Arriva la Biennale di Venezia del 2024. Lista dei Padiglioni che hanno già svelato gli artisti
Australia, Giappone, Irlanda, Nigeria, Stati Uniti: ecco chi è stato scelto per rappresentare le visioni dei diversi Paesi che esporranno alla Biennale d’Arte di Venezia a partire da aprile
Visioni femministe, ecologiche, decoloniali, positive, ciniche o ironiche, ma tutte in linea con la proposta tematica del curatore Adriano Pedrosa Stranieri ovunque. Stanno iniziando a emergere le visioni dei diversi Paesi alla Biennale Arte di Venezia 2024, in apertura il 20 aprile, e con loro girano le informazioni su quali artiste e artisti saranno presenti, e con che curatori. Ecco le proposte più interessanti che troveremo a Venezia. Da tenere d’occhio, e perché no, segnarsi per aprile.
Padiglione Albania alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Arabia Saudita alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Australia alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Austria alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Azerbaigian alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Benin alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Brasile alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Camerun alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Canada alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Cile alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Corea del Sud alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Croazia alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Danimarca alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Estonia alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Etiopia alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Filippine alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Finlandia alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Francia alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Georgia alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Giappone alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Gran Bretagna alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Irlanda alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Islanda alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Hong Kong alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Lettonia alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Libano alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Lituania alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Malta alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Montenegro alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Nigeria alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Paesi Bassi alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Portogallo alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Romania alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione San Marino alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Serbia alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Singapore alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Slovacchia alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Spagna alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Stati Uniti alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Svizzera alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Taiwan alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Tanzania alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Turchia alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Ungheria alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Vaticano alla Biennale di Venezia 2024
Nel suo progetto per il Padiglione dell’Albania, Iva Lulashi (Tirana, 1988) evoca la “teoria del bicchiere d’acqua”, risalente al periodo pre-rivoluzionario russo e legata alla pensatrice femminista Alexandra Kollontai (1872 – 1952): la teoria, che ebbe una grande influenza negli ambienti artistici del tempo ma fu presto osteggiata dall’apparato politico rivoluzionario, è basata sull’idea di una rivoluzione sessuale, in cui gli impulsi sono percepiti come una semplice necessità da colmare, con la stessa attitudine con cui si beve un bicchiere d’acqua. Curata da Antonio Grulli, la personale esplora come l’acqua sia la condizione fondamentale della vita, proprio come l’amore, e che amore, sesso e desiderio siano l’unica grande realtà eternamente rivoluzionaria, su cui il potere politico, economico o ideologico non può imporre il proprio controllo.
Jessica Cerasi, Maya El Khalil e Shadin AlBulaihed cureranno il Padiglione Nazionale dell’Arabia Saudita alla prossima Biennale, lavorando con Manal AlDowayan, tra le artiste contemporanee più significative del panorama mediorientale. Con la propria opera, AlDowayan interroga le tradizioni locali e la memoria collettiva intrecciandole con la rappresentazione delle donne, tra pratica partecipativa, fotografia, suono e scultura. Fungendo così anche da “testimone critica delle metamorfosi culturali e sociali che stanno investendo il suo Paese”. “Siamo entusiasti di collaborare con Manal AlDowayan per presentare le storie dell’Arabia Saudita a un pubblico globale. Nel corso della sua carriera, AlDowayan ha riunito le comunità in opere partecipative e collaborative che elevano e documentano le loro voci. La sua profonda connessione e la sua esplorazione dei cambiamenti in atto in Arabia Saudita le fanno guadagnare un immenso rispetto sia a livello locale che globale”, hanno commentato i curatori.
L’artista indigeno Archie Moore, appartenente alla First Nation e residente nel Queensland, è stato scelto per rappresentare l’Australia alla prossima Biennale di Venezia con la curatela di Ellie Buttrose. Nato nel 1970, (subito dopo il referendum che conferiva diritti di cittadinanza costituzionale alle popolazioni indigene australiane), Moore è famoso per le sue installazioni su larga scala che rivelano le tensioni tra le storie personali e ufficiali del passato coloniale australiano, tra questioni identitarie, dialogo interculturale e razzismo. La sua personale alla Biennale, intitolata kith and kin, sarà un’esplorazione potente e toccante della sua eredità Kamilaroi, Bigambul, britannica e scozzese.
L’Austria ha scelto l’artista viennese Anna Jermolaewa per il suo padiglione. Nata in Unione Sovietica nel 1970, Jermolaewa è stata accusata di agitazione sovversiva ed è fuggita in Austria nel 1989. La sua opera multimediale, che si sviluppa tra fotografia, video e installazione, sonda le strutture sociali e politiche del quotidiano. Con la curatela dalla storica dell’arte Gabriele Spindler, Jermolaewa presenterà alla Biennale 2024 nuovi lavori che riflettono su diverse espressioni di resistenza non violenta.
