Cuba nella mostra di Maria Magdalena Campos-Pons al Brooklyn Museum

C’è tutta Cuba e la storia delle sue donne nella mostra dell’artista che riflette sulla decolonizzazione attraverso il proprio albero genealogico. E l’elemento unificatore è il mare

A pochi metri dalla generosa personale di Maria Magdalena Campos-Pons domina, sontuoso, The Dinner’s Party di Judy Chicago, imbandito con i 39 piatti vulvari dedicati ad altrettante rimarchevoli donne. Campos-Pons, nata a Matanzas (Cuba, 1959) e residente a Nashville nel Tennessee, ha lavorato per oltre quarant’anni con fotografie, installazioni, dipinti e performance tracciando una storia decolonizzata molto prima che il termine divenisse un’urgenza interpretativa. Volti di donne creole, sottratte alla sua personale genealogia, confinati in amuleti o altri monili apotropaici, raccontano di sottomissioni, migrazioni, lavori forzati, schiavitù e maternità di un popolo e della sua cultura, dal viaggio oceanico dall’Africa, durante la tratta degli schiavi nel XVIII secolo, a Cuba, nelle piantagioni di zucchero, e infine negli Stati Uniti. 

Installation view, María Magdalena Campos-Pons, Behold. Brooklyn Museum. Photo Paula Abreu Pita
Installation view, María Magdalena Campos-Pons, Behold. Brooklyn Museum. Photo Paula Abreu Pita

La mostra di Maria Magdalena Campos-Pons a New York

La mostra raccoglie un’ampia selezione di opere che compone una storia celebrativa, una documentazione identitaria, tra le radici africane, la patria cubana e il suo domicilio americano, superando la contingenza autobiografica per intercettare contesti di rilevanza interculturale e intergenerazionale, dove legami familiari, razza e genere si esprimono attraverso simbologie stratificate. Dipinti, video, disegni, installazioni edificano un’affascinante cosmogonia meticcia, con riferimenti alle culture matriarcali, alla religione yoruba, in narrazioni esplicite ma anche attraverso ciò che non è stato ancora detto sul trauma degli schiavi e sul loro esilio. Polaroid apparecchiate come pale d’altare, ritratti dell’artista e della madre in ieratiche posture, divinità di nuovo conio spezzate in più sequenze e assemblate in una ritrovata unità visiva. Le donne trattengono fili di perle, tanti quante le divinità yoruba, azzurre o bianche come le iniziate alla Santería, unite e connesse ad altre traiettorie, centrifughe e volte alle storie dell’esilio, oltre i confini di oceani e di corpi feriti.

Cuba nella mostra di Campons-Pons a New York

Il mare è un elemento di raccordo tra le prime produzioni e i lavori recenti, luogo di rigenerazione, archivio di memorie per il passato ma anche opportunità per riferire le migrazioni di oggi; il mare fotografato, elaborato o semplicemente evocato dall’indaco, un colore legato anch’esso alla tratta degli schiavi che coltivavano, insieme alla canna da zucchero, la pianta da cui si estrae. Indaco e rosse sono le griglie lasche che schermano i volti femminili in una congiunzione placentare con altri mondi più sotterranei e arcaici. Attinenze che in molti lavori si decantano in grafie, macchie, sagome, segni, figurazioni semplificate in fisionomie infantili, astrazioni d’inchiostri diluiti per rendere superfici equoree o che si rapprendono nelle trasparenti levità di vasi di vetro, quale memoria dei macchinari degli zuccherifici e delle distillerie di rum, ancora una volta intessute con la storia schiavista di Cuba.

Marilena di Tursi

New York // fino al 14 gennaio 2024
Maria Magdalena Campos-Pons: Behold
BROOKLYN MUSEUM
A cura dell’Elizabeth A. Sackler Center for Feminist Art and Overlook
200 Eastern Parkway, Brooklyn
www.brooklynmuseum.org

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Marilena Di Tursi

Marilena Di Tursi

Marilena Di Tursi, giornalista e critico d'arte del Corriere del Mezzogiorno / Corriere della Sera. Collabora con la rivista Segno arte contemporanea. All'interno del sistema dell'arte contemporanea locale e nazionale ha contribuito alla realizzazione di numerosi eventi espositivi, concentrandosi soprattutto…

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