9 mostre al MAMCO di Ginevra. Artiste internazionali e opere dalla collezione
A Ginevra un ciclo di mostre fa emergere, in relazione alla collezione del Museo cittadino, alcune straordinarie figure femminili poco note al pubblico italiano. Ma c’è anche una sala dedicata ad Alighiero Boetti
L’ultimo ciclo di mostre del MAMCO di Ginevra rinnova una strategia ormai consolidata, che consiste nel valorizzare e ridefinire storicamente nel contesto del contemporaneo le acquisizioni della propria collezione e al contempo nel focalizzare l’attenzione su figure non pienamente emerse nel panorama dell’arte contemporanea, o addirittura neglette o dimenticate. Anche questa volta, a un trentennio di distanza dall’inaugurazione del Museo e alla vigilia della sua prossima ristrutturazione, il direttore Lionel Bovier non fa mancare motivi di stupore, con sorprendenti ripescaggi e impreviste rivelazioni, proponendo alla nostra attenzione alcune straordinarie figure femminili poco note al pubblico italiano.
La mostra di Tania Mouraud
La rassegna dei lavori di Tania Mouraud (Parigi, 1942), intitolata Da capo, a cura di Sophie Costes, presenta un’artista attenta a sondare i meccanismi che presiedono alle sensazioni, le credenze e le contraddizioni della nostra esistenza. Con We Used to Know (1970), ad esempio, essa interviene sulle condizioni fisiche elementari del nostro essere spettatori, dando vita a una sinestesia che ci coinvolge nello spazio ma allo stesso tempo ci assale e ci respinge, investendoci, oltre che con stimoli luminosi, anche con uno sgradevole surriscaldamento dell’ambiente in cui trova luogo l’opera, un parallelepipedo in acciaio in mezzo a dei treppiedi muniti di lampade abbaglianti. L’intento di SOYWHJTLAAF (Stop On Your Way Home Just To Look At A Flower) (2023) è invece quello di farci riflettere sui rapporti tra comprensione letterale e percezione visiva di una proposizione, come quella espressa dalla frase riportata nel titolo e inscritta sul muro con caratteri tipografici quadrati: questi, stirati in verticale lungo tutta l’altezza della parete, finiscono per disperdere ogni requisito di leggibilità entro un dispositivo grafico basato su una muta alternanza di linee ortogonali.
Le opere di Klára Kuchta e la mostra Shizuko Yoshikawa
Klára Kuchta (Rozsnyó, 1941) è un’artista di origine ungherese naturalizzata svizzera, la cui carriera si è svolta attraverso la sperimentazione di diversi media, dall’arte tessile alla performance, dalla fotografia all’installazione. Le sue grandi sagome dei primi anni Settanta, intessute utilizzando il sisal, una fibra spessa e grezza, acquistano una forte connotazione tridimensionale e scultorea, a cui si contrappone la levità ed evanescenza delle tessiture per le quali scelse di utilizzare capelli umani. Nel decennio successivo questa attenzione alle capigliature prende una piega più concettuale e documentaria: i suoi Tableaux statistiques, ad esempio, illustrano i risultati di indagini sociologiche sulle pratiche di cura dei capelli in Europa. Nella sua installazione Blond vénitien II (1978) sono inseriti accessori utilizzati dai parrucchieri, oltre a un video e cartoline che si riferiscono a Venezia, città da cui deriva il nome del particolare colore biondo evocato dal titolo.
Curata da Julien Fronsacq, la mostra di Shizuko Yoshikawa (Ōmuta, Giappone,1934 – Schlieren, Svizzera, 2019) ci propone una personalità che rappresentò un importante anello di congiunzione tra cultura giapponese ed esperienze europee eredi del Bauhaus. Frequentando la Scuola di Ulm ed entrando quindi in contatto con Max Bill, questa artista mise a punto una sua originale declinazione dell’arte prodotta dai rappresentanti di Zürcher Konkreten, gli esponenti svizzeri del Concretismo, optando per soluzioni che privilegiassero l’aspetto dinamico e dessero risalto alla meccanica percettiva delle strutture geometriche poste al centro delle loro ricerche. Le sue composizioni si distinguono per il ricorso a moduli che, grazie a estrusioni e aggetti, o all’innesco di processi di rifrazione, assumono contorni mobili, variabili in base ai movimenti dell’osservatore e al mutamento dei punti di vista.
