POUSH, il quartiere culturale di Parigi. L’intervista al direttore artistico Yvannoé Kruger
Un ex complesso industriale riconvertito a studi d’artista e non solo. Questo è Poush, un quartiere culturale alle porte di Parigi che incoraggia la condivisione di ricerche e l’incontro tra artisti, curatori e operatori culturali da più di trenta paesi
A Parigi, nell’adiacente comune di Aubervilliers, un ex complesso industriale è diventato punto di riferimento della scena artistica contemporanea. Negli anni Venti era la sede della profumeria L. T. Piver, mentre oggi ospita 260 artisti – dalle arti visive alla danza e dalla sound art alla performance – provenienti da più di trenta paesi. Il progetto è nato su iniziativa della società Manifesto Paris ma ha anche il sostegno della Région Île-de-France e Ville d’Aubervilliers, in un’ottica di collaborazione sinergica tra privato e pubblico. Oltre agli spazi per lavorare, 20.000 metri quadri a disposizione, è presente anche un “ufficio dei pensatori” – dove otto curatori, critici d’arte e giornalisti si confrontano periodicamente sulle ricerche più emergenti –, una radio che trasmette 24 ore su 24 (con una programmazione che alterna musica e interviste a vari protagonisti invitati dalla critica d’arte Anaël Pigeat) e uno spazio di ritrovo, la Bodega, dove poter mangiare prodotti di stagione, suonare e giocare a biliardo. Un labirinto di studi d’artista che offre un parterre diversificato di medium e ricerche che si alimentano e scambiano vicendevolmente. Una realtà culturale che manca all’Italia, il cui esempio potrebbe essere seguito anche da altre città, come Milano, per sostenere la propria scena artistica: non solo, infatti, gli artisti possono usufruire degli studi a prezzi accessibili ma beneficiano anche di un supporto per la produzione, la comunicazione e le questioni amministrative. Per conoscere meglio il progetto e le energie che lo accompagnano, abbiamo intervistato il direttore artistico Yvannoé Kruger.
Intervista al direttore artistico di POUSH Yvannoé Kruger
Com’è nato il progetto e come si sostiene?
Spesso questo genere di realtà iniziano come artist run space, come ad esempio le6b a Parigi, e sempre in periferia. Dopo aver lasciato il Palais de Tokyo, ho iniziato a lavorare da Manifesto, e insieme ai fondatori Hervé Digne e Laure Confavreux-Colliex abbiamo pensato a quello che sarebbe poi diventato Poush. Al tempo, c’era una grande fabbrica e degli artisti che cercavano uno spazio dove poter lavorare, proposi di portarli lì e nell’arco di due settimane gli interessati erano diventati un centinaio.
Cos’è successo dopo?
Facemmo anche un’open call per una residenza e parteciparono artisti come Neïl Beloufa e David Douard. Ma ancora non si chiamava Poush. Successivamente le domande aumentarono soprattutto dall’estero, Africa, Asia, America Latina e questo rese le cose speciali. Credo che ogni scena artistica (come può essere quella milanese o parigina) se composta da altrettante scene artistiche straniere va a creare uno scambio magico. In un secondo momento, abbiamo creato un’associazione non profit per poter ricevere finanziamenti, che nel nostro caso sono sia pubblici sia privati.
Perché Poush? Da dove viene il nome?
Il nome viene da Porte Pouchet, la meno famosa delle porte di Parigi, dove si trovava la prima sede di Poush. La torre che ospitò i primi artisti si trovava esattamente tra il centro e la periferia di Parigi e simbolicamente ci sembrò molto forte scegliere un nome che richiamasse l’identità della zona. Inaugurammo cinque giorni prima che scoppiasse la pandemia e il nostro inizio fu appena accennato. Quando abbiamo riaperto, gli artisti erano affamati di creazione e già un mese e mezzo dopo era come avere un mini-museo da visitare, fu una vera e propria esplosione.
Che tipo di supporto viene offerto agli artisti?
Agli artisti offriamo grande visibilità e un affitto per lo spazio davvero competitivo rispetto al resto della città. Già il fatto di poter visitare oltre 200 studi attira molte persone, sia del settore che non. Organizziamo eventi di vario genere e mostre collaterali, invitiamo gruppi di curatori e direttori di musei e istituzioni, sia francesi sia internazionali. Inoltre, abbiamo il team di produzione di Manifesto che supporta gli artisti per ogni necessità tecnica e, infine, offriamo un aiuto di tipo burocratico-amministrativo, poiché molto spesso le accademie e le scuole d’arte non forniscono questo tipo di conoscenze necessarie.
Ci sono dei requisiti particolari per l’assegnamento degli studi?
L’assegnazione si basa sul curriculum ma anche su quello che pensiamo ogni artista possa portare al progetto Poush. Possono essere artisti appena usciti dall’accademia che vogliamo sostenere e altri mid-career che si sono fermati e hanno bisogno di nuova energia. Più o meno l’età media è di trentacinque anni. Tuttavia, oltre a questi fattori, la cosa più importante e difficile per noi è fare in modo che gli artisti, tra loro, abbiano condizioni ottimali nella condivisione dello spazio. Si tratta di un vero e proprio lavoro di “incastro”.
Dal tuo punto di vista, quali sono le tendenze e le ricerche più diffuse nel panorama parigino?
Le ricerche cambiano velocemente e altrettanto i gusti. Se per molti anni abbiamo avuto un approccio più concettuale, come per esempio con Philippe Parreno, successivamente c’è stata l’esplosione della pittura figurativa e ora tanta scultura in stile Arte Povera. Ultimamente l’overdose da NFT e figurativo ha portato a tendenze più astratte sotto l’influenza londinese. Tuttavia, credo sia essenziale per un artista, ma non solo, trovarsi in un contesto diversificato e multidisciplinare.
Ne prediligi qualcuna?
A me piacciano anche gli artisti che non fanno arte, l’opera fisica non deve essere per forza il fine, il pensiero che si cela dietro l’oggetto è più importante. Per esempio, da Poush ci sono molti performer.
Quali sono, in Italia, gli spazi d’arte contemporanea e gli eventi che in questo momento hanno maggior rilevanza? Quali frequenti solitamente?
Viaggio spesso in Italia, soprattutto Napoli, Palermo e Venezia, dove ho avuto modo di visitare molti studi e artist run space. Così ho conosciuto Ignazio Mortellaro, Giorgio Andreotta Calò e Sven Sachsalber. Ho amato molto Sven e il suo lavoro, purtroppo se n’è andato tre anni fa. Naturalmente c’è anche il Castello di Rivoli, mentre Milano la frequento meno ma ho molti amici curatori che vivono lì. Recentemente però sono stato alla mostra dedicata alla pittura italiana in Triennale, ci sono vari artisti che hanno lo studio da Poush come Bea Bonafini, Cecilia Granara e Claudio Coltorti. Prossimamente una decina di artisti che sono, o sono stati, da Poush saranno a Milano e in Italia per mostre e fiere, tra questi Adélaïde Feriot, Mathilde Albouy, Julian Farade e Ugo Sébastião.
Caterina Angelucci
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