La Repubblica dell’Azerbaigian presenta la mostra From Caspian To Pink Planet: I Am Here, realizzata dalla Fondazione Heydar Aliyev e curata da Luca Beatrice e Amina Melikova. Il padiglione presenta – ispirandosi al tema Stranieri ovunque – le interpretazioni dei tre artisti selezionati dal commissario Rashad Aslanov: Vusala Agharaziyeva (Baku, 1990), Rashad Alakbarov (Baku, 1979) e Irina Eldarova (Mosca, 1955). “I tre artisti presentati appartengono a generazioni diverse e utilizzano mezzi espressivi e tecniche differenti“, spiega Melikova. “Tuttavia, le opere selezionate toccano, in un modo o nell’altro, situazioni che intrecciano realtà e fantasia, in cui gli individui superano l’alienazione e raggiungono un senso di appartenenza all’interno dello spazio”. Inserendosi nel solco tracciato dai curatori, gli artisti selezionati per l’occasione hanno ideato e realizzato una selezione di opere concepite per invitare il pubblico ad addentrarsi in una delle tematiche culturali e sociali più urgenti del nostro tempo.
Quella del 2024 sarà la prima Biennale della Repubblica del Benin. La mostra collettiva sarà curata dal curatore nigeriano Azu Nwagbogu, fondatore della Lago’s African Artists’ Foundation e direttore del LagosPhoto Festival dal 2010, noto per la sua difesa dell’arte e della fotografia africana contemporanea. Intitolata Everything Precious Is Fragile, la mostra esplorerà la ricca storia del Benin, toccando temi come la tratta degli schiavi, la spiritualità Vodun e la filosofia Gèlèdé, fino al “rimatrimonio”, un’interpretazione femminista della restituzione che chiede non solo il ritorno degli oggetti ma anche la filosofia e gli ideali beninesi pre-coloniali. Quattro gli artisti ospiti: Ishola Akpo, Moufouli Bello, Romuald Hazoumè e Chloé Quenum. Anche Yassine Lassissi, della Galerie Nationale du Bénin, e l’architetto Franck Houndégla faranno parte del team curatoriale.
Sarà l’artista Glicéria Tupinambá a rappresentare il Brasile alla 60. Biennale Arte di Venezia, al titolo di Ka’a Pûera: nós somos pássaros que andam/ Ka’a Pûera: siamo uccelli che camminano. Il Padiglione sarà curato da tre professionisti indigeni, Arissana Pataxó, Denilson Baniwa e Gustavo Caboco Wapichana, e ribattezzato “Hãhãwpuá“, uno dei nomi nativi del Brasile prima della colonizzazione europea.
Per secoli, il popolo dei Tupinambá è stato criminalizzato all’interno del suo territorio d’origine nel sud dello stato di Bahia, i suoi capi perseguitati e uccisi, e i beni culturali e naturali espropriati. Considerati estinti fino al 2001, i Tupinambá si sono visti finalmente riconoscere dal governo brasiliano non solo la propria esistenza, ma anche il diritto di rivendicare un territorio e una cultura, oggi al cuore del nuovo Padiglione: “Nell’antico Tupi, la lingua dei Tupinambá, Ka’a Puera indica le antiche foreste tagliate per creare i campi. Dopo la raccolta, questo spazio veniva lasciato al riposo, lasciando emergere una nuova vegetazione” dove trovare “una grande varietà di piante medicinali. Questo terreno in ripresa sarebbe potuto tornare a sostenere la comunità o una nuova foresta. Dove apparentemente non c’è vita, lì è la possibilità di rinascita”, spiegano i curatori.
Dopo l’esordio del 2022, la Repubblica del Camerun torna alla Biennale di Venezia con la collettiva Nemo propheta in patria, che vede esporre al Palazzo Donà dalle Rose cinque artisti camerunesi e otto artisti da Italia, Germania, Olanda, Francia, Colombia e Cina. Gli artisti di casa sono Jean Michel Dissake, Hako Hankson, Kendji & Ollo Arts, Patrick-Joël Tatcheda Yonkeu, Guy Wouete, mentre la compagine internazionale include Angelo Accardi, Julia Bornefeld, Cesare Catania, Adélaïde Laurent-Bellue, Franco Mazzucchelli, Rex and Edna Volcan, Giorgio Tentolini e Liu Youju.
Il Padiglione della Repubblica del Camerun sarà il primo a realizzare un’esposizione Carbon Net Zero, con due azioni complementari: si applicheranno delle politiche di riduzione delle emissioni e di riutilizzo dei materiali e, alla fine dell’esposizione, misurando ogni aspetto relativo alla mostra e utilizzando gli standard GHG, si calcoleranno le emissioni di CO2 comunque emesse e si compenseranno con piantumazione certificata facendo nascere una nuova foresta in patria.
A rappresentare il Canada sarà Kapwani Kiwanga. Ricercatrice di Antropologia, Kiwanga mescola estese ricerche d’archivio a performance, video, suoni, foto, sculture e installazioni per disvelare l’asimmetricità del potere e le sue ripercussioni interne, così come la diaspora africana e le tematiche di genere. L’artista nativa di Hamilton e nata nel 1978, scelta dalla National Gallery of Canada, è “interessata al ruolo dell’arte come catalizzatore per rivelare e affrontare narrazioni socio-politiche alternative e spesso messe a tacere ed emarginate che fanno parte delle nostre storie condivise”, ha commentato il curatore del Padiglione Canadese Gaëtane Verna.
