori, sia lo spirito basco, anche se si è più volte dissociato dal terrorismo dell’ETA. Tuttavia, per il suo attaccamento alle radici basche, l’artista ha più volte subito intimidazioni e atti vandalici.
Arte e natura nel lavoro di Agustín Ibarrola
Negli anni Ottanta la sua visione artistica cambiò sensibilmente, quando cominciò il suo lavoro sulle foreste: da allora Ibarrola si dedica a creare nella natura. Questo particolare tipo di arte pubblica en plein air diventa la risorsa perfetta per la rappresentazione della cultura collettiva e del sentire sociale. Il concetto per la foresta di Oma fu replicato, ad esempio, anche a Salamanca, con quella che è conosciuta come La foresta incantata: sulle rive del fiume Tormes (quello del Lazarillo) un gruppo di vecchi olmi, seccati a causa del parassita della grafite, è stato decorato con motivi pittorici dai colori vivaci. Nel 2012, a causa del deterioramento dovuto alle intemperie, quest’opera è stata completamente smantellata.
Fra le grandi opere pubbliche di Ibarrola, anche il Monumento alle Vittime del terrorismo, inaugurato nel 2008 nella città di Logroño: quattro lastre di acciaio Corten che riproducono un muro squarciato da una bomba. Immagine simbolica e toccante in memoria delle tante persone uccise dalla violenza dell’ETA.
Niccolò Lucarelli
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