Le spettacolari sculture di Ron Mueck in mostra a Milano
Dalla Francia all’Italia, una grande mostra alla Triennale dedicata all’artista iperrealista australiano e alle sue monumentali sculture
Rinnovando la partnership virtuosa con la Fondation Cartier, Triennale Milano presenta la prima esposizione italiana di Ron Mueck (Melbourne, 1958) con l’innesto di sei opere: naturale evoluzione della mostra presentata a Parigi la scorsa estate. Mueck, maniacale scultore tra i più importanti del contemporaneo, dialoga con l’architettura milanese attraverso un duplice percorso, che analizza le ultime esplorazioni in termini plastici, per poi tornare ai capisaldi iperrealistici del passato.
Le opere di Mueck in dialogo con il Palazzo della Triennale
Emblema del nuovo paradigma e dell’intera esposizione è il monumentale gruppo scultoreo Mass (2017), un insieme di cento enormi teschi umani, affastellati uno sull’altro, per creare un vero e proprio paesaggio oggettuale. Concepita e prodotta per la National Gallery of Victoria di Melbourne, l’opera viene riallestita per la prima volta negli spazi di Triennale; l’intervento site specific ha l’intenzione di aprire un nuovo dialogo tra la scultura e lo spazio, tra il contenuto e il contenitore, tra la serialità e il pezzo unico: temi universali, che pongono il visitatore in una nuova relazione con il significato dell’opera. La scenografia ridotta al minimo è atta a valorizzare le peculiarità architettoniche dello spazio espositivo; il monocromo bianco, con il quale i teschi sono trattati, sposta l’attenzione sulla dimensione più profonda e personale di ciascuno di noi. Il simbolo del teschio accompagna l’uomo da sempre, e in varie culture. È metafora del finito e in egual modo icona imperitura, “allo stesso tempo familiare ed esotico, il teschio disgusta e affascina contemporaneamente. È impossibile da ignorare, richiede la nostra attenzione a un livello subconscio” riporta lo stesso Mueck, testimoniando una nuova tensione che attraversa la sua produzione e un modo di scolpire il fuori scala con una forza espressiva moltiplicata.
La mostra di Ron Mueck Milano
Proseguendo lungo il percorso, si incontrano This Little Piggy (2023-) e En garde (2023); due opere in contrapposizione, ma entrambe ulteriore testimonianza di un nuovo filone figurativo dell’artista australiano. La prima, di piccole dimensioni, rappresenta un insieme di soggetti in procinto di sgozzare un maiale; una composizione di grande tensione corporea,una violenta scena ordinaria e contemporaneamente un ritratto sacrificale religioso. Mueck presenta per la prima volta un’opera in progress, interrogandosi sul valore del non finito – l’evoluzione della scultura canonicamente intesa lascia al visitatore le ipotesi sulla prosecuzione del lavoro – non è dato sapere se le figure rimarranno tali, se muterà il significato, se verrà applicato intervento di sottrazione o di addizione su quanto già prodotto.Ben altro impatto e scala dimensionale ha En garde: gruppo scultoreo mastodontico di tre cani in differenti pose. L’opera allontana Mueck ancor di più dalla sua maniacale e perfetta riproduzione iperrealista di incarnati, capelli, vestiti e sguardi, rappresentando i tre animali stampati in 3D, privi di qualsiasi dettaglio. Emerge però il significato più profondo dell’opera, connotato anch’esso da una dimensione dicotomica (cifra stilistica dell’artista): i cani sono attraversati da una tensione illeggibile, sembrano impauriti dall’imposizione dell’uomo, ma al contempo la loro rigidità muscolare esprime rabbia e volontà d’attacco, sono minacciosi e minacciati. Mueck colleziona una serie di sentimenti velati e mai espliciti, tutti propri della sfera più intima dell’animo umano.
L’essenza della vita umana nelle opere di Mueck
L’altra metà del corpus di opere presenti celebra la sensibilità artistica appartenente al Mueck più celebre e riconosciuto.Dal micro Baby (2000), al macro In Bed (2005), passando per Woman with Sticks (2009), troviamo espressa l’estrema capacità di Mueck di scolpire l’essenza della vita umana, attraverso forme perfette e sfumature cromatiche di precisione ottica, capaci di instillare negli occhi di chi guarda sensazioni respingenti e parallelamente un interesse viscerale verso il soggetto. L’inquietudine attraversa il microscopico corpo di un neonato appeso alla parete in posizione cruciforme, evocando simbologie cristologiche, cristallizzate tra la tenerezza di una vita appena fiorita e lo sgomento del sacrificio religioso. Mueck ritrae l’idea astratta di ognuno di noi, portando lo spettatore a interrogarsi su stesso e sulla propria vita passata. La lettura non è mai didascalica, e le alterazioni delle proporzioni antropometriche scardinano ogni qualsiasi riferimento reale; pertanto, non vi è una chiave univoca di significato bensì si concretizza una verità soggettiva, quella che ognuno è in grado di raccontarsi. Non sappiamo se gli occhi liquidi della gigantesca figura di donna allettata all’ingresso della mostra esprimano stanchezza, richiesta di aiuto, sogno o malattia. Possiamo solo intuire la solita familiarità angosciante che ogni figura porta con sé.Ad accompagnare le opere, due documentari di Gautier Deblonde, che guardano da vicino il meticoloso lavoro dell’artista, suggellandone l’ossessiva maniacalità e i lunghissimi tempi di produzione. Un silenzio monastico alberga nel laboratorio di Mueck durante le fasi di realizzazione, rivelandosi anch’esso, come il principio primo di tutto il corpus di opere, allo stesso tempo magnetico e disturbante.
Davide Merlo
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