Il Cile sarà rappresentato dall’artista Valeria Montti Colque, che porta il progetto espositivo Cosmonación. Il termine, coniato dall’antropologo Michel S. Laguerre, indica la teoria secondo cui le comunità diasporiche non interrompono mai davvero i rapporti con i propri luoghi di origine ma vi rimangono attaccate: quello dell’artista è un invito a riflettere sui concetti di nazionalità, esilio, migrazione e diaspora, nel mezzo di un teso dibattito contemporaneo. “L’arte plastica e concettuale di Valeria Montti Colque evoca uno spazio sia rituale che politico, capace di connettere l’immensità di una foresta o di una montagna alla forza di una comunità straniera nel mezzo di una città”, ha commentato la curatrice Andrea Pacheco González.
Il Padiglione della Corea del Sud sarà rappresentato da Koo Jeong-a. Nota per i suoi ambienti coinvolgenti, eccentrici e multisensoriali, l’artista nata nel 1967 porterà a Venezia Odorama City, che evocherà “ricordi nazionali” attraverso elementi invisibili come profumi, temperature e suoni. Il progetto sarà affidato alla curatela condivisa di Jacob Fabricius, direttore dell’Art Hub Copenhagen e già direttore alla Biennale di Busan, e Seolhui Lee, curatrice della Kunsthal Aarhus in Danimarca, cureranno congiuntamente la mostra.
L’artista Vlatka Horvat rappresenterà la Croazia con un progetto intitolato By the Means at Hand. Si tratta di un riferimento al quel modo improvvisato di trasportare oggetti, pacchi, lettere, denaro attraverso amici e familiari. Curato dalla storica dell’arte Antonia Majača, il Padiglione Croato esporrà quindi il lavoro di artisti “stranieri” consegnati a Venezia con mezzi improvvisati.
Il Padiglione Danese porterà ai Giardini la mostra fotografica Rise of the Sunken Sun dell’artista groenlandese Inuuteq Storch (Sisimiut, 1989). L’esposizione, curata da Louise Wolthers e commissionata dalla Dutch Arts Foundation, segna una (troppo attesa) prima volta per il Padiglione Danese, presentando l’opera di una persona nativa, nonché la prima presentazione dedicata alla fotografia. Rise of the Sunken Sun analizza il concetto di decolonialismo con la lente della consapevolezza delle complessità delle identità nazionali, culturali e personali. L’idea è quella di correggere e ampliare la visione comune del Paese: per farlo, l’artista risemantizza un’ampia selezione di opere fotografiche (in una composizione site-specific) giustapponendo fotografie storiche e familiari con istantanee attuali di vita quotidiana.
L’Estonia ha nominato Edith Karlson per rappresentare il Paese. L’artista, classe 1983, è diventata famosa per le proprie sculture di cani, orsi, leoni, uccelli e altri animali, che appaiono allegoricamente o simbolicamente. Karlson generalmente presenta il proprio lavoro come un’installazione, coinvolgendo l’intero spazio espositivo. Scelta dal Centro Estone per l’Arte Contemporanea e dalla direttrice Maria Arusoo, l’artista con base a Tallinn non ha ancora selezionato un titolo per la mostra, a cui manca ancora una curatrice e/o un curatore, anche se stando alle anticipazioni il Padiglione sarà partecipativo e si baserà sulla sua mostra del 2021 al Museo d’Arte Contemporanea dell’Estonia in cui ha trasformato tre piani di un ambiente in un luogo dove sperimentare una “forma alternativa di esistenza”.
A inaugurare la prima partecipazione dell’Etiopia alla 60. Biennale Arte di Venezia è il rinomato artista contemporaneo Tesfaye Urgessa, di cui sarà presentata la personale Prejudice and Belonging a cura del pluripremiato autore e conduttore televisivo Lemn Sissay, primo Cancelliere del patrimonio etiope nel Regno Unito. La selezione di opere in mostra racchiude l’esperienza dei 13 anni trascorsi in Germania dall’artista in un’ottica di migrazione e, in pieno allineamento con il tema Stranieri Ovunque, si colloca in una più ampia riflessione sulle complessità identitarie e culturali che scaturiscono dall’emigrazione.
Le Filippine saranno rappresentate dall’artista classe 1980 Mark Salvatus, le cui opere puntano a reinterpretare la politica urbana quotidiana e le narrazioni della storia nazionale con il coinvolgimento del pubblico (pratica che lui chiama Salvage Projects). Con il titolo Kabilang-tabing ng panahong ito (Dietro il sipario di quest’epoca) – dal discorso del leader religioso filippino Hermano Pule, che guidò il movimento di resistenza contro la chiesa cattolica spagnola durante il dominio spagnolo – la mostra curata da Carlos Quijon Jr. sarà incentrata sull’etno-ecologia del Monte Banahaw, al confine della città natale dell’artista a Lucban, esplorando i temi del misticismo, del passato e della modernità.
