Emilio Prini, l’artista geniale e antipatico in una grande mostra a Roma 

Ironico per tutta la vita, Prini ha lasciato il segno con il suo approccio geniale all’arte, le pagine vuote, i gesti clamorosi. Una mostra lo racconta a Roma nella sua interezza professionale e umana

Emilio Prini (Stresa, 1943 – Roma, 2016) non era un uomo simpatico. Se per simpatico s’intende un tipo affabile, allegro, accogliente, dalla sorridente seduzione. O perlomeno, così non appare nei tanti aneddoti che lo circondano. Critici impegnati in sue monografie che lui decise all’ultimo momento di non pubblicare e di cui rimangono solo abbozzi di copertina. Colleghi a cui veniva promesso un lavoro che si rivelava poi essere l’azzeramento di un lavoro. Convegni a cui accettava di partecipare per poi inviare qualcun altro a recitare la lettera di invito sillabando persino la punteggiatura. “Punto, due punti, punto e virgola…” come in un film di Totò

Emilio Prini, ...E Prini, installation view at MACRO, Roma, 2023. Photo Melania Dalle Grave, DSL Studio
Emilio Prini, …E Prini, installation view at MACRO, Roma, 2023. Photo Melania Dalle Grave, DSL Studio

Chi era Emilio Prini, il genio 

Non voleva essere simpatico, ma ironico sì. Come quando negli anni Settanta in pieno riconoscimento di artista concettuale si fotografa con il naso da pagliaccio, la maglietta a righe e il mantello (un miscuglio di gioco dadaista e clown assassino da horror movie). O in un gioco di abilità realizza un verosimile ritratto di Napoleone con la macchina da scrivere usando solo il tasto O e la virgola della Lettera 22. Ironico per tutta la vita, se nel 2008 alla Galleria Persano a Torino, fa interpretare il “Vuoto” alla Pimpa di Altan. 
In ogni caso, era un genio. Su questo tutti concordano. Persino giovani artisti o critici che non lo hanno conosciuto personalmente e potevano faticare a coglierne tanta genialità, dal momento che di lui erano noti solo frammenti, brandelli di lavori, vuoti, assenze e negazioni. Non esiste un’intervista o una monografia e i suoi interventi nel mondo dell’arte diventano col tempo sempre più rari, criptici o persino provocatori. Nel 1970 il contributo alla mostra “Processi di pensiero visualizzati” al Kunstmuseum di Lucerna consiste tutto nel telegramma che recita “Confermo partecipazione mostra”. Nel 1971 l’unico suo intervento per la mostra “Arte Povera” al Kunstverein di Monaco è lasciare bianche le pagine del catalogo che lo riguardano. Nel 1989 si presenta allo Studio Ghiglione di Genova dove doveva tenere una conferenza, trasportato su una portantina, perché aveva giurato a sé stesso di non metter piede a Genova, città in cui era nato e vissuto evidentemente con fatica. Ed ecco: persino il pavimento della galleria volle ricoperto di cellophane e la festa del dopo mostra fu allestita su una barca in mezzo al mare. 

Emilio Prini, ...E Prini, installation view at MACRO, Roma, 2023. Photo Melania Dalle Grave, DSL Studio
Emilio Prini, …E Prini, installation view at MACRO, Roma, 2023. Photo Melania Dalle Grave, DSL Studio

Prini, la mostra al Macro di Roma 

Così era Prini. Presenza assenza. Come le foto che lo ritraggono di schiena; i progetti di film dove indica come indicazioni di regia “filma diverse nuche in diverse condizioni di vento”, oppure  “filma un giorno di sole oscurato dal dito in primo piano”; le personali che titola “esposizione di oggetti non fatti, non scelti, non presentati da Emilio Prini”. Però per essere rigoroso Prini era rigoroso, fino ad inseguire talmente tanto la sua legge da sprofondare e annientarsi in essa. Non solo era rigoroso, ma aveva un controllo e un desiderio di raggiungere la perfezione della forma e l’equilibrio estetico non per tutti facile da capire. Perlomeno fino al momento in cui non si entra nella sala grande del Macro e nella prima sua estesa antologica: davvero estesa, davvero antologica. Duecentocinquanta opere un arco temporale di cinquant’anni (1966 /2016), tutti i materiali (e si scopre che son tanti) dell’apparentemente suo immateriale lavoro. Titolo: “e Prini” come lui stesso aveva scritto sul campanello della porta di casa.  
Un po’ come dire bussate e incontratelo questo artista che la vulgata corrente descrive ritroso e anoressico e che invece è riuscito a riempire della sua arte quella sala del museo tanto grande e tanto sghemba da aver nel 2011 messo in difficoltà persino le giostre di Carsten Holler.
Ma l’incontro con Luca Lo Pinto, curatore dalla non comune felicità di scrittura visiva e la potente qualità formale che ogni opera di Prini qui rivela e rilancia, regala una lettura di questa storia che esce dalla gabbia del concettuale duro e puro e si libera in uno spazio pieno di curve, in un immaginario molto più fecondo e nella creazione di un paesaggio che ben concilia pensiero e immagine. O meglio il seme di un’immagine che è pronto a generarne altre, come accade fin dall’inizio nelle ricognizioni della fine anni Sessanta che tra Genova e Roma vedono Prini ritratto di schiena mentre individua curve che non gli tornano, strade in salita, passi e sottopassi.   

Le opere di Prini al Macro di Roma 

Mentre una serie di ben quaranta scatti sono invece le foto che lo immortalano nel 1968 nell’azione: “mi sono affacciato alla finestra e c’era il sole”.  Qui, lo vediamo rannicchiato sul davanzale della finestra del suo studio: cappelli lunghi e sciolti, occhialetti circolari, iconica maglietta a righe bianche e rosse.  Un’immagine che raccoglie un’epoca, come certe generazionali copertine di vinile dove tutto è coerente a cominciare dagli abiti e dalla posa, fino ai muri scorticati … Consapevole fin nei dettagli della forza di un’immagine, Prini lo è anche quando studia un autoritratto, quando compone il lettering di un invito, quando scrive a mano il titolo di un’azione o un’opera, quando solleva sulla nuca il bavero del giubbotto in una delle tante foto di schiena. In ogni dettaglio c’è la tensione verso la perfezione assoluta. Ma è una perfezione fluida come quel calco in legno di un gradino che si libera al centro del pavimento, l’arabesco di un tubolare in ferro, l’appunto da block notes impresso su una lastra di piombo del peso del suo braccio. 
Non era facile fare una mostra di Prini dimostrando che l’artista senza opera è invece generosamente ricco o di opera, di forma, di sostanza, di immagine. E se la sfida era quella di dimostrarne la forza visiva e compositiva senza tradirlo, ebbene è stata vinta. 
Questa antologica è un miracoloso esempio di scrittura visiva. Una monografia immersiva che è costata intensi anni di lavoro e si vede. Una mostra da inserire nei manuali per futuri curatori a cominciare dalla redazione e distribuzione di quell’opuscolo che ci guida opera per opera, didascalia per didascalia, descrizione per descrizione abbracciando mente e corpo di un artista complesso, ermetico e geniale. (Altro che QR code!). Racconta il curatore che Lisa Ponti, figlia del grande Gio a proposito di Prini gli disse: “Quando lo conobbi ebbi soprattutto uno stupore per la sua assolutezza e la sua severità. Il punto è che lui ci deve essere e non essere allo stesso tempo. Un altro avrebbe detto “voglio essere in un punto visibile”; lui invece vuole essere in un punto quasi invisibile, però ‘esserci’”.  

Alessandra Mammì 



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