Riscoprire la cura botanica nella mostra di Silvia Infranco a Venezia
A lungo reputate segno di stregoneria, le cure tramite piante officinali rivelano lo stretto legame tra essere umano e natura. Alla Galleria Marignana Arte, le opere di Silvia Infranco riscoprono questo rapporto attraverso una pratica multidisciplinare
Pratiche di cura alternativa, piante officinali e sculture di cera: le opere di Silvia Infranco (Belluno, 1982) invadono gli spazi veneziani di Marignana Arte, nel cuore di Dorsoduro, con la mostra Viridis.
Multidisciplinare e multifocale, Infranco rievoca un passato mai defunto, recupera una dimensione di dialogo tra umano e naturale che affonda le radici, pur senza renderlo evidente, nelle intersezionali questioni di genere e di lotta di classe. Nel secondo spazio della galleria, poco distante, sono esposti invece i dipinti di Laura Omacini (Venezia, 1991), in cui le architetture della Serenissima, schermate da impalcature, raccontano la tensione tra realtà e osservatore.
La mostra di Silvia Infranco a Venezia
A partire dagli scritti (tra gli altri) della monaca benedettina Hildegard von Bingen, vissuta in Germania nel XII secolo, Infranco elabora un linguaggio fatto di cera e piante officinali, per raccontare la ricucitura della cesura tra medicina naturale e quella moderna. Cesura che – come ben esplicato dalla filosofa Silvia Federici nel suo Calibano e la strega – va identificata in gran parte con il fenomeno strutturale della caccia alle streghe e della transizione dal feudalesimo al capitalismo, ovvero un momento in cui tutte le pratiche che si discostavano dall’idea di lavoro salariato e controllato venivano perseguite. Il lavoro di Infranco, al contrario, riscopre e dona continuità proprio alle piante che, secondo i diversi erbari medievali e le tradizioni popolari e alchemiche, possiedono poteri taumaturgici: è il caso del tiglio, dell’iperico, della menta e certamente della salvia, che nel suo stesso nome rivela le sue qualità salvifiche.
Le opere di Silvia Infranco da Marignana Arte
Una mostra, dunque, da vedere ma anche da annusare, prima che il profumo delle piante officinali venga del tutto assorbito dalla cera in cui sono immerse e con cui Infranco realizza sculture e dipinti dalla perlacea traslucidità. Alla ricerca, come spiega la curatrice Marina Dacci, di “una dimensione armonico-evolutiva del mondo”. Nella serieMortarium, per esempio, le piante e la cera vanno a comporre scultorei mortai, richiamando allo stesso tempo i componenti e i procedimenti utili alle ricette medicinali. In Remedia, invece, Infranco prende direttamente ispirazione dai precetti di Hildegard von Bingen e Dioscoride Pedanio per la preparazione di composti sanatori, mentre nella serie Precationes sono ancora rintracciabili, nella nebulosa superficie fatta di erbe, carta, pigmenti, ossidi e cera, le parole usate per scrivere la ricetta.
Ad accompagnare la mostra, i preziosi testi di Marina Dacci, Erika Maderna e Veronica Maschi, che pongono le opere di Infranco in relazione con contesti antichi, rivelandone le radici e le matrici greche ed egizie; in una parola, arcaiche.
Alberto Villa
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