La Finlandia ha selezionato le artiste Pia Lindman, Vidha Saumya e Jenni-Juulia Wallinheimo-Heimonen per esporre all’interno del suo Padiglione, commissionato e prodotto da Frame Contemporary Art Finland. I curatori Yvonne Billimore e Jussi Koitela hanno anticipato una “collaborazione poliedrica che reinventa il padiglione così come il tipo di arte, corpi ed esperienze che il padiglione può supportare”.
La Francia ha nominato lo scultore Julien Creuzet per il suo Padiglione Nazionale a Venezia. L’artista, nato nel 1986 a Le Blanc Mesnil, esplora spesso la propria identità franco-caraibica con l’utilizzo di materiali industriali, corde e plastica. “Il suo lavoro singolare e il suo dono per la letteratura orale si nutrono di creolizzazione riunendo una diversità di materiali, storie, forme e gesti. Le questioni sollevate dalle sue opere troveranno, al Padiglione francese a Venezia, una risonanza particolarmente importante con quelle del nostro tempo”, hanno dichiarato in un comunicato gli organizzatori del Padiglione, che hanno aggiunto: “Julien Creuzet è stato scelto anche per gli orizzonti che disegna, andando oltre l’opposizione tra identità e universalità, dimostrando che nel piegarsi dell’arte, gli echi poetici e artistici tracciano sempre risposte tanto belle, gioiose e rigeneranti quanto inaspettate”. L’artista ha nominato la coppia di curatrici che lo accompagnerà nel 2024: sono Céline Kopp, nuova direttrice del centro d’arte di Grenoble Le Magasin, e Cindy Sissokho, curatrice della Wellcome Collection a Londra.
Il Padiglione della Georgia porta in Biennale il progetto collaborativo The Art of Seeing—States of Astronomy realizzato congiuntamente da artisti georgiani e francesi. Al centro, l’opera del 1964 65 Maximiliana or the Illegal Practice of Astronomy, libro dell’artista, poeta ed editore georgiano Ilia Zdanevich (1894-1975) e Max Ernst (1891- 1976), insieme ai relativi archivi. Il libro è dedicato all’astronomo non convenzionale e litografo tedesco (ma marsigliese d’adozione) Wilhelm Tempel, che proprio a Venezia osservò le comete dalla famosa scala a chiocciola di Palazzo Contarini del Bovolo.
È stata scelta l’artista Yuko Mohri per rappresentare il Giappone a Venezia. Nata nel 1980 a Kanagawa, Mohri si concentra nelle proprie opere sulle varie forme di interconnessione, creando flussi di acqua ed elettricità dentro installazioni di grandi dimensioni. Le sue opere sono apparse di recente alla 14a Biennale di Gwangju. La sua mostra – che sarà curata da Sook-Kyung Lee, curatore senior di arte internazionale alla Tate Modern – recherà dei riferimenti alla pandemia, alle inondazioni di Venezia del 2019 e alle proteste climatiche, seguendo la falsa dicotomia, “che cosa ha più valore, l’arte o la vita?“. L’opera assumerà la forma di frutta in decomposizione attaccata a elettrodi che generano luce e suono.
Il Padiglione Britannico alla 60. Biennale Arte di Venezia – che sarà supportato dal marchio globale di fiere d’arte e riviste Frieze, in collaborazione con il British Council – ospiterà il progetto del regista anglo-ghanese John Akomfrah. Celebre in Inghilterra, dove vive e lavora, Akomfrah è membro fondatore dell’influente Black Audio Film Collective (creato a Londra nel 1982 insieme agli artisti David Lawson e Lina Gopaul), ed è stato insignito di premi come l’Artes Mundi nel 2017 e il titolo di Cavaliere per i servizi alle arti nel 2023 New Year Honours.
Sarà l’artista deviante Eimear Walshe a rappresentare il Padiglione dell’Irlanda alla Biennale Arte 2024, con la curatela affidata a Sara Greavu e al Project Arts Centre. Walshe, selezionatə con un bando aperto da Culture Ireland in collaborazione con l’Arts Council irlandese, pone al centro della propria pratica artistica lo studio della teoria queer e dell’epistemologia femminista, mettendo queste riflessioni al servizio di una folta produzione di sculture, pubblicazioni, performance e conferenze. L’artista, del 1992, porterà a Venezia un’installazione video multicanale che riprende un gruppo di artisti guidati dal coreografo Mufutau Yusuf; un’opera scritta insieme alla compositrice Amanda Feery; e una scultura immersiva che andrà a evocare uno spazio domestico. Questo spazio, realizzato a margine della grave crisi abitativa in corso in Irlanda, vuole diventare un “cantiere di possibilità”, che sia cioè allo stesso tempo uno spazio dove risolvere gli antagonismi generazionali e di classe dell’Irlanda e uno spazio di cura, che mostri tuttavia i resti della distruzione e della morte causati dalle ondate di sfratti. “Lo straordinario lavoro di Eimear Walshe parla di e da una generazione precaria, e propone nuovi modi per rivendicare un senso di parentela, luogo e amore”, spiega la curatrice Sara Greavu. “Offrono una nuova sintesi culturale che collega il nostro momento contemporaneo al passato, in particolare le eredità di genere e sessuali legate alla attivismo abitativo in Irlanda, compresi i compromessi fatti alla fine degli anni ottanta dell’Ottocento e l’arte di governare dell’inizio del XX secolo”.
