Giustizia coloniale ed ecologica: il collettivo congolese CATPC sarà al Padiglione dell’Olanda alla Biennale Arte 2024
La folta comunità artistica della Repubblica Democratica del Congo, in collaborazione con l'artista Renzo Martens e il curatore Hicham Khalidi, mette al centro della propria pratica una resa dei conti spirituale, etica ed economica. Per restituire vita e sacralità alla propria terra, abbrutita dalle piantagioni
Le occasioni in cui si può osservare il distacco tra la sensibilità del mondo dell’arte contemporanea e lo stato della cronaca sono molte. Colpisce con forza, però, considerare che negli esatti giorni in cui in Olanda vince il Partito per le Libertà di Geert Wilders – sigla di estrema destra che ha promosso la messa al bando del Corano e dell’hijab – arriva l’annuncio che a rappresentare il Paese alla 60. Biennale Arte di Venezia sarà il collettivo congolese Cercle d’Art des Travailleurs de Plantation Congolaise (CATPC), in collaborazione con l’artista olandese Renzo Martens e il curatore Hicham Khalidi (direttore della Jan Van Eyck Academie di Maastricht). Il collettivo originario di Lusanga – sito della prima piantagione della società anglo-olandese Unilever nella Repubblica Democratica del Congo – presenterà una serie di nuove opere che mettono al centro una resa dei conti spirituale, etica ed economica nell’ambito della liberazione della loro terra d’origine e dell’impegno alla rigenerazione dell’area per riportarla a ospitare le foreste sacre originarie.
Il collettivo CATPC al Padiglione Nazionale Olandese e nella Repubblica Democratica del Congo
L’esposizione si svolgerà parallelamente al Padiglione Rietveld a Venezia (con la commissione dal Fondo Mondriaan), di cui seguirà il motto Stranieri Ovunque, e al White Cube di Lusanga, museo fondato nel 2017 da Martens e CATPC (insieme a una scuola, una sala conferenze, una cucina e un luogo di ritrovo per la comunità). Per entrambe le mostre, il collettivo comunitario creerà dei lavori a partire dalla terra degli ultimi lembi di foresta rimasti intorno alla piantagione, fondendoli alle materie prime estratte nell’area. “Ogni scultura ha in sé il seme che riporterà la foresta sacra”, ha commentato Ced’art Tamasala, a nome di CATPC. “Agendo da conduttore, queste sculture consentiranno un futuro equo e condiviso per tutti gli esseri umani, permettendoci di rivendicare le nostre terre rubate, di rimboschirle e di accogliere il futuro dopo la piantagione e il ritorno della foresta sacra“.
La restituzione della scultura Balot
In previsione della mostra doppia, il collettivo ha presentato anche una petizione (poi vinta) per la restituzione temporanea della scultura Balot: quest’opera è un diretto riferimento al massacro, da parte dell’esercito coloniale belga, del popolo congolese Pende, che in seguito allo stupro della nobildonna Kafuchi si rivoltò nel 1931 contro il reclutamento forzato e decapitò l’amministratore belga Maximilien Balot. La scultura ancestrale, che rappresenta l’ufficiale, era stata creata come “oggetto di potere” per imprigionare lo spirito di Balot e porlo al servizio del popolo Pende: rimasta nascosto fino al 1972, l’opera fu venduta a uno studioso americano che poi la cedette al Virginia Museum of Fine Arts di Richmond, negli Stati Uniti. Ora il CATPC chiede una giustizia, almeno temporanea, con la restituzione del manufatto alla piantagione, così da dare nuova forza alla propria lotta: una richiesta andata a buon fine. Molti musei occidentali sono stati dopotutto costruiti e finanziati con i profitti estratti dalle piantagioni, ha ricordato il collettivo, che ha ricordato come sia giunto il momento che i musei e gli istituti d’arte di tutto il mondo occidentale sostengano la riconciliazione e si impegnino attivamente con le comunità indigene.
Il giudizio del cubo bianco, l’ultima opera inedita dei CATPC
Esempio di questa giustizia è l’ultimo film inedito del CATPC, The Judgment of the White Cube (Il giudizio del Cubo Bianco), in cui un metaforico “White Cube” viene preso in ostaggio e giudicato davanti alla comunità: nel processo, il cubo bianco è condannato a chiedere perdono e a riportare indietro la scultura ancestrale di Balot. “Puntiamo a uno scenario in cui il sudore e i frutti del lavoro delle piantagioni si trasformano, da macchie impure, in strumenti di riparazione. Il processo di esibizione ed espressione delle nostre idee in questi frutti che abbiamo prodotto, ci consente – come CATPC – di riacquistare i terreni confiscati, di rigenerare la foresta sacra e di consentire una coesistenza pacifica tra uomo e natura“, ha sottolineato Ced’art Tamasala.
Il collettivo – che è presieduto da René Ngongo e comprende gli artisti Djonga Bismar, Alphonse Bukumba, Irène Kanga, Muyaka Kapasa, Matthieu Kasiama, Jean Kawata, Huguette Kilembi, Mbuku Kimpala, Athanas Kindendi, Anti Leba, Charles Leba, Philomène Lembusa, Richard Leta, Jérémie Mabiala, Plamedi Makongote, Blaise Mandefu, Daniel Manenga, Mira Meya, Emery Muhamba, Tantine Mukundu, Olele Mulela, Daniel Muvunzi, Alvers Tamasala e Ced’art Tamasala – è già riuscito con i proventi della propria arte a riacquistare 200 ettari di terreni precedentemente coltivati, che ora sta rigenerando e trasformando in agro-foreste.
Giulia Giaume
www.mondriaanfonds.nl/en/activities/venice-biennale
Articolo aggiornato il 12 febbraio 2024.
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