Marcel Duchamp a Venezia ci dice che la copia non è un limite 

Per la prima volta, la Collezione Peggy Guggenheim dedica una mostra a Marcel Duchamp, e lo fa in grande. Dipinti, fotografie, ready mades e “valigie” raccontano il rapporto fra originale e copia nell’opera dell’artista che ha rivoluzionato la storia dell’arte

La dicotomia fra originale e copia si situa fra le questioni più arcaiche dell’estetica (perché legate all’arché, al principio di tale disciplina). Ben nota e la posizione di Platone sul concetto di mimesis: gli oggetti sensibili non sono altro che ombre di idee originarie, situate nell’Iperuranio e accessibili solo attraverso la filosofia. Per non parlare della scarsa considerazione che il pensatore greco aveva dell’arte, in quanto copia di una copia, e dunque doppio inganno. Tante sono state le reinterpretazioni o le critiche alle teorie platoniche. Curiosamente, fra le più convincenti c’è proprio quella di un artista, nato oltre duemilatrecento anni dopo. Marcel Duchamp (Blainville-Crevon, 1887 – Neuilly-sur-Seine, 1968), fra i più dirompenti artisti del Novecento (nonché regista e abilissimo scacchista), compi una personale rivoluzione dei rapporti di valore tra copia e originale. Un’interessante mostra alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, curata Paul B. Franklin, esplora questa peculiare ossessione dell’artista francese, i cui riverberi nella storia della cultura fibrillano oggi più che mai nei meme e nel dibattito dell’autorialità dell’intelligenza artificiale. Alle opere già presenti nella Collezione Peggy Guggenheim si aggiungono importanti prestiti di istituzioni museali italiane e internazionali, ma anche un’ampia selezione della collezione di Attilio Codognato

Marcel Duchamp. La seduzione e la copia, installation view at Collezione Peggy Guggenheim, Venezia, 2023. Photo Matteo De Fina
Marcel Duchamp. La seduzione e la copia, installation view at Collezione Peggy Guggenheim, Venezia, 2023. Photo Matteo De Fina

Il potere seduttivo della copia nell’opera di Marcel Duchamp 

Quello della copia è un tema che, come suggerisce il titolo della mostra, ha un potere seduttivo su Duchamp: attraverso l’esasperazione della riproduzione, l’artista può affrancarsi da quel gravoso vincolo valoriale tra originale e copia. Nelle sale è facile imbattersi nelle medesime opere ripetute, ogni volta con la variazione di un dettaglio, spesso con taglio ironico. Fa sorridere, per esempio, la versione “rasata” della famosa L.H.O.O.Q., che risulta quindi essere una normale Monna Lisa: la copia della copia, perdendo i baffi, ritorna originale, senza esserlo davvero.  
In Duchamp, tutto e copia e originale allo stesso tempo. Una posizione a dir poco scomoda, soprattutto se comparata a quella fortunatissima di Walter Benjamin, che vedeva nella riproduzione una perdita dell’aura dell’opera. Sappiamo che il filosofo tedesco era a conoscenza delle avventure estetiche duchampiane, e pare avesse anche scritto un capitolo a riguardo destinato al suo L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, che però non fu inserito nella versione finale del testo. Al di là dell’evidente capacità della mostra di raccontare il rapporto tra originale e copia nell’opera del dadaista più celebre di sempre (riuscendo in alcuni brani ad essere essa stessa un esempio di tale rapporto), Marcel Duchamp e la seduzione della copia possiede anche un valore scientifico e documentario non indifferente, che emerge nella riproduzione di interviste e nella presentazione di preziosi documenti biografici dell’artista. 

Marcel Duchamp con l’esemplare non ancora completato di da o di Marcel Duchamp o Rrose Sélavy (Scatola in una valigia) 1935–41, in casa di Peggy Guggenheim, 440 East Fifty-first Street, New York, agosto 1942. La fotografia è in origine pubblicata in Time, 7 settembre 1942
Marcel Duchamp con l’esemplare non ancora completato di da o di Marcel Duchamp o Rrose Sélavy (Scatola in una valigia) 1935–41, in casa di Peggy Guggenheim, 440 East Fifty-first Street, New York, agosto 1942. La fotografia è in origine pubblicata in Time, 7 settembre 1942