Per il Padiglione islandese, Hildigunnur Birgisdottir porta That’s a Very Large Number – A Com-Merz-Bau. L’artista, con la curatela dell’americano Dan Byers, esplora qui i sistemi di produzione e distribuzione globale presentando nuove installazioni e opere scultoree realizzate con fabbricazioni commerciali e scarti del commercio, che giocosamente sovvertono le aspettative di bellezza, valore e utilità. Il Padiglione, in stile “white cube”, sarà dipinto del bianco delle vecchie prese di plastica, con sculture che lampeggiano e oggetti banali trasformati in giocattoli di plastica, esplorando la materialità della vita quotidiana e la nostra cultura del consumo. “I prodotti sfortunati del consumismo sono il mio materiale e i sistemi umani sono i miei strumenti“, ha commentato Birgisdottir.
L’artista Trevor Yeung rappresenterà Hong Kong a Venezia. La selezione è stata fatta da M+ – la cui curatrice Olivia Chow seguirà il progetto, e dall’Hong Kong Arts Development Council . Appassionato di ecologia botanica e orticoltura, Yeung utilizza nelle proprie installazioni piante e oggetti naturali per riflettere sull’artificialità, e sulle risposte emotive e comportamentali. “Mentre il mondo si adatta alla riapertura dei confini e a nuove modalità di interazione dopo la pandemia, è particolarmente significativo per me presentare un nuovo lavoro influenzato dalle culture incrociate e dalle mie immediate vicinanze, per portare la mia visione all’estero e connettermi con la comunità artistica internazionale”, ha commentato l’artista.
Sarà Amanda Ziemele a rappresentare la Lettonia alla 60. Esposizione Internazionale d’Arte con il progetto O day and night, but this is wondrous strange… and therefore as a stranger give it welcome (O giorno e notte, ma questo è meravigliosamente strano… e perciò come straniero/a dagli il benvenuto). Curato da Adam Budak, direttore della Kestner Gesellschaft di Hannover, e commissionato da Daiga Rudzāte, a capo dell’INDIE Culture Project Agency, il progetto per il padiglione lettone gemma dal racconto del maestro e teologo inglese Edwin A. Abbott Flatland: A Romance of Many Dimensions (1884), che a metà tra una lezione di pseudo-geometria e una satira sociale della società vittoriana è un inno alla conoscenza umana e all’immaginazione.
L’artista libanese Mounira Al Solh rappresenterà il Padiglione del Libano alla Biennale di Venezia. Anche a causa del trasferimento forzato da Beirut durante le guerre civili libanesi, le sue opere spesso affrontano questioni di spostamenti forzati, insieme a temi riguardanti la condizione femminile. L’artista, nata nel 1978, si muove liberamente tra pittura, performance, tessuti, video e installazioni e nel suo recente lavoro A day is long as a year (2022) ha collaborato con 31 donne da Afghanistan, Iran, Libano, Turchia, Paesi Bassi e Sud Africa per creare una tenda iraniana dell’era Qajar dentro cui erano appese rappresentazioni ed evocazioni dell’esperienza migratoria delle donne. La sua mostra a Venezia sarà curata da Nada Ghandour.
Sarà il duo artistico Pakui Hardware – composto dall’artista e scrittrice Neringa Cerniauskaite e dell’artista Ugnius Gelguda e fondato nel 2014 – a rappresentare la Lituania a Venezia. Con la curatela di Valentinas Klimašauskas e João Lai e la gestione del Museo Nazionale d’Arte Lituano (con commissario Arūnas Gelūnas), i due creeranno un’installazione cinetica e coinvolgente con opere della pittrice modernista lituana Marija Teresė Rožanskaitė, in un percorso che promette di parlare delle “infiammazioni” dei “corpi umani e planetari”.
L’artista maltese Matthew Attard (nato nel 1987) rappresenterà Malta: è la prima volta che il padiglione nazionale sarà affidato ad un artista maltese solista. La mostra, intitolata I WILL FOLLOW THE SHIP, consiste in un’opera che intreccia patrimonio culturale e tecnologia digitale ed è curata dalla curatrice principale Elyse Tonna e dalla co-curatrice Sara Dolfi Agostini. Realizzato dal team più giovane che abbia mai rappresentato Malta all’Esposizione Internazionale, I WILL FOLLOW THE SHIP incorpora disegno contemporaneo, riferimenti storici e tecnologia digitale, originati dalle ultime esplorazioni di Attard sull’Intelligenza Artificiale.
