Il potere delle lettere. Lorenzo Marini in mostra a Milano
Restituire alle lettere il loro ruolo di veicoli di senso. Questo l’obiettivo di Lorenzo Marini, che con la sua TypeArt tenta un’ermeneutica delle lettere, che nelle sue mani si trasformano costantemente
“Il sapere dei segni”, così recita un libro del più importante dei filosofi italiani viventi, Carlo Sini. Siamo abituati a considerare le lettere come semplice supporto per l’oralità, note di uno spartito vocale, o come tessere di un puzzle che compongono il livello più alto, la scrittura.
Dominati dalla necessità di finalizzare la comunicazione siamo sottoposti alla dittatura della semantica. Il significato ha preso il sopravvento di tutto il processo comunicativo e delle forme di avvicinamento al reale e la sua rappresentazione è diventata sempre più prosaicamente il messaggio. Mito, ritualità formulaica, poesia, religione hanno piano piano ma inesorabilmente lasciato lo spazio alla narrazione, o lo storytelling, per meglio qualificare le forme del presente, e al conseguente predominio del contenuto.
La forma si è persa nel tempo e con essa la sua rappresentazione, la sua traccia; eppure, come scrive Sini, “la traccia è anzitutto qualcosa di empirico”, dotato di una sua vita autonoma che mette in contatto con un mondo altro, magico, sciamanico, sacro.
Questo recupero dell’empirismo e dell’autonomia del segno è il senso profondo dell’opera di Lorenzo Marini (Monselice, 1958), che si propone di liberare le lettere, ponendo l’attenzione sull’estetica e sul significato del segno grafico e aprendo un’indagine sul futuro della comunicazione e del linguaggio.
Lorenzo Marini è un artista italiano che vive e lavora fra Milano, Los Angeles e New York. Dopo Miami e la Grande Mela, nel 2014, la Provincia di Milano gli ha dedicato una grande antologica, in cui ha presentato vent’anni di lavori. Nel 2016 ha tenuto a battesimo, presso il Palazzo della Permanente di Milano, la TypeArt, movimento di cui è caposcuola. Dopo la mostra personale al Gaggenau di Milano e alla Fondazione Bevilaqua La Masa, alla Biennale di Venezia ha partecipato al padiglione Armenia della 57esima Biennale di Venezia, presentando un’ulteriore evoluzione della TypeArt:il passaggio alla terza dimensione, con installazioni dedicate ad altrettante lettere dell’alfabeto. Nel 2021 vince il premio AVI per la mostra d’arte contemporanea più visitata dell’anno, tenuta al Complesso Museale Santa Maria della Scala di Siena.
La mostra di Lorenzo Marini a Milano
In via Tortona 27, MyOwnGallery | Superstudio Più ospita Private Collection Vol.1 – Lorenzo Marini, una mostra presentata da Cramum insieme a Verga 1947 e Borghesi Associati. Ideata e curata da Sabino Maria Frassà, questa mostra, che presenta opere realizzate dal 2012 a oggi, molte delle quali non sono mai state esposte al pubblico prima, è un’opportunità unica per esplorare il lavoro di Lorenzo Marini.
Sabino Maria Frassà introducendo la mostra spiega che “il percorso espositivo indaga il potere delle lettere come fondamento del nostro pensiero e della nostra esistenza: dalla gioia espressa nei primi alfabeti all’annichilimento visualizzato nelle opere più recenti, i cosiddetti “Buchi Neri”, le parole liberate trovano una destinazione sconosciuta, diventando simboli e portatori di una pura bellezza, nuova protagonista della nostra esistenza”.
Eppure, in questo “buco nero” l’artista cerca di intravedere una speranza come catarsi del comunicare. La mostra, perciò, unisce i tantissimi dubbi d’oggi con una visione fiduciosa nell’avvenire. Doveva arrivare una persona dal mondo della pubblicità a farci scoprire la profondità e la gioia delle lettere. La ricerca artistica di Lorenzo Marini si basa, infatti, su anni di esperienza come creativo pubblicitario, dove il linguaggio, le parole e la comunicazione sono stati e continuano ad essere gli strumenti principali.
Parafrasando i Proverbi di Salomone, della Bibbia ebraica, possiamo dire che le lettere, come la sapienza, danzano davanti al Signore e in un certo senso fondano il reale, sono acini della “Vigna del Testo” (Ugo di San Vittore) e rappresentando un assaggio della dolcezza che verrà.
Marini ci fa ritornare allo splendore e alla luminosità delle miniature del XII secolo, in cui le lettere stesse sono il messaggio, senza bisogno di essere inserite nella struttura della gerarchia grammaticale. La sua arte può essere considerata una forma di archeologia linguistica, propedeutica a comprendere la nascita di un nuovo linguaggio contemporaneo, sempre meno sintattico e sempre più visivo. Con il suo lavoro, Marini invita a riflettere sulla “velocità della trasformazione del linguaggio e sulla fusione tra sintassi tradizionale, immagini, loghi e persino emoticons”.
Le lettere come simboli
Le lettere non sono pertanto i tasselli delle parole, ma primordiali veicoli di senso visivo, che rimandano all’origine “magica “dei segni. Ci sono due modi per acquisire senso: quello che è diventato dominante nella cultura occidentale da Aristotele in poi, dove è l’organizzazione logica del testo a definirne il senso, e quello che abbiamo smarrito nel sogno dell’umanità, in cui il segno ha una sua propria autonomia di senso.
Solo recuperando il segno scritto, come “cammino plurisecolare di grafi” possiamo comprendere il rito e il culto che si cela nella storia del nostro presente. Giocare con le lettere è il modo per farci riscoprire una dimensione che il quotidiano tende ad annebbiare. Le lettere sono un sistema simbolico, ma il simbolo (dal greco sym-ballein, “gettare insieme”) mette insieme due aspetti: il significato e l’identità magica. Il merito di Marini è di mettere l’accento su questo secondo aspetto troppo spesso trascurato, riflettendo su nuovi significati visivi ed estetici. Nell’epoca del protagonismo dell’immagine, l’artista lancia uno sguardo sull’importanza della parola, prescindendo dal contenuto consolidato in secoli di evoluzione linguistica. Nel corso del tempo il disegno che i nostri antenati facevano nelle grotte è stato sostituito dal segno, Marini restituisce al segno il suo valore di disegno arricchendo cosi la nostra quotidianità di senso, che poi è il compito della vera arte.
Domenico Ioppolo
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