La valigia di Duchamp in mostra a Venezia 

La dialettica originale-copia nell’opera di Marcel Duchamp trova il suo apice in una celebre serie dal titolo de ou par Marcel Duchamp ou Rrose Sélavy (Boîte-en-valise): valigie rivestite in pelle di vitello contenenti scatole organizzate in scomparti, al cui interno trovano spazio riproduzioni dei capolavori del maestro francese. Stampe di vario genere, fotografie e minuziosi modellini sono inseriti in un complesso marchingegno a incastro, perfettamente ordinato all’interno di una valigia con tanto di serratura. La Boite-en-valise è un’antologia, un museo portatile, se vogliamo uno pseudo-catalogo ragionato; ma soprattutto è un’opera d’arte essa stessa, nonché una chiave di lettura del rapporto tra Duchamp e Peggy Guggenheim: alla collezionista americana era destinata la prima versione della serie deluxe – comprensiva delle riproduzioni di 69 opere e di un pezzo originale – che conta ventidue esemplari. Per Peggy Guggenheim, Duchamp fu un caro amico, ma anche un prezioso mentore e consigliere: fu lui a introdurla all’arte moderna, ad aiutarla a formare una propria sensibilità a quelle avanguardie a cui poi Guggenheim dedico un’intera vita. La valigia in questione e dunque esposta nella mostra veneziana e ne costituisce il fulcro. Sbirciando nella teca che la custodisce, il visitatore può facilmente riconoscere la versione in miniatura di Fontaine, l’orinatoio più famoso della storia dell’arte e ready-made per eccellenza, ma anche la sua opera più criptica: La mariée mise à nu par ses célibataires, même (meglio nota come Il Grande Vetro), che tra gli altri significati nasconde il racconto di un amplesso non riuscito, facendosi carico di una componente autobiografica relativa al difficoltoso rapporto di Duchamp con il sesso, come soleva raccontare la collega Louise Bourgeois.  
Tutte le versioni della valigia contengono una riproduzione in collotipia colorata a pochoir di una delle sue tele più importanti per dimensione e complessità, intitolata Le Roi et la reine entourés de nus vites (Il re e la regina circondati da nudi veloci) e realizzata nel maggio 1912. La valise di Peggy Guggenheim si distingue non solo per la serratura firmata Louis Vuitton, ma per la presenza, come pezzo “originale”, del coloriage che ha fatto da prototipo per la riproduzione della collotipia. L’originale della copia (e copia a sua volta), o una copia originaria, tanto per complicare le cose. Si apprezza dunque ancora di più la scelta di esporre il dipinto in questione nella medesima sala della valigia: è qui che la mostra raggiunge il suo più alto gioco di rimandi, intrecciando biografia, estetica e rigorosi divertissement

Intervista al curatore Paul B. Franklin  

In che modo la mostra vuole raccontare un artista di cui tanto si e scritto e discusso come Duchamp? 
Si tratta della prima mostra museale focalizzata specificamente sull’ossessione di Duchamp per replicare e riprodurre il suo lavoro. Invece di un approccio cronologico, sono stati individuati temi particolari che esplorano le tante modalità individuate da Duchamp per duplicare il proprio lavoro senza semplicemente copiarlo. Questa mostra si differenzia dalla maggior parte di quelle dedicate all’artista perché dimostra che non era solo un artista concettuale, ma anche un abile e innovativo artigiano – termine da lui preferito – che non ha mai rinunciato alla manualità. 

Nonostante la rivoluzione di Duchamp nel concetto di copia, la ricerca dell’originalità assoluta (che potremmo dire non esista) rimane profondamente radicata nell’arte contemporanea. 
Duchamp non e responsabile della sua eredita. Non possiamo ritenerlo responsabile dell’importanza continuativa attribuita all’originalità assoluta (un concetto che sicuramente avrebbe respinto) nell’arte contemporanea. Come ha dichiarato nel 1961: “Non voglio distruggere l’arte per gli altri, ma solo per me stesso, questo è tutto”. Se noi, artisti e appassionati d’arte, continuiamo a valorizzare e persino a idolatrare l’originalità nell’arte, e un riflesso dei nostri pregiudizi e delle priorità culturali e commerciali personali. E forse anche delle nostre carenze intellettuali e creative. 

Questa mostra e stata resa possibile anche grazie a un notevole prestito di opere da parte di Attilio Codognato. Perché la sua collezione e così importante per lo studio di Duchamp? 
Fin dagli anni Settanta, Attilio Codognato ha costruito una collezione completa e coerente delle opere di Duchamp. Essa include sia opere uniche sia esempi di quelle prodotte in edizioni, realizzate dagli anni Dieci agli anni Sessanta. Quando vista nel suo complesso, la collezione di Attilio Codognato – che comprende stampe, disegni, collage, ready-made, fotografie, ecc. – incarna molte delle tematiche e delle idee chiave che hanno reso Duchamp uno degli artisti più radicali della sua generazione. In Marcel Duchamp e la seduzione della copia, la maggior parte della collezione di opere di Duchamp in possesso Attilio Codognato viene esposta pubblicamente insieme per la prima volta. 

Alberto Villa 

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Alberto Villa

Alberto Villa

Nato in provincia di Milano sul finire del 2000, si occupa di arte contemporanea scrivendo per magazine di settore e curando mostre. Si laurea in Economia e Management per l'Arte all'Università Bocconi con una tesi sulle produzioni in vetro di…

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