Sarà l’artista Darja Bajagić a rappresentare il Montenegro con il progetto Takes an Island to Feel This Good, a cura di Ana Simona Zelenović. Ad annunciare la decisione è stato il curatore italiano Daniele Capra, membro della giuria internazionale del Museo d’arte contemporanea del Montenegro, il cui direttore Vladislav Scepanovic è anche commissario del Padiglione del Paese (che potrebbe essere in una nuova location all’Arsenale). Nata nel 1990 a Podgorica ma cresciuta negli Stati Uniti, Bajagić affronta con questa mostra la dura eredità dell’isola di Mamula, il cui storico campo di prigionia è stato recentemente trasformato in un hotel di lusso, in una ricerca che unisce passato e presente, esaminando la memoria collettiva attraverso arte pittorica e fotografia.
La Nigeria sarà rappresentata da otto artisti: Yinka Shonibare, Tunji Adeniyi-Jones, Ndidi Dike, Onyeka Igwe, Toyin Ojih Odutola, Abraham Oghobase, Precious Okoyomon e Fatimah Tuggar. Il secondo Padiglione mai presentato dalla nazione alla Biennale di Venezia sarà curato da Aindrea Emelife, già curatrice di arte moderna e contemporanea al Museum of West African Art di Benin City. Con il titolo Nigeria Imaginary, la mostra “esplorerà diverse prospettive e idee costruite, ricordi e nostalgia per la Nigeria, con una portata intergenerazionale e intergeografica”.
A rappresentare i Paesi Bassi alla 60. Biennale Arte di Venezia sarà il collettivo congolese Cercle d’Art des Travailleurs de Plantation Congolaise (CATPC), in collaborazione con l’artista olandese Renzo Martens e il curatore Hicham Khalidi (direttore della Jan Van Eyck Academie di Maastricht). Il collettivo originario di Lusanga – sito della prima piantagione della società anglo-olandese Unilever nella Repubblica Democratica del Congo – presenterà una serie di nuove opere che mettono al centro una resa dei conti spirituale, etica ed economica nell’ambito della liberazione della loro terra d’origine e dell’impegno alla rigenerazione dell’area per riportarla a ospitare le foreste sacre originarie.
A rappresentare il Portogallo sarà il progetto collettivo Greenhouse delle artiste e curatrici Mónica de Miranda, Sónia Vaz Borges e Vânia Gala. Le artiste creeranno un “giardino creolo” a Palazzo Franchetti, facendo riferimento a quei terreni privati curati da persone schiavizzate come atti di resistenza e sopravvivenza – un’antitesi della piantagione monoculturale – densamente piantumati e ricchi di biodiversità. Il progetto, che prevede la piantumazione di specie botaniche africane, proporrà quindi uno spazio di liberazione, possibilità e molteplicità, mettendo in atto una filosofia di solidarietà interdisciplinare tra ecologia, decolonizzazione, diaspora e migrazione.
Il Padiglione della Romania ospiterà una mostra dell’artista rumeno Șerban Savu incentrata sulla storia e sul rapporto tra lavoro e tempo libero. Curata da Ciprian Mureșan, la personale si terrà tra i Giardini della Biennale e La Nuova Galleria dell’Istituto Rumeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia. La mostra, intitolata What Work Is, intreccia l’iconografia del lavoro e del tempo libero traendo ispirazione dal realismo storico e dall’arte di propaganda del blocco sovietico europeo: Savu riorganizza i temi dello spirito rivoluzionario e della coesione tra i lavoratori, per catturare momenti di pausa e inattività come riflesso di crisi sociali più ampie e per riflettere sulla disconnessione tra lavoro e appartenenza.
Sarà Eddie Martinez a rappresentare la Repubblica di San Marino alla 60. Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia. Curato da Alison M. Gingeras, il progetto Nomader presenterà un nuovo corpus di opere dell’artista americano pensate appositamente per La Fucina del Futuro (in Calle San Lorenzo 5063B, Castello), già sede del Padiglione alla Biennale Architettura 2023. “Così come il tema curatoriale della Biennale abbraccia la nozione di “Homo Migrans” – la supposizione che essere umani significhi migrare, spostarsi fisicamente, cambiare mentalmente e attraversare culture e identità – così fa l’universo visivo dell’opera di Martinez“, ha commentato Gingeras. “L’artista ha permesso al suo lavoro di migrare formalmente e concettualmente dall’eredità del disegno automatico e dell’astrazione praticata dal gruppo CoBrA alla sua peculiare interpretazione della figurazione fumettistica post-Philip Guston, nonché alla sua insolita rivisitazione di vari generi classici dell’arte come le nature morte e la ritrattistica”.
Sarà l’artista Aleksandar Denić a rappresentare la Serbia alla Biennale con la sua Exposition Coloniale, dentro il vecchio padiglione della Jugoslavia. Il progetto espositivo, curato da Ksenija Samardžija, commenta il concetto dell’identità nazionale proprio in relazione al territorio geopoliticamente dissolto a seguito dei conflitti che hanno devastato la regione balcanica all’inizio degli anni Novanta. L’architettura, che si fa qui “sequenza emotiva” e fonte di “disagio riflessivo”, trasforma il Padiglione Nazionale in un monumento vivente del Paese frammentato e della sua identità perduta.
