Ultimo viene il corvo. Francesco Carone in mostra a Pistoia
Sesta personale in galleria dell’artista senese, colma di citazioni classiche e romantiche che bilanciano un rigoroso ed invitante allestimento di sculture inedite
Nonostante le apparenze, le opere scultoree di Francesco Carone (Siena, 1975) rigettano una qualsivoglia considerazione con l’arte minimale. La semplificazione delle forme e la nettezza delle superfici, spesso letteralmente specchianti, non cercano di indirizzare l’attenzione verso la forma-oggetto, piuttosto calibrano la fruizione per una mirata valutazione d’insieme, spaziale (o ambientale, volendo), temporale e soprattutto metafisica.
La mostra di Francesco Carone a Pistoia
Nevermore a cura di Alessandro Rabottini, nuova mostra personale dell’artista presso la galleria SpazioA di Pistoia, offre un ottimo punctus contra punctum dell’arte di Carone, dove i colti spunti letterali, dal Prometeo di Eschilo a Il Corvo di Edgar Allan Poe, non solo dichiarano la coerenza metodologica lontana da minimalismi, persino rivelano una contemplazione antitetica dell’opera “altrettanto dionisiaca quanto apollinea”. La lettura di Friedrich Nietzsche, cui si stima la precedente citazione, aiuta a cogliere la natura idiosincratica di queste forme caroniane così pulite e chiare eppure così dense e romantiche, senza perdere un certo grado di grazia per l’osservatore, tenore mantenuto sia nell’allestimento sia nell’autonomia dei pezzi singoli.
Sebbene alcune soluzioni ammiccanti al mondo del design siano inevitabili, quello che piace di Carone è il registro narrativo col quale riesce ad accogliere lo spettatore e proiettarlo in peculiari rimandi mnemonici e storico-artistici, capacità affatto scontata per un autore a tutto tondo pratico di esperienze curatoriali, editoriali e museali: progetti come Titolo, Tempozulu, USB Gallery o come il Museo d’Inverno, riflettono quanto espedienti di mestieri produttori di cultura e arte possano entrare a buon merito in una ricerca artistica, volta ad integrare le persone in un momento topico della creazione artistica, la finalità.
Ecco, dunque, La nascita della tragedia e la necessità di interpretare le forme nella loro informalità, ovvero decostruendo la loro stessa rappresentazione per qualificarle ad uno status fluido di senso (l’ambiguità tra forma ed essere è una cifra del Carone).
Le opere di Francesco Carone da SpazioA
Entrando nello specifico della mostra, un lavoro come Sirena (Scia), 2023, non necessita di smentire l’eloquenza oggettuale degli elementi compositi – ceramica, perla, pluriball, cordame ricco di concrezioni saline –, così come non punta alla sua raffigurazione scultorea di una sintetica e idealizzata sirena; invero quest’opera accompagna l’osservatore verso la concezione eroica del Desiderio, dove la plastica di imballaggio, magnifico segno ottuso, per dirlo alla Barthes, accende i fattori scatenanti di memorie psichiche, in quanto riveste il ruolo di “un significante senza significato”.
Considerando, presentemente, il pezzo più vistoso dell’esposizione, Nevermore, 2023, tre code di pianoforte congiunte sulle perpendicolari così da formare un ipotetico piano cartesiano, pur tuttavia celando la giuntura con il gioco di riflessi lucidi: appare, allora, nell’impatto con il candore della galleria, come un’enorme macchia d’inchiostro, o come un buco nero catalizzatore di percezione e figura anacoluta eccellente nell’insieme installativo. Si intuisce la predisposizione metafisica nella singolarità e nella pluralità della mostra, precetto essenziale per la costruzione armonica degli oggetti fisici messi in campo.
Solo come fenomeno estetico l’esistenza del mondo è giustificata. Si potrebbe obiettare: in questa tempesta di segni, come può risultare equilibrio e grazia? La chiave di volta consta, invero, nella différance formale, scaturita proprio dal rapporto uno‐molteplice, in cui quello che vediamo è essenzialmente quello che non-è. Pertanto, le sculture di Francesco Carone assumono l’aspetto di forature, oculi, da dove filtra la qualità dell’arte, nuclei conoscitivi e cavi come l’iride di un poeta o di un corvo, il cui gracchiare echeggia attraverso la materia fino ad essere percepito come una sentenza empirica: “nevermore”.
Luca Sposato
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