Il nuovo Centro d’Arte Herrero di Valencia e la sua collezione
Un caso di puro mecenatismo privato al servizio della comunità, dove l’arte contemporanea convive con la storia della città, all’interno di un palazzo risalente all’Antica Roma
I mecenati – quelli veri, che ridistribuiscono le proprie ricchezze attraverso opere di stampo culturale e sociale per la collettività – investono solo a futura memoria. Nella maggior parte dei Paesi europei, come in Spagna e in Italia, non esistono ancora leggi che favoriscano il mecenatismo.
Hortensia Herrero è una signora valenciana che da anni, senza eccessi di sovraesposizione di immagine, spende autentiche fortune per la sua città: finanzia restauri di chiese, edifici storici e affreschi; organizza mostre cittadine, coinvolgendo personalità come Manolo Valdés, Jaume Plensa, Julian Opie o Ron Harad, ai quali, poi, acquista un’opera per donarla alla cittadinanza. E patrocina inoltre un campus estivo di formazione per giovani promesse della danza. Il denaro da lei destinato a progetti culturali non ha origine misteriose – come spesso invece accade. Proviene tutto dagli utili di Mercadona, catena di grande distribuzione fondata dal marito Juan Roig.
Con la fondazione che porta il suo nome, la signora Herrero coltiva le sue maggiori passioni: la danza e l’arte contemporanea. Con la consulenza di Javier Molins, curatore anch’egli valenciano, ha acquistato nel tempo un centinaio di opere, di artisti spagnoli e internazionali presenti nei più importanti musei del mondo. Una collezione privata di alto livello qualitativo che, oltre ad essere un investimento sicuro, oggi rappresenta una nuova realtà museale per la città di Valencia.
Come nasce il Centro d’arte Hortensia Herrero
Nasce con questo spirito il Centro d’arte Hortensia Herrero, inaugurato qualche giorno fa a Valencia alla presenza di galleristi, artisti e personalità di spicco del mondo dell’arte spagnola e internazionale. Nel centro storico della città (nella calle del Mar, a pochi passi dalla cattedrale gotica) la famiglia Roig ha acquistato un palazzo signorile del XVII secolo che, in passato, fu anche sede di un giornale e di una discoteca. Dopo dieci anni di restauri – su progetto del valenciano Erre Arquitectura, tra i cui soci figura la figlia dei Roig, Amparo – e con un investimento di circa 40 milioni di euro, la signora Herrero ha realizzato il sogno di un museo in cui esporre le opere della sua collezione privata, restituendo alla città un edificio che ne condensa secoli di storia. Dagli scavi delle fondamenta sono emersi, infatti, frammenti di un circo romano; nel patio del giardino, fontane a stella in stile arabo; nei sotterranei un forno d’epoca medievale e tracce dell’antica Giuderia di Valencia (distrutta dopo un pogrom alla fine del Trecento), che sorgeva proprio in questo quartiere. Per non contare la vista stupenda che si gode, dai piani superiori, sulla Ciudad Vella e in primo piano sull’Hospital de San Juan de Dios, la chiesa più antica di Valencia, simbolo della Reconquista della città.
Sei progetti site specific per il Centro Herrero
A Palazzo Valeriola, dunque, i sedimenti del passato convivono e dialogano con l’arte contemporanea. La creatività del nostro tempo permea e pervade tutti gli spazi del centro d’arte. L’aspetto più interessante è la presenza di ben sei progetti artistici site specific. Nel sontuoso ingresso del palazzo, sopra lo scalone d’accesso al primo piano, pende dal soffitto Corona Australiz 38.89, una serie di clouds trasparenti dal colore cangiante, dell’argentino Tomás Saraceno. È una autentica tempesta di numeri, caratteri e segni grafici di alfabeti diversi, l’opera in acciaio che Jaume Plensa ha creato intorno all’abside d’ingresso al giardino. Ai piani superiori, invece, tre corridoi di passaggio ospitano altrettante installazioni. Al primo, Transformer è uno straordinario video immersivo di Mat Collishaw ispirato al fuoco distruttivo e rigenerativo de Las Fallas valenciane, manifestazione popolare amatissima da Hortensia Herrero. Al secondo piano, Olafur Eliasson ha creato un tunnel con effetti ottici diversi a seconda del senso di percorrenza; mentre al terzo, il punto di raccordo fra gli edifici è occupato da Transito Material, la materia avvolgente delle pareti calcaree della spagnola Cristina Iglesias. Ultimo spazio site specific, l’antica cappella del palazzo al primo piano presenta un intervento contemporaneo di Sean Scully (un olio su alluminio e tre vetrate a mosaico) con l’inserzione “ibrida” sul soffitto di dipinti firmati da pittori valenciani dell’Ottocento (tra i quali Sorolla), provenienti da un altro contesto.
La collezione del Centro d’arte Hortensia Herrero
Il resto della collezione, un centinaio di opere di circa cinquanta artisti di fama internazionale, è distribuita in maniera elegante (e con il giusto agio) negli oltre 3500 metri quadrati espositivi del palazzo, suddivisa in 17 sale sparse per quattro piani. Al piano terra protagonista è il Ventesimo Secolo, con Calder, Dubuffet e gli spagnoli Tapiès, Julio González e Chillida. Nei piani superiori si susseguono pezzi di medio, grande e grandissimo formato di artisti come Olafur Eliasson, Georg Baselitz, Tony Cragg, Julian Opie, Anish Kapoor, El Anatsui; ma anche opere degli spagnoli Manolo Valdés, Miquel Barceló e Juan Genovés. Una sala è dedicata all’arte cinetica, un’altra ai video (con interessanti opere di Michal Rovner e di Team Lab) e, nel sotterraneo, sono esposte una serie di fotografie, tra le quali gli immancabili Thomas Ruff e Andreas Gursky. Da citare, infine, la sala in cui campeggiano le tre opere monumentali di Anselm Keifer e la presenza a Valencia dell’intero progetto audiovisivo dedicato alle quattro stagioni di David Hockney.
Una curiosità. All’inaugurazione del centro è già pronto il bel libro-catalogo, a cura di Javier Molins, edito dall’italiana Skira, con splendide immagini del palazzo, delle opere d’arte (fotografate anche in situ) e una storia della collezione raccontata con testi in spagnolo e in inglese.
Federica Lonati
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