Al Padiglione di Singapore troveremo poi la mostra Seeing Forest concepita dall’artista interdisciplinare del 1983 Robert Zhao Renhui, con la curatela di Haeju Kim (1980, Corea del Sud). L’esposizione propone un’esplorazione evocativa delle “foreste secondarie”, cioè ricresciute da terreni deforestati dall’uomo per farne piantagioni e terreno da allevamento e per l’edilizia. Spesso messe in pericolo dalle specie animali e vegetali invasive introdotte a Singapore nel diciannovesimo secolo, questi “spazi di transizione” tra le foreste e le aree altamente urbanizzate offrono spunti per creare nuovi modelli di coesistenza tra umani e non umani, oltre che occasioni di studio della colonizzazione e delle migrazioni. Attraverso un assemblaggio di opere video e installazioni scultoree, la mostra esplora le storie meno conosciute di intersezione, analizzando dei momenti di apparente dipendenza tra la società umana e la natura, offrendo al contempo un omaggio alle foreste libere che esistono già lungo i margini delle vite urbane. “Ogni foresta è liminale, anche quella che cresce nel centro della città. Trascurato e smaltibile nella pianificazione urbana, rimane un universo a sé stante”, dicono dal Padiglione, organizzato dal Singapore Art Museum (SAM) su spinta del National Arts Council della città-stato asiatica.
Sarà il progetto site specific Floating Arboretum dell’artista Oto Hudec a rappresentare la Slovacchia alla Biennale, e per la sua particolare struttura fisica e concettuale sarà presentato all’esterno del Padiglione Ceco e Slovacco. Curato da Lýdia Pribišová, Floating Arboretum rappresenta una collezione di narrazioni che raccontano lo sforzo collettivo delle comunità di attivisti per impedire la deforestazione e il disboscamento: lo stesso artista è un attivista ambientalista. Il tema della salvaguardia dell’ambiente – che si fonde con il concetto (ricorrente nell’opera di Hudec) di escapismo, coniugato in un pensiero utopico e futuristico – è rivolto in questo caso anche agli alberi dei Giardini della Biennale, minacciati di estinzione dai cambiamenti climatici e dall’innalzamento del livello del mare. All’esterno del padiglione, l’artista realizza così un arboreto, un simbolico asilo per gli alberi minacciati dall’espansione umana e dall’estrattivismo, di cui altera la fondamentale componente coloniale ripresentandolo in un contesto di salvezza.
Sarà Sandra Gamarra Heshiki, con la curatela di Agustin Pérez Rubio, a rappresentare il Padiglione Spagnolo. Nata a Lima nel 1972 e di etnia peruviana-giapponese, Gamarra Heshiki sarà la prima artista nata all’estero a rappresentare il Paese europeo. Con una pittura prevalentemente figurativa che sfida i concetti di appropriazione e consumismo, l’artista – che ha già partecipato alla 53a Biennale di Venezia, alla 29a Biennale di San Paolo e all’11a Biennale di Berlino, porterà a Venezia una Pinacoteca Migrante.
L’artista Jeffrey Gibson rappresenterà gli Stati Uniti a Venezia: si tratta del primo artista indigeno a rappresentarli nei 129 anni di storia della Biennale. Il 51enne Gibson, di discendenza Cherokee e membro della Mississippi Band of Choctaw Indians, utilizza la pittura, l’artigianato e il collage come mezzi per scomporre la cultura nativa contemporanea, tenendo un occhio critico sulla contemporaneità e puntando a creare connessioni tra le persone con la propria opera. Anche la co-curatrice della mostra Kathleen Ash-Milby – che lavorerà a fianco della curatrice indipendente Abigail Winograd – è nativa (della Nazione Navajo), e cura la sezione di Arte Nativa Americana al Portland Art Museum. “Nel 1932, una delle sale era dedicata all’arte dei nativi americani, ma è stato realizzato in quello che direi fosse un tipo di presentazione molto etnografico”, ha ricordato Ash-Milby. “Raggruppava insieme i nativi e non si concentrava tanto sulla loro individualità. C’erano tappeti Navajo sul pavimento. C’erano esposizioni di gioielli. Molti degli artisti non avevano un nome”.
Sarà l’artista svizzero-brasiliano Guerreiro do Divino Amor l’artista che rappresenterà la Svizzera alla Biennale. Incaricato dalla Fondazione svizzera per la cultura Pro Helvetia, l’artista del 1983 porterà un monumentale progetto che esplora le immagini delle mitologie politiche e il loro utilizzo. Super Superior Civilizations punta a proporre una visione critica (e a tratti umoristica) del linguaggio visivo dei miti nazionali, esplorandone la carica culturale, la gerarchizzazione e la strumentalizzazione. Attraverso questi strati di connettività, Guerreiro do Divino Amor – che ha scelto come curatore il direttore del Centre d’Art Contemporain e della Biennale dell’Immagine in Movimento di Ginevra Andrea Bellini – ritaglia gli intrecci dell’esistenza globalizzata che vengono influenzati da aspetti come la distorsione postcoloniale, andando così a scrivere un altro capitolo della monumentale saga Superfictional World Atlas, iniziata nel 2005.