Le opere di Emma Reyes
Straordinaria l’opera di Emma Reyes (Bogotà, 1919 – Bordeaux, 2003), così come romanzesca fu la sua vita: un’infanzia e un’adolescenza drammatiche, rievocate in una vivace fantasia autobiografica (pubblicata in italiano con il titolo Il libro di Emma), in cui le vicende narrate sono come proiettate fuori del tempo, e poi viaggi, avventure, incontri. Ricordiamo la sua familiarità con Gabriel García Márquez, e il suo soggiorno nel nostro paese, che la vide legata a Enrico Prampolini. I suoi dipinti, in questa selezione curata da Stéphanie Cottin, campeggiano nelle sale del museo con l’imponenza di immagini ritagliate in una materia primordiale: è come se uomini, piante e fiori fossero rivestiti di un’unica sostanza fibrosa, scanalata, tutti omologati nella stessa stoffa, tutti confezionati, si direbbe, nel medesimo tessuto a coste. È un dispiegamento di gigantografie botaniche e antropologiche esaltate da un cromatismo tropicale, in cui i soggetti, messi sotto una lente che ne esalta trame e tessiture, si estraniano da qualsivoglia contesto e assumono una dignità totemica, un’aura di esotica carnalità.
Sono inseriti in questa maratona espositiva anche cicli di lavori di Hannah Villiger (1951, Cham, Svizzera – 1997, Auw, Svizzera) e Ilse Garnier (Kaiserslautern, Germania, 1927 – Saisseval, Francia, 2020): la prima, che usò soprattutto il mezzo fotografico, amava essere definita come scultrice, alle prese con luci, ombre, spazi e volumi; la seconda affrontò la relazione intercorrente tra letteratura e arti visive, sviluppando, nel corso degli anni Sessanta, la teoria della “poesia spaziale”.
La sala dedicata a Boetti
Una sala è dedicata anche ad Alighiero Boetti (Torino, 1940 – Roma, 1994): figura, questa, non certo misteriosa per noi, ma di cui viene mostrata un’opera del tutto particolare, il monumentale rotolo di carta intitolato Estate ’70, lungo 20 m, disseminato di bollini adesivi colorati in molteplici combinazioni e realizzato appunto nel 1970 all’interno della Galleria Toselli di Milano nel corso, come si evince dal titolo, della chiusura estiva di quell’anno.
Non da tacere è poi la presentazione di quello che è l’ultimo nucleo di opere ricevuto in donazione dal MAMCO, messe insieme nel corso degli anni da Hal Glicksman (Beverly Hills, 1937), singolare personalità di storico, di curatore e di collezionista, uno dei più brillanti agitatori culturali della scena californiana negli eroici anni che fecero seguito all’esplosione della Beat Generation.
Per concludere, solo un accenno a quello che si potrebbe definire l’articolatissimo e sontuoso carosello finale, Récits de collection: suddiviso in sette sezioni, offre uno spaccato sul ricchissimo patrimonio acquisito negli anni dal MAMCO e, come ci informa il comunicato del Museo, vuole essere “un esercizio di trasparenza sui contesti e le categorie che determinano l’arricchimento della collezione e offrire al contempo prospettive aggiornate sulla recente evoluzione dell’arte”.
Alberto Mugnaini
Ginevra//28 gennaio 2024
Séquence Automne 2023
Tania Mouraud, Da capo
A cura di Sophie Costes
Klára Kuchta
A cura di Sophie Costes
Emma Reyes
A cura di Stéphanie Cattin
Shizuko Yoshikawa
A cura di Julien Fronsacq
Hannah Villiger
A cura di Françoise Ninghetto
Ilse Garnier
A cura di Julien Fronsacq
Alighiero Boetti
Estate ‘70
Donazione Glicksman
A cura di Julien Fronsacq e Paul Bernard
Récits de collection
A cura di Lionel Bovier, Julien Frosacq ed Elisabeth Jobin
Musée d’Art Moderne et Contemporain
Rue des Vieux-Grenadiers 10
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