La pittura contemporanea secondo Nicola Verlato. L’intervista
Una intervista a tutto campo a Nicola Verlato. La pittura, il ruolo dei media, l’ispirazione da Pier Paolo Pasolini, fino alla mostra in corso alla Triennale di Milano
Nicola Verlato (Verona, 1965), artista la cui fama ha travalicato i confini nazionali (ha vissuto per molti anni in America), è in questo momento protagonista della mostra intitolata Recent Highlights presso la Galleria Bonelli a Milano. Tra i dipinti in mostra, un ritratto di Iggy Pop sostenuto dalle mani dei suoi fan, uno studio a carboncino di oltre quattro metri per il fregio del mausoleo dedicato a Pier Paolo Pasolini, a Ostia, assieme ad altre importanti opere. La ricerca di Verlato è incentrata sul rapporto tra le arti plastiche e i new media, per creare quelli che lui stesso definisce “miti contemporanei”. Nel frattempo, l’artista è anche presente nella collettiva che ha inaugurato a ottobre presso la Triennale di Milano, Pittura italiana oggi, con la monumentale opera Hostia. Con l’occasione, lo abbiamo intervistato.
Qual è lo stato della pittura figurativa italiana di oggi? Trovi che ci siano delle potenzialità che meritano di essere promosse o incentivate?
Esattamente. La pittura italiana figurativa ha delle grandi potenzialità. Oggi vengono spesso proposti artisti internazionali giovanissimi, che vanno di moda, e costano cifre altissime, quando basterebbe guardarsi attorno. La pittura figurativa fa parte della nostra tradizione pittorica plurisecolare; eppure, qui da noi è stata fatta una vera un’operazione di ostracismo verso questa identità fortissima.
Si continua a parlare del ritorno della pittura figurativa; e si va a vedere, ad esempio, cosa succede a New York. Ma guardiamo piuttosto che cosa succede anche in Italia. Il curatore della mostra, Damiano Gullì, ha avuto coraggio: probabilmente perché ha un sentore un po’ più solido su quello che sta succedendo in giro per il mondo. Non per niente si è appoggiato a un comitato di cui ha fatto parte Susan Hudson, la quale ha curato un libro che si intitola Painting Now. In questo, io sono uno dei pochi italiani presenti.
Parliamo della costruzione di nuovi miti. Hai detto che siamo in una fase storica in cui c’è una formalizzazione di nuove mitologie; e noi il mito lo rappresentiamo.
Questo è un tipo di analisi che ho fatto nel corso del tempo, e risente molto dell’influsso del libro di Nietzsche La nascita della tragedia e del rapporto tra apollineo e dionisiaco. Libro, questo, che lessi a 15 anni e che mi colpì profondamente. Mi rendevo conto, allora, di quanto l’autore si addentrasse soprattutto nell’aspetto dionisiaco, nonostante lo avesse messo in rapporto con l’apollineo. Ma era tutto relativo al tempo in cui Nietzsche scrisse l’opera: alla temperie culturale in cui si trovava: la musica prevale su tutto; e questo grande “brodo primordiale” ha dominato tutto l’Ottocento. Anche il cinema nasce dalla musica, da Wagner, dalla visione della trasformazione che lui ha dato all’opera; siamo figli quasi completamente della musica. Tutte le nostre mitologie, le nostre narrazioni sono nate nella musica, perché la musica è lo strumento più ancestrale di controllo del tempo. Se si guarda al mondo greco, non c’era un’immagine: nell’Iliade e nell’Odissea dipinti e sculture non compaiono praticamente mai. Però, è in quel momento che gli dei si sono manifestati e sono diventati protagonisti delle narrazioni. In un secondo momento si è cominciato a formalizzare, a farli atterrare nel mondo. E l’artista è la figura designata all’interno di queste collettività per dare loro forma. Oggi, in un certo senso, stiamo vivendo una cosa simile: possiamo vedere sotto i nostri occhi questo processo di sedimentazione e trasformazione delle tre dimensioni.
Hai già lavorato su figure come James Dean, Michael Jackson e Robert Dowson, mentre tra gli italiani hai scelto Pasolini. Come mai?
Ho cominciato a lavorarci quando ero a Los Angeles e mi domandavo che figura fosse in grado di attraversare questo processo di sedimentazione in modo credibile. E ho pensato alla figura di Pasolini perché è la mitologia più potente che l’Italia è riuscita a realizzare negli ultimi cinquanta, sessant’anni. L’obiettivo era di costruire un grande mausoleo nel luogo in cui è morto. È il luogo a diventare protagonista della narrativa, formalizzando qualcosa di già esistente lì.
Il rapporto fra l’arte e il territorio nasce proprio nell’idea che l’opera d’arte difenda il territorio, creando attorno a sé un’area di rispetto, in cui le forze capitaliste e immobiliari non riescono a penetrare.
Nelle tue opere è evidente un dinamismo che si muove tra ordine e caos. Come ce lo spieghi?
Corrisponde a una necessità che ho, ma mai del tutto razionalizzata, perché effettivamente è così da sempre. Fin da quando sono piccolo sono rimasto attratto dai dipinti di arte molto violenta, molto di impatto. Forse perché l’aspetto che mi interessa di più è questo discorso di poter cristallizzare una complessità indecifrabile, esporla ed esplorare il caos. Esso è un ordine più complesso: apparentemente è informe, ma nasconde in sé una forma forse più complessa.
A livello di metodologia di lavoro, mi piace fare schizzi e disegni spesso caotici e di grande dinamismo. Poi esploro questo dinamismo attraverso modelli tridimensionali, che realizzo con la creta, con la plastilina, oppure con il computer. La cosa più bella di tutte? Vedere questa piccola porzione di mondo che uno ha creato.
Un altro aspetto capitale della tua indagine è il ruolo dei media.
Viviamo immersi in una grande nuvola mediatica, fatta di particelle atomiche che ci bombardano in tutti i momenti, ma che anche noi continuiamo ad alimentare. Mi interessa vedere, all’interno di questa nuvola, luoghi più solidi: narrative che diventano più importanti di altre. L’opera d’arte dona ad esse la possibilità di sedimentarsi nel mondo e diventare a loro volta un punto di partenza per ulteriori narrative, come è sempre successo.
Infatti nella mostra “Recent Highlights” figura anche l’opera “Assassinio di Christopher Marlowe-P. P. Pasolini” , un dipinto sulla morte di Pasolini, ucciso da Pelosi, all’interno dell’Inghilterra elisabettiana calato dentro la narrativa della morte di Christopher Marlowe…
Esattamente: è la stessa logica di immersione nei media. Internet catalizza tutto quanto mettendoci in continuazione in relazione con tutte queste informazioni. Alcune narrative, però, sono più dense ed è come se volessero comprimersi. E poi, da questo mondo gassoso, accade che qualcuno ci scriva un libro, e dal libro venga tratto un film, e così fino alla resa plastica in oggetto. È questo il concetto che mi interessa: il tempo gassoso, che poi si trasforma in spazio; e l’uscita dal tempo delle mitologie, al momento della loro formalizzazione plastica.
Rebecca Delmenico
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