Il video artista Yuan Goang-Ming rappresenterà Taiwan a Venezia. Il linguaggio artistico di Yuan, nato nel 1965, esplora spesso le condizioni della modernità e gli ambienti urbani globalizzati. Per la Biennale, Yuan si concentrerà sulla politica della mappatura, un tema caldissimo tra Taiwan e Cina, nonché sul rapporto tra guerra e vita quotidiana. La mostra sarà curata da Abby Chen, responsabile dell’arte contemporanea e curatrice senior del’Asian Art Museum di San Francisco, che ha commentato: “Gli esseri umani comprendono la storia non solo sulla base di registrazioni cronologiche, ma in un modo reale quanto l’odore nell’aria: viviamo tutti nella storia. In un’era piena di incertezze e disaccordi, lavoreremo insieme per esplorare il tempo come habitat fluido e la costanza come forma di resistenza”.
Saranno gli artisti Haji Chilonga, Happy Robert, Lutengano (Lute) Mwakisopile e Naby Byron a rappresentare la Tanzania alla Biennale Arte 2024. I quattro artisti occuperanno altrettante “stanze immaginarie” all’interno della Fabbrica del Vedere interpretando i temi del viaggio, dell’incontro, della ridefinizione di sé e delle mediazione globale. Curata da Enrico Bittoto, la mostra A flight in reverse mirrors (The discovery of the Other) non prevede un percorso specifico, ma permetterà ai visitatori di decidere autonomamente come approcciarsi alle opere, raccolte in pochi metri quadri ma aperte a un’ampia finestra di riflessione.
Gülsün Karamustafa rappresenterà il Padiglione della Turchia all’Arsenale. Curata da Esra Sarıgedik Öktem, già collaboratrice di Karamustafa, la mostra calcherà il solco della pratica artistica di Karamustafa, nata nel 1946 ad Ankara, sulla Turchia contemporanea e sull’ingiustizia storica. I suoi lavori, che spaziano dalle installazioni all’assemblaggio, dalla scultura e pittura ai video, l’hanno resa una delle figure di spicco della scena artistica contemporanea in Turchia. “La sua pratica artistica stratificata affronta le questioni più urgenti del nostro tempo come lo sfollamento e la migrazione, l’esilio e l’etnicità, la sessualità e il genere”, ha commentato Bige Örer, direttore della Biennale di Istanbul.
Il Padiglione dell’Ungheria sarà rappresentato dall’artista Marton Nemes, nato a Budapest e residente a Londra. Tipiche del lavoro di Nemes sono le sue tele colorate e astratte che rappresentano l’architettura urbana ma anche scene musicali della sottocultura. Per la Biennale, con la curatela di Rona Kopeczky, Nemes presenterà un’opera multimediale di grandi dimensioni che utilizza le caratteristiche spaziali del padiglione ungherese, commissionato dalla storica dell’arte ungherese e direttrice del Museo Ludwig di Colonia Julia Fabenyi.
Il Padiglione della Santa Sede sarà dedicato al tema dei diritti umani e alla figura degli ultimi, e con la mostra Con i miei occhi porterà un’installazione fisica e concettuale all’interno della Casa di detenzione femminile della Giudecca, che ospiterà il Padiglione. La curatela è stata affidata dal cardinale José Tolentino de Mendonça (prefetto per la Cultura e l’Educazione della Santa Sede e Commissario del Padiglione) a Chiara Parisi e Bruno Racine, che hanno chiamato a partecipare otto artisti/collettivi: Maurizio Cattelan, Bintou Dembélé, Simone Fattal, Claire Fontaine, Sonia Gomes, Corita Kent, Marco Perego & Zoe Saldana, Claire Tabouret.
Padiglione Albania alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Arabia Saudita alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Australia alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Austria alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Azerbaigian alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Benin alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Brasile alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Camerun alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Canada alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Cile alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Corea del Sud alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Croazia alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Danimarca alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Estonia alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Etiopia alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Filippine alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Finlandia alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Francia alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Georgia alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Giappone alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Gran Bretagna alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Irlanda alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Islanda alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Hong Kong alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Lettonia alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Libano alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Lituania alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Malta alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Montenegro alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Nigeria alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Paesi Bassi alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Portogallo alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Romania alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione San Marino alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Serbia alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Singapore alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Slovacchia alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Spagna alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Stati Uniti alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Svizzera alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Taiwan alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Tanzania alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Turchia alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Ungheria alla Biennale di Venezia 2024
Padiglione Vaticano alla Biennale di Venezia 2024
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Giulia Giaume
Amante della cultura in ogni sua forma, è divoratrice di libri, spettacoli, mostre e balletti. Laureata in Lettere Moderne, con una tesi sul Furioso, e in Scienze Storiche, indirizzo di Storia Contemporanea, ha frequentato l'VIII edizione del master di giornalismo…