C’è una grande mostra su Gianfranco Baruchello da Massimo De Carlo a Milano
Una mostra museale dedicata al grande artista, che tanto ha dato all’arte e ai giovani, scomparso nel 2023. Laddove le istituzioni non hanno avanzato proposte ci ha pensato una galleria privata
Non accade così spesso di vedere nelle gallerie private italiane mostre di livello museale, costruite con opere di massima qualità inserite in contesti di eccellenza. È il caso di Gianfranco Baruchello. Primo Alfabeto nella sede della galleria MASSIMODECARLO, che riunisce 22 opere dell’artista, eseguite tra il 1959 ed il 1963 e selezionate da Carla Subrizi e Maria Alicata. Ad un anno di distanza dalla morte di Baruchello (1924-2023), in assenza di proposte da parte di istituzioni museali pubbliche, le curatrici hanno ordinato una mostra focalizzata sui primi anni di attività di uno degli artisti più innovativi della scena italiana della seconda metà del Ventesimo Secolo, interessato al rinnovamento del linguaggio e dei suoi significati e impegnato in una ricerca di “un mondo di informazioni e di percezioni che è rifiutato dai comportamenti stagni della cultura di oggi”.
Chi era Gianfranco Baruchello
Nel contesto romano della fine degli anni Cinquanta, definiti dal gallerista Plinio De Martiis come “gli anni originali”, Gianfranco Baruchello si posiziona subito sul versante concettuale della pittura, manifestando interesse per la ricerca di artisti come Jasper Johns, Piero Manzoni o Jannis Kounellis, in una città dove operavano negli stessi anni artisti come Cy Twombly, Pino Pascali o Gastone Novelli. In un clima culturale fertile e aperto alle sperimentazioni, l’artista produce Primo Alfabeto (1959-1962), l’opera dal quale prende avvio la mostra, dove Baruchello presenta un alfabeto composto da “pre-immagini”, un campionario di sagome di oggetti diversi. “Sagome stilizzate e piatte che dimenticano la forma umana”, spiega Carla Subrizi, “sono i termini chiave di questo dizionario provvisorio”, utile per descrivere sensazioni affettive e sentimenti fisici e corporei. Nelle due opere successive, Elementi alfabetici (1960-1961) e Insieme di personaggi (1960-1961) la situazione si fa più complessa: le forme si sovrappongono, inserendo nel sistema non solo i colori (giallo, bianco e rosso) ma anche elementi combinatori tratti sia dal mondo industriale che da quello umano, quasi a prefigurare uno spazio arcaico.
La mostra da MASSIMODECARLO
Per Baruchello l’anno di svolta è il 1962, quando incontra Marcel Duchamp a Milano e Leo Castelli e Ileana Sonnabend a Parigi. Quest’ultima lo segnala a due gallerie, Sidney Janis a New York e la Galerie du Cercle a Parigi, dove l’artista partecipa ad altrettante collettive. L’anno seguente la galleria La Tartaruga a Roma ospita la sua prima personale, dove presenta oltre alle tele anche alcune sculture oggettuali- esposte da De Carlo- tra le quali spicca Wishing them all very merry incarnations II (1962), una delle opere più sorprendenti della mostra. “Per Baruchello la realizzazione di oggetti è molto importante: parte da oggetti per pensare le immagini inedite del suo alfabeto”, aggiunge Subrizi. In qualche modo possiamo forse interpretare il gesto di nascondere una pila di quotidiani sotto uno spesso strato di vernice bianca, per trasformarli in un parallelepipedo solido incollato ad una tavola di legno dipinta di minio, come una volontà di annullare la forza dell’informazione, che stava assumendo un peso significativo nell’arte di quegli anni. Un altro pezzo forte della mostra è Grande Palomar (1962), che segna il passaggio ad una fase successiva della ricerca di Baruchello.
Il titolo fa riferimento ad uno sguardo a 360 gradi, paragonabile a quello del telescopio americano, che vede la smaterializzazione delle forme, ridotte a fluidi astratti di linee e colori nello spazio della tela. Forse non è un caso che esattamente vent’anni dopo Italo Calvino abbia pubblicato il romanzo Palomar, che parte da presupposti simili. Un altro segnale della dimensione interdisciplinare e profetica dell’arte di Baruchello, così ben valorizzata negli ambienti, preziosi nella loro essenzialità, della sede milanese della galleria MASSIMODECARLO.
Ludovico